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TikTokTechno: quando un genere underground segue gli stessi schemi dell’industria (a cui si opponeva)

Nel 2024, anche un genere originariamente di nicchia è entrato nella sua fase di “tiktokizzazione”: l’analisi del fenomeno

Autore Billboard IT
  • Il17 Agosto 2024
TikTokTechno: quando un genere underground segue gli stessi schemi dell’industria (a cui si opponeva)

L'Amnesia a Ibiza

La musica elettronica, e la techno in particolare, stanno vivendo da qualche anno un vero e proprio boom su TikTok (dove, mentre scrivo queste righe, ci sono quasi 280 milioni di post contrassegnati come “techno”), sempre più il motore trainante dell’industria e delle tendenze musicali. Così, anche un genere originariamente di nicchia come la techno è entrato nella sua fase di “tiktokizzazione”. Non è raro imbattersi in hashtag come #ravetok #technotok #techtok #tiktechno #tiktoktechno. Quest’ultima espressione in particolare è stata assunta come termine ombrello per indicare – spesso con accezione negativa – il sound che spopola sulla piattaforma.

Che si tratti di tutorial su come ballare o come vestirsi agli eventi “techno”, che siano classifiche dei pezzi “hard” più di tendenza o brevi estratti da party e festival, la formula musicale è inevitabilmente la stessa. Qualche secondo di cassa dritta iper- saturata intorno ai 150 BPM o anche più, condita da vocal e linee melodiche pensate per far presa immediata sull’ascoltatore nei pochi secondi disponibili. Build-up e drop, uno dopo l’altro, come un giro infinito sulle montagne russe. Eccolo il profluvio di “TikTok techno”, che, a conti fatti, di techno non ha nulla se non il minimo comune denominatore – la cassa in quattro – e sembra piuttosto una riproposizione di quei generi “hard” degli anni ’90 e primi Duemila come gabber, hardstyle, hard techno, hard trance. Ma decontestualizzati da tutto il loro contesto socioculturale.

Il trend di “TikTok Techno”

Il trend è esploso negli ultimi due anni, con hit come l’edit di Praise the Lord realizzato da Durdenhauer (103 milioni di riproduzioni su Spotify) e Push Up di Creeds (85 milioni di riproduzioni). Nato su TikTok, il fenomeno non ha tardato ad entrare nel circuito del clubbing e dei festival, con maxi-eventi come Teletech in Inghilterra e Verknipt in Olanda (su Reddit un utente descrive il pubblico tipico di questi eventi come “comparse di Matrix”), il cui enorme party alla Johan Cruyff Arena di Amsterdam viene presentato come “World’s biggest hard techno rave”.

Uno dei DJ/producer più famosi ed esemplificativi di questo sound è il tedesco Macon (più di 2 milioni di ascoltatori mensili su spotify). Quest’ultimo ha addirittura coniato il termine “hypertechno” per descrivere i suoi edit di brani pop (Gwen Stefani, Nelly Furtado, FloRida, Timbaland e altri). Anche Spotify e YouTube sono inondati di playlist hypertechno. Più che un nuovo sottogenere della techno, sembra semmai un mix fra la moda degli edit pop e le sonorità esagerate e sgargianti dell’eurodance. Insomma, un ritorno della mashup culture anni Duemila con il look rifatto in versione social.

Se i puristi della techno ci tengono a prendere le distanze da questa errata e semplicistica interpretazione della techno e dal revival delle variegate sonorità “hard”, anche gli stessi fan dell’hard techno anni ‘90/’00 si lamentano dell’associazione col sound che spopola tra adolescenti e ventenni online. I video di TikTok techno seguono perlopiù lo stesso schema a base di build up e drop. In modo non dissimile dall’ondata EDM e brostep di una decina d’anni fa. Non a caso, uno degli artisti techno più rispettati in circolazione, DVS1, ha definito questo trend come la versione EDM della techno.

Il parallelismo con la brostep

Ma ancora più calzante è il parallelismo fra TikTok techno e brostep. Entrambi sono mutazioni semplificatorie e regressive di generi dalla storia e dal sound molto più articolati, la techno e il dubstep. Entrambi prendono un solo elemento necessario e sufficiente a identificare il genere. Oggi è la cassa dritta, ieri era il drop con il wobble bass. Ed entrambi puntano a un piacere immediato e reiterato, alla scarica di dopamina istantanea e infinita.

