Rocco Hunt: «A trent’anni sento il bisogno di far capire chi sono»
Da ragazzo di giù, per inseguire il sogno della musica, è diventato un ragazzo di su. Il sesto album, in uscita venerdì 25 aprile, è il suo lavoro più riflessivo. Tra versi, riferimenti alla politica e le sue consuete incursioni nel pop radiofonico, il rapper esplora anche il cantautorato abbandonando il napoletano per l’italiano

Nella carriera di ogni artista arriva sempre quel momento in cui bisogna fare i conti, tracciare una linea e trovare un punto. Da quest’ultimo comprendere che direzione prendere e verso quale obiettivo dirigere la propria forza. Rocco Hunt, il ragazzo di giù il cui successo è esploso da giovanissimo sul palco di Sanremo, quando il festival non era ancora un luogo per il rap, a trent’anni ormai è diventato un uomo di su. La musica, ma anche un figlio e una famiglia propria, sono diventati un dono e una responsabilità: non solo dal punto di vista personale, ma anche artistico.
«Non sai quanto mi è costato quest’accento milanese» rappa in napoletano in PRIMM’ E 30. Un verso che racchiude gran parte del senso e del concept del suo sesto album in uscita venerdì 25 aprile. Il disco di un ragazzo del sud che ha schivato i pericoli, inseguito il proprio sogno, ma che non allontana mai lo sguardo da giù perché vuole essere un esempio e perché il cuore non cambia.
Si potrebbe abusare ancora una volta del cliché, definendo RAGAZZO DI GIÙ come il disco della maturità di Rocco Hunt. Non sarebbe del tutto sbagliato, la carriera del rapper di Salerno non è quasi mai incappata in un vicolo cieco e, al momento giusto, ha saputo sempre scovare le soluzioni giuste. Hit pop ed estive, «i raggi di sole tra i palazzi di periferia» come le descrive Rocco, affiancate a pezzi da rap old school. Il tutto sempre in lingua napoletana.
Stavolta però c’era bisogno di qualcosa in più, ce lo si aspetta da un’artista con oltre dieci anni di attività alle spalle. «Ho scritto un album riflessivo perché, arrivato a questo punto, volevo far capire chi sono oggi» spiega durante una presentazione speciale in stazione centrale a Milano. Un luogo simbolico per tutti i fuorisede. Il limbo di passaggio che collega il passato e il futuro, una sorta di presente sospeso.
Se il brano portato a Sanremo, MILLE VOTE ANCORA, può essere considerato come un secondo capitolo di Nu journo buono scritto a undici anni di distanza, l’aria “nova” che costituisce l’incipit del nuovo disco è pienamente rappresentata dalla titletrack. Spiazzante per l’italiano e curata a livello di scrittura, con un continuo oscillare di riferimenti tra sacro e profano. «Il crocefisso è una un’ambizione che porta sul collo ogni ragazzo di giù» e nel gruppo si inserisce anche lo stesso Rocco che scopre subito tutte le carte sul tavolo.
La musica è una benedizione, ma può essere una condanna se manovrata dal desiderio del successo. «La mia adolescenza è stata tranquilla. La noia mi ha ispirato e mi ha fatto tirare fuori la cazzimma. Il fatto che abitassi in periferia mi costringeva a prendere il bus per scendere in città. Così passavo il tempo a registrare cassette in camera» racconta il rapper. Oggi che tutto è diventato un lavoro e che conosce i meccanismi dell’industria e del consumismo, Rocco ha un potere. Riuscire a osservare tutto dall’esterno.
Una consapevolezza non priva di rimpianti: «Ho perso l’incoscienza che mi ha spinto a prendere il treno per Milano. Oggi sono molto più riflessivo. Vorrei prendere le cose con più leggerezza rispetto al passato. Il prossimo treno che vorrei prendere è quello metaforico di rivivere la musica in modo più libero, quando era ancora qualcosa che facevamo per ascoltarla io e i miei amici».
I ragazzi di giù
Nel nuovo album Rocco Hunt guarda dentro di sé attraverso lo scenario nel quale vede muoversi i suoi conterranei. Quelli che inseguono il suo stesso sogno, quelli che un sogno non possono nemmeno immaginarselo e quelli che invece si fanno distrarre da strade alternative sbagliate e pericolose perché sono convinti di non avere una via di fuga. DEMONE SANTO è l’apice del disco, posizionata esattamente al centro della tracklist. Stavolta il napoletano era indispensabile per raccontare il contesto emotivo di una generazione e per veicolare la rabbia nei confronti dell’abbandono delle istituzioni.
«Quelle povere creature morte sotto al ballatoio per me sono vittime dello stato e dell’abbandono / A cosa serve dopo, il presidente che fa le condoglianze, il tricolore sulle bare bianche, a cosa serve il crocefisso se poi Cristo in queste case non ci entra?» recita la seconda strofa. E la delusione di Rocco si percepisce anche da un inedito e leggero graffiato della sua voce. «Il Sud è il luogo del sacro e del profano. Quando faccio riferimento al recente crollo a Scampia, ho in testa anche il terremoto in Irpinia che ho vissuto attraverso i racconti della mia famiglia che ci ha perso la casa» spiega il rapper.
