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Per capire l’oscurità di una generazione devi ascoltare Tony Boy. L’intervista

In “Umile”, il suo nuovo album uscito a luglio, il rapper di Padova classe ’99 ha assorbito tutto il malessere e le incertezze dei ragazzi della sua età ed è davvero arrivato il momento di starli a sentire

Autore Greta Valicenti
  • Il4 Agosto 2023
Per capire l’oscurità di una generazione devi ascoltare Tony Boy. L’intervista

Tony Boy, foto di Andrea Bianchera

Il primo EP di Tony Boy, datato 2019, aveva un titolo lapidario: Non c’è futuro. In quelle tre parole c’era tutto il nichilismo di una generazione senza prospettive e coi sogni quasi fatti a pezzi. Quasi, perché la vita è strana, e non sai mai cosa possa tonare a rianimarli. Per Tony Boy, al secolo Antonio Hueber, classe ’99 e born and raised in Padova, a riaccendere una flebile luce sul futuro è stato Umile, il suo nuovo disco uscito a luglio.

Un album oscuro, tormentato, che parla ancora di una generazione insoddisfatta e schiacciata dal peso del mondo e del dolore che comporta, e che lo fa nella maniera più real e cruda possibile. Nella nuova scuola provinciale di cui Tony Boy fa parte insieme a nomi come Kid Yugi, Artie 5ive, Nerissima Serpe, Digital Astro (insomma, i Bimbi 2.0 che zio Night Skinny ha prontamente accolto sotto la sua ala in Players Club ’23, una foto-posse di questa new wave), non c’è spazio per la mondanità e i luccichii della trap.

Le sostanze non sono più uno statement di coolness, perché i ragazzi ne raccontano tutto il lato ai limiti dello squallido, come mi conferma Tony Boy nel corso di questa intervista. «Abbiamo delle esigenze diverse da chi è venuto prima. I ragazzi sono tutti depressi, la gente è incerta e noi abbiamo assorbito tutto questo nella musica», mi racconta Antonio. E se la colpa del malessere profondo che trasuda dalle canzoni di giovani annientati è nostra, allora non ci resta che ascoltare e provare a comprendere. Glielo dobbiamo. Almeno questo.

Ascolta Umile

L’intervista a Tony Boy

Umile è un disco molto oscuro, tormentato. Come stai ora?

Diciamo che sto bene, è come se mi fossi levato un peso, sono davvero sollevato e soddisfatto. Nella mia instabilità posso ritenermi contento.

Il tuo primo album, Going Hard, era uscito nel 2020, però ora il tuo nome è molto più sotto i radar. C’è stata secondo te una svolta nel tuo percorso?

In realtà credo sia più una cosa che riguarda la mia crescita personale. Ho imparato a tagliare fuori dalla mia vita determinate situazioni e ho conosciuto altre persone che mi vogliono molto più bene. Sento anche di essere uscito dalla mia comfort zone.

Una cosa che mi piace tantissimo di questa nuovissima scuola di cui fai parte è che si scava un sacco nel profondo, anche a costo di arrivare agli abissi più torbidi. Non c’è niente di patinato, anzi, c’è proprio la crudezza sbattuta in faccia da una generazione che non ha più voglia di nascondere un malessere. E Umile rientra perfettamente in questa scia.

Sono completamente d’accordo con te, io la penso uguale. Credo si stia creando questa ondata di artisti che ha delle esigenze diverse rispetto a chi è venuta prima. Il mondo sta cambiando e le prospettive sono sempre più oscure, cupe. Noi stessi siamo molto più scuri e di conseguenza lo sono le nostre rime. I ragazzi sono tutti depressi, la gente è incerta e noi abbiamo assorbito tutto questo nella musica.

E le persone sono più propense ad ascoltare musica meno leggera?

Secondo me sì. Negli ultimi anni gli ascoltatori sono stati trattati con superficialità e per me si sono un po’ stufati. Quindi hanno iniziato a chiedere del contenuto che noi possiamo portare.

Mi colpisce anche molto il racconto che fate delle droghe, che non è più quello cool della trap, ma quello – passami il termine – più squallido, vero.

Ci hai preso in pieno. Il fatto che tu mi stia dicendo questa cosa per me è solo la conferma di un pensiero che ho anche io, mi ci rivedo tanto mi quello che dici. Per me sta tutto qui: raccontare anche i difetti. Non possiamo fingere che le sostanze siano caramelle, bisogna dire anche le cose negative.

E venire dalla provincia in questo gioca un ruolo importante?

Molto. In provincia fai una vita completamente diversa da quella che potresti fare che ne so, a Milano, che è un ambiente che non riuscirei a raccontare. Il rap che faccio io, che fanno Yugi e gli altri, è così autobiografico che se non raccontassimo quello che viviamo sarebbe molto difficile scrivere. Per questo per me è fondamentale anche rimanere attaccato alla mia quotidianità.

Tu vivi ancora a Padova?

Sì. Io sono ancora lì, faccio su e giù. Per me è importante stare lì perché per quanto Padova sia piccola, c’è bisogno di qualcuno che possa far capire che con la musica si può dire veramente qualcosa.

Quanto è difficile rimanere umile quando si accendono le prime luci del successo?

Questa è una cosa a cui tengo molto. Secondo me riguarda molto quello che tu sei nei confronti degli altri più che quello che pensa la gente di te. Ok, magari adesso quando vado in giro mi fermano più persone rispetto a prima, però io non cambio. Il fatto di essere più conosciuto non mi fa dire “adesso a questo rispondo male”, perché non è proprio nella mia natura, nel mio carattere. Io non voglio rimanere umile perché lo vogliono gli altri, e così rispettare un senso di delusione che potrebbero avere. Io voglio rimanere umile perché lo sono. Forse nel dirlo sono poco umile, non lo so (ride, ndr).

In Storia dici: “Un ragazzino va forte col suo talento, ma la trappola è grande, buia e forte e ti tiene in trappola”. Di che trappola parli?

Il fatto di stare chiuso nella stanza a fare cose sbagliate. Quella era la cosa che mi teneva in trappola. Per quanto uno possa avere il fuoco sacro, se rimani inghiottito in determinate situazioni non sarà quello a salvarti. Non sempre il talento vincerà su tutto. Ecco, è un invito alle persone talentuose a non perdersi. Mi dispiace troppo quando vedo dell’arte inespressa per colpa di situazioni che non dovrebbero neanche esserci all’interno della vita di un essere umano. Ogni volta che qualcuno fa qualcosa di artistico ipoteticamente può salvare la vita di una persona.

E ci sono degli artisti che l’hanno fatto con te?

Sì, io stimo tantissimi artisti che magari non sono nemmeno rap. Il mio idolo è Travis Barker, poi c’è Slash, tutte icone che nella vita hanno capito qualcosa in più perché si sono ascoltati e hanno capito che dovevano fare qualcosa di utile per gli altri. Io punto a quello.

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