“The Crow” è un corvo a cui mancano le ali
A trent’anni di distanza dal film cult di Alex Proyas con protagonista Brandon Lee, il nuovo adattamento della graphic novel con Bill Skarsgård e FKA Twigs non lascia il segno. Al cinema dal 28 agosto
La storia di eterno amore tra Eric e Shelly è la premessa e il claim della nuova versione cinematografica di The Crow – Il Corvo. True Love Never Dies. Il vero amore, quello che non muore mai e ha il sapore epico delle fiabe, è forse l’assente più ingombrante del nuovo adattamento diretto da Rupert Sanders. Dopo una gestazione lunga sedici anni – il progetto è partito nel 2008 – con diversi cambi alla sceneggiatura, alla regia e al cast, il risultato finale è un film senza guizzi al quale non basta la presenza carismatica di Bill Skarsgård.
Un Corvo senz’anima
Come annunciato alla premiere statunitense del film dallo stesso attore protagonista, The Crow non è un remake del cult uscito nel 1994. L’ambientazione è diversa, sia dal punto di vista scenografico che temporale. Non c’è la Detroit notturna, piovosa ed estremamente pericolosa della Notte del diavolo e della vigilia di Halloween. C’è una cittadina, grigia, e perlopiù senz’anima. L’unico spiraglio lo si intravede nella discoteca dove i protagonisti si trovano e si perdono prima di essere brutalmente uccisi.
Praga e Monaco di Baviera, le città in cui si sono svolte le riprese, potrebbero sembrare delle location perfette. Così come la scelta di far interpretare il personaggio di Shelly Webster a un’artista musicale. La Capitale ceca e FKA Twigs sono vittime della medesima assenza. A The Crow manca l’emozione ed è forse la cosa più grave per un film la cui storia si dovrebbe basare proprio sull’immortalità dei sentimenti.
Un adattamento di per sé non va mai giudicato in base alla fedeltà all’opera prima. Per questo motivo l’idea di proiettare Eric e Shelly in un presente fatto di social, video e istituti di recupero poteva risultare efficace. La chimica tra Bill Skarsgård – abile nel calarsi in un personaggio dall’eredità resa ancora più pesante da una scrittura poco incisiva – e FKA Twigs resiste per la prima mezzora, salvo poi venire meno nel momento in cui dovrebbe emergere ancora di più.
L’elemento soprannaturale
L’aldilà e i nemici rappresentano il vero paradosso. Sono molto più marcati narrativamente rispetto alla graphic novel di James O’Barr e al film con Brandon Lee. Il soprannaturale prende corpo in un luogo di passaggio tra mondo reale e regno dei morti che ricorda la Spiaggia di Death Stranding. Poi c’è un cattivo demoniaco dai “superpoteri”, il nobile Vincent Roeg (Danny Huston). Nonostante ciò, il lungometraggio del 1994, pur non mostrando mai il territorio di mezzo tra la vita e la morte attraversato dall’anima di Eric e pur affidandosi a dei nemici “reali” risulta molto più “fantastico”. Figlio dei Batman di Tim Burton e dell’estetica anni Novanta, Il Corvo di Proyas catapultava lo spettatore in un mondo gotico e verosimile allo stesso tempo.
Questo nuovo racconto, invece, introduce in modo esplicito molti elementi soprannaturali che non riescono a sfumare i contorni asettici dell’ambientazione. Il più delle volte devono essere anche spiegati. A questo proposito, una delle trovate meno convincenti è il personaggio interpretato da Sami Bouajila. Denominato Kronos, è colui che dovrebbe guidare il protagonista nella sua missione salvifica, ma nella maggior parte dei casi i suoi spiegoni sembrano rivolti al pubblico. Ciò mina ancor di più le emozioni che solo l’ignoto può donare, a volte anche solo mostrando un corvo che si posa su una lapide.
La regia e la colonna sonora
La sensazione principale che si prova man mano che il minutaggio di The Crow avanza è quella di star guardando un film su un supereroe. Non siamo nel territorio della Marvel ovviamente, non ci sono momenti comici e tutto è molto cupo. La messa in scena dei combattimenti, la minuziosità e i dettagli mostrati mentre Bill Skarsgård si sbarazza dei suoi nemici, dovrebbero togliere il fiato. Il sangue a profusione e le varie modalità di uccisione però acquistano un poco di forza solo nella sequenza del teatro, dove sono accompagnati dagli archi e dai cori dell’opera ottocentesca di Giacomo Meyerbeer, Robert le Diable.
Le uniche tracce di poesia vengono lasciate dalla colonna sonora. Le canzoni sono una parte consistente di The Crow e ne rappresentano uno degli elementi più originali. Ad eccezione del capolavoro dei Joy Division Disorder – che accompagna la fuga d’amore dei due protagonisti e che sembra fuori contesto col solo scopo di far contente le orecchie degli spettatori – tutti gli altri brani riescono ad alimentare l’illusione di trovarsi in un altro mondo. La scelta inserire band e tracce di nicchia che rimandano a immaginari sonori conosciuti, donano a chi guarda la sensazione di essere già stato in quel luogo, pur non avendolo mai esplorato.
C’è la techno oscura di Fall di The Bug, l’elettronica profetica di Total Depravity dei The Veils, il post-punk nostalgico infarcito di sintetizzatori dei canadesi Traitrs con la loro Thin Flesh e il rock martellante dei Foals (What Went Down). La soundtrack regala dei bei momenti anche quando compie dei passi indietro nel tempo. Bella ed efficace M.E. di Gary Numan, al pari dell’evocativa Boadicea di Enya che in molti assoceranno alla hit dei Fugees Ready or Not. In questo rappresenta proprio quel sentimento di unione tra vecchio e nuovo di cui sopra.
Ecco, sarebbe servito lo stesso coraggio della colonna sonora. Il medesimo che si è avuto in fase di casting nello scegliere FKA Twigs come attrice protagonista e che è mancato nella regia, troppo didascalica. La sceneggiatura rimane però il rimpianto più grande, in quanto spoglia la storia di tutto il suo fascino. The Crow probabilmente lascerà l’amaro in bocca agli amanti dell’opera originale, ma soprattutto a chi è affezionato alla cupezza e alle luci al neon del cult degli anni Novanta.