RAGAZZO DI GIÙ prima ancora di un album personale, è un album per i ragazzi di giù. FRATMO è il brano più diretto e quello con le collaborazioni che destavano più interesse. «Con Baby Gang è nato tutto durante le registrazioni del suo ultimo album. Sono andato a trovarlo e ho scoperto che è cresciuto con le mie canzoni che l’hanno aiutato. In lui ho visto la voglia di riscatto e una grande purezza d’animo. Anche per Massimo Pericolo la musica è stata una seconda possibilità» svela Hunt. Se a livello di produzione e di strofe ci si poteva aspettare qualcosina in più, rimane comunque un brano decisivo all’interno del disco. «Parla di tutti i fratelli che hanno fatto una scelta sbagliata. Baby e Massimo hanno riconosciuto i loro sbagli. Voglio che sia un monito e una speranza perché un futuro migliore può sempre esistere. E la musica è riabilitativa».
La crescita
La maturità citata in precedenza è perlopiù dimostrata da una scrittura che, seppur rimanendo diretta, riesce a creare una strada anche per il canto. E Rocco Hunt, anche nella breve esibizione in stazione centrale, ha dimostrato di saperlo fare. Alcuni brani del nuovo album esplorano quella direzione, a risultati alterni. DOMANI CHISSÀ, un’altra delle canzoni in italiano, coscritta con Olly e JVLY, è una di quelle che funziona meglio: «Di solito non scrivo mai in studio con molti autori, ma io e Federico siamo accomunati dalle nostre origini. Veniamo entrambi da due città di mare e la nostra scrittura ne risente. Il mare è un’ispirazione e una formazione».
Molto più radiofonica, con tanto di archi sanremesi, è SPERO CHE DIO NON ME LA PORTI VIA. Il ritornello farà probabilmente partire un canto corale durante i concerti di quest’estate e, come succede durante l’ascolto di fila del disco, crea un momento di “pausa”. Non mancano pezzi più leggeri e ritmati, quelli con cui Rocco Hunt negli ultimi anni ha scalato le classifiche più volte. C’è il nuovo singolo COSA TI AMO A FARE che si candida a tormentone estivo. Poi l’esperimento elettronico con influenze afro SULO (TONIGHT), prodotta da Madfingerz, e persino il feat. con Gigi D’Alessio in GIURA: «L’abbiamo scritto da zero e in napoletano per rimarcare le nostre radici. Vedere Gigi cavalcare una produzione trap e drill mi ha stupito ed è stato divertente» racconta Rocco.
È andato in modo diverso invece il sodalizio con Irama, forse una delle collaborazioni meglio riuscite del disco, tenendo in considerazione il lato più pop di RAGAZZO DI GIÙ. «Il nostro rapporto di amicizia è fatto di pranzi e cene e l’idea di scrivere CCHIÙ BENE ‘E ME è venuta una volta che lui è venuto a mangiare da me» racconta Rocco. Rispetto agli altri brani radiofonici del disco, convince di più per il modo in cui evolve a livello sonoro. Si parte con un pianoforte e si finisce con la trap. «Irama voleva fare un brano che fosse vicino al suono urban della mia terra, allora l’ho anche fatto cantare in napoletano».
L’unione più ambiziosa, che unisce il rap a un’idea di cantautorato personale, si completa nella traccia conclusiva di RAGAZZO DI GIÙ, nella quale Rocco Hunt alza l’asticella. «’A NOTTE è l’utero del disco. È dedicata a tutte le cose che si fanno di notte e, tra queste, c’è anche la scrittura. Ho voluto chiuderla con una poesia senza titolo» spiega il rapper. «Negli ultimi tempi ho recuperato tante cose che mi ero perso da giovane: il cinema, la letteratura e soprattutto Eduardo De Filippo. Quei versi finali li ho scritti proprio nel periodo in cui mi ero riavvicinato alle sue opere».
A che staje pensanno? – la domanda con cui inizia il finale – è in realtà una risposta a tutti quei ragionamenti che si fanno prima di dormire e che affollano le strofe del brano e la mente dell’artista: «Tutti, quando ce lo chiedono, di solito rispondiamo “A’ niente”. Quindi, se non vuoi questa risposta, allora evita la domanda, meglio se mi dai un bacio o mi fai una carezza».
Le date del tour
- Venerdì 20 giugno 2025 | Campobasso (CB), Festival dei Misteri – Arena Nuova Eventi Romagnoli
- Venerdì 25 luglio 2025 | Peschici (FG), Note di Mare – Arenile del Porto
- Domenica 27 luglio 2025 | Polignano a Mare (BA), Lungomare Cristoforo Colombo
- Venerdì 8 agosto 2025 | Sabaudia (RM), Arena del Mare BCC Roma
- Martedì 19 agosto 2025 | Cirò Marina (KR), Krimisound
- Venerdì 22 agosto 2025 | Catania, Sotto il Vulcano Fest – Villa Bellini
- Sabato 23 agosto 2025 | Palermo, Dream Pop Festival – Teatro di Verdura
- Giovedì 11 settembre 2025 | Reggia di Caserta
- Lunedì 6 ottobre 2025 | Unipol Forum – Milano