Nella misura in cui l’effetto “TikTok brain” – il ridursi della soglia di attenzione, che colpisce soprattutto i più giovani, dovuto proprio alla forma brevissima e allo scrolling perpetuo – si ripercuote sul modo di concepire e fare musica, ecco che producer e DJ assecondando la logica dell’algoritmo che vuole il massimo coinvolgimento nel minor tempo possibile. La sfida per la sopravvivenza nella marea di microtrend e meme digitali diventa quindi una sfida a colpi di intensità, dove vince chi pesta più duro in quei 10-20 secondi.

Questo revival dell’hard techno e la gara al rialzo dei BPM non è casuale ma è legato alla pandemia. Dopo un lungo periodo di chiusura dei club e di isolamento, la voglia di tornare a fare festa ed esorcizzare ansie e problemi ballando ha portato al desiderio di alta intensità, alte scariche di dopamina e, di conseguenza, alti BPM. Per molti adolescenti, d’altronde, il primo incontro con la techno e la club culture è avvenuto su TikTok. Il profluvio di tutorial su come ballare e come vestirsi ha portato, ad esempio, allo sdoganamento della moda fetish. Col rischio di trasformare in omologazione estetica quella che era una forma di libera espressione all’interno di safe spaces.

L’esperienza collettiva del ballo

La domanda, insomma, è: che succede se un genere e un movimento nato come underground e in opposizione alle logiche dominanti dell’industria inizia a seguirne gli stessi schemi? La techno, così come tutti i generi di dance elettronica, ha sempre avuto la sua ragion d’essere nell’esperienza collettiva del ballo. Nonché nel rappresentare uno spazio-tempo di alterità rispetto alle dinamiche del quotidiano. Il clubbing e la sua aura del “qui e ora”, il suo svolgersi nella lunga durata e l’estasi della perdizione nel flusso sonoro curato dai DJ, rischia di essere ridotto all’ennesima esperienza da trasformare in content per i social.

Se nella miglior tradizione delle culture dance le metafore privilegiate per descrivere DJ e producer erano quelle dello storyteller, di colui che takes the audience on a journey, o dello scultore di suoni che dà forma alla musica del futuro, la parabola della techno su TikTok è quella di DJ e producer che provano a imparare la stessa lingua della piattaforma, piuttosto che cercare nuovi linguaggi.

La rappresentazione del clubbing e della techno su TikTok

Ed eccoci, dopo una necessaria pars destruens, alla pars construens. È vero che è difficile sfuggire alla logica dell’algoritmo, ma è anche vero che non mancano i margini di azione per un utilizzo diverso, più creativo, che permetta ad artisti interessanti e innovativi di emergere. Così come agli ascoltatori più curiosi di scendere al di sotto della punta dell’iceberg e addentrarsi nel vasto mondo dell’elettronica. La sfida, allora, diventa quella di trovare suoni, pratiche, codici che non siano un riciclaggio superficiale del passato. Ma che diano voce propria ad adolescenti e ventenni di oggi.

TikTok e Internet in generale offrono l’inestimabile possibilità di confrontarsi con tutto quello che succede nel resto del mondo e che è successo nel passato. Se da un lato questa vastità è paralizzante, dall’altro aiuta a liberarsi di schemi troppo rigidi e spinge alla sperimentazione. Il mondo della musica dance ha visto gran parte dei sound più innovativi dell’ultimo decennio arrivare dalla “periferia dell’impero”, come testimoniano artisti, etichette e collettivi provenienti da Centro-Sudamerica, Africa e Asia.

La rappresentazione della techno e del clubbing su TikTok al momento può far storcere il naso ai puristi, ma siamo fiduciosi che al di là e al di sotto dei trend da milioni di views, stia bollendo qualcosa di genuinamente valido e fresco. Basta essere curiosi e non fermarsi alla superficie. Sia per chi fa musica, che per chi la ascolta. Come del resto valeva anche nel mondo pre-Internet, e continuerà a valere in futuro.

Articolo di Lorenzo Montefinese

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