Repetita non iuvant: le canzoni rock (e non solo) che ci sono venute a noia
Da “Y.M.C.A.” a “Spirit in the Sky”, da “Seven Nation Army” a “Live is Life”: brani che amavamo ma che abbiamo sentito un po’ troppe volte. Sì, anche degli amati Cure
Ci sono canzoni rock (e non solo) di cui centelliniamo l’ascolto per paura che possano lentamente staccarsi dal ricordo a cui sono legate. Poi ci sono brani che ci hanno stancato per la quantità di volte che ce li hanno propinati in dj set, playlist, colonne sonore, e – per i diversamente giovani come me – musicassette mix.
Ogni epoca ha i suoi trend e di conseguenza i suoi fastidi, io sono qui per elencarne alcuni che hanno infestato gli ascolti della generazione X.
Brani rock che anche basta: Village People in testa?
Prendiamo i Village People: una vera macchina per tormentoni. Non c’è quarantenne sulla faccia del globo che abbia ancora voglia di ascoltare di sua spontanea volontà Y.M.C.A. senza avere parenti in ostaggio. Non c’è cinquantenne che non possa annoverare nella sua carriera di sbronze un balletto sulle note della canzone dedicata all’associazione giovanile cristiana statunitense Young Men’s Christian Association, le cui palestre pare fossero luoghi di incontri sessuali segreti e piccanti.
Ma devo ricordare che i Village People sono autori anche di Macho Man e In the Navy? Forse è meglio di no.
Non si scherza nemmeno con My Sharona a Spirit in The Sky
Nella mia personale classifica dei pezzi che mi sono venuti a noia, al secondo posto c’è sicuramente My Sharona. Mi fa tanto piacere che il gruppo new wave californiano The Knack abbia ottenuto il successo planetario con il primo singolo, e sono tanto felice per il frontman Doug Fieger, che grazie a questo brano riuscì a conquistare l’amata Sharona Alperin. Il loro amore, però, durò un paio di inverni, mentre la presenza della canzone nelle playlist italiane resiste da circa quattro decenni.
Per chiudere il podio resterei in tema religioso e darei il bronzo a Spirit in the Sky, singolo di Norman Greenbaum datato 1969. Il compositore americano, ebreo, dichiarò in un’intervista al New York Times di aver trovato l’ispirazione ascoltando un gospel e di aver deciso di scriverne uno, pur non sapendo nulla di quel genere. “Ho scritto le parole in 15 minuti” disse. Quel quarto d’ora di concentrazione ha fruttato una fortuna non solo a lui, ma anche alla band britannica Doctor & the Medics, che nel 1986 ha proposto la cover del brano che tutti noi abbiamo ascoltato a ripetizione nei locali rock di tutto il mondo.
Brani di band rock che hanno segnato la storia ma che abbiamo sentito troppo
Finora abbiamo scherzato. Facile prendersela con canzoni smaccatamente dance, che i dj di tutto il mondo sfruttano per riempire la pista di rockettari nostalgici intenti ad alzare le braccia per emulare la Y di Y.M.C.A.. Ora andiamo ad analizzare i brani inflazionati di gruppi rock che davvero hanno segnato la nostra cultura musicale.
Ad esempio The Clash. Lungi da me avere la benché minima critica da fare sulla produzione musicale di quelli che sono senza dubbio nell’Olimpo dei miei idoli, ma volte dirmi che quando sentite il riff di chitarra con cui attacca Should I Stay or Should I Go non vi assale l’irrefrenabile voglia di premere “skip”? Joe Strummer perdoname por mi vida loca: la colpa ce l’hanno i dj che mi hanno cresciuta a suon di tormentoni punk rock.
Anche The Cure, senza volerlo
Altro gruppo che amo, ma di cui mi è stata completamente annientata la voglia di ascoltare una sola canzone, sono The Cure. Ci sono decine di loro brani che potrei cantare all’infinito, ma fermiamoci un istante a parlare di Friday I’m In Love. Sembra che Robert Smith sia stato convinto per mesi di averla copiata da qualcun altro, e che finì per deprimersi all’idea di averla già sentita da qualche parte. Forse era già venuta a noia anche a lui al decimo ascolto?
Paradise (o inferno?) City dei Guns N’ Roses
Nel nostro archivio sonoro mentale i Guns N’ Roses sono ormai inseparabili dalla loro Paradise City. Che per alcuni di noi somiglia più a un inferno. Nella sua biografia, Slash racconta che il pezzo fu scritto rientrando da un locale di San Francisco: Axl iniziò a cantare “Take me down to the paradise city” e il chitarrista aggiunse “Where the girls are fat and they’ve got big titties”. Il testo fu poi modificato, altrimenti oggi sarebbe stato al centro di una shitstorm epocale per il linguaggio decisamente poco inclusivo, e magari ne avremmo sentito parlare ancor di più di quanto l’abbiamo sentita suonare.
Se le canzoni rock diventano cori da stadio
Una menzione a parte credo vada alle canzoni rock trasformate in cori da stadio. Mi riferisco innanzitutto a Seven Nation Army dei White Stripes, il cui riff principale è diventato un onomatopeico po-popopo-popoooopo con cui i tifosi hanno accolto la Nazionale italiana alla Coppa del Mondo di calcio del 2006 in Germania. Credo di non essere mai più riuscita ad ascoltare quello che consideravo un capolavoro da allora. E sono passati 17 anni.
Dagli spalti arriva anche il successo di Live is Life, successo intergalattico di un gruppo austriaco di nome Opus, diventato dagli anni Ottanta l’indelebile colonna sonora del riscaldamento di Diego Armando Maradona.
Repetita a volte iuvant, ma nel caso della musica può portare a una noia irreversibile.
Articolo di Federica Mingarelli