Vasco Brondi, “Un segno di vita” e quella cena a casa di Nada
Il cantautore ci ha spiegato in prima persona il suo nuovo album che sente con un best of in cui recupera l’urgenza e le intenzioni degli inizi
Vasco Brondi e Un segno di vita, il nuovo album in uscita oggi per Carosello Records. Ecco la sua spiegazione in prima persona di quello che lui sente come un Best of.
Per raccontare questo disco mi viene naturale partire dalla fine, cioè dall’ultimo ascolto dell’album. Lì mi sono accorto come approcciarmi a un disco nuovo per me sia come togliere uno strato in più, andando più nel profondo. Cercando di arrivare all’essenziale e al nucleo incandescente della Terra e di me stesso.
Tutto questo è raccontato all’interno del diario di lavorazione dell’album, un vero e proprio romanzo di formazione, ma di un disco. In Un segno di vita rispetto agli altri album c’è stato un lavoro ulteriore, quello di semplificare le cose. Ho messo un impegno in più nell’arrivare all’indispensabile.
Ho tolto alcuni brani e per questo l’album lo percepisco come una sorta di best of, sono arrivato ai 10 brani più forti. Lo sento molto diverso rispetto al mio ultimo disco, in qualche modo mi sembra somigliare più ai primi dischi come urgenza ed intenzione. Il diario di lavorazione che esce insieme all’album si intitola scherzosamente – ma non troppo – Piccolo manuale di pop impopolare.
Perché credo in questo album di aver sperimentato un nuovo modo di lavorare con la forma canzone, anche con dei linguaggi più pop e da cantautore è l’esperimento più ardito che potessi fare. Questo processo mi ha riempito di gioia. Mi ha fatto fare le scintille iniziali che mi servivano per fare un disco. Ho percepito il calore e in mente avevo in testa solo il colore rosso che caratterizza la copertina.
Un segno di vita è un disco in cui si respira la libertà. Da un lato quella di potersi permettere tutto il tempo per uscire con nuovo progetto. Dall’altro quella di poter sperimentare e mettersi in gioco, la libertà di poter plasmare una forma pop totalmente mia. Forse a tratti distorta, ma pur sempre mia, in cui mi riconosco. Credo che in Un segno di vita si senta anche la presenza dei luoghi che l’hanno visto nascere e che sono raccontati nel diario di lavorazione che in questo senso è anche un libro di avventure.
Vasco Brondi e i luoghi in cui ha registrato “Un segno di vita”
Le registrazioni sono avvenute in un’isola in mezzo all’Oceano dove è sempre estate e nel lunghissimo inverno nebbioso della pianura padana e di Ferrara, in un seminterrato di Milano ma anche nel rifugio in alta montagna del mio amico Paolo Cognetti. A proposito di questo, non posso non citare quella volta in cui con Paolo siamo andati nel mitico bar benzinaio del paese chiamato Silly Monkey per vedere la finale degli Europei poi vinta dall’Italia. Stavano terminando le riprese de “Le otto montagne” ed era presente anche la crew di tecnici e produttori del film. Al nostro arrivo le persone ci guardavano con sospetto, poi abbiamo fatto festa tutti assieme. All’improvviso ci siamo trovati da soli perché quasi tutti sono andati direttamente a lavorare prima dell’alba.
Sempre parlando di luoghi, Vista mare l’ho scritta in un paesino che è un avamposto nel deserto sull’oceano e non volevo più tornare a casa. Stavo lì da due mesi, gennaio e febbraio, e non c’era niente a parte il sole, anche in pieno inverno, il vento e il silenzio. Le cose inestimabili. Poi alla fine sono tornato a casa, ma mi sono ripromesso di passare un po’ di tempo in quel posto ogni anno. Ci stanno alcuni miei simili, che da un punto di vista lavorativo nella vita non fanno quasi niente. Vivono con pochissimo, affittando una casa di proprietà in Italia oppure dando una mano in un bar, ma al massimo un paio di giorni alla settimana. Oppure aiutano a gestire gli airbnb facendo i check-in, ma impiegando soltanto poche ore del loro tempo.
Per il resto sono sulla tavola da surf, oppure a camminare in spiaggia o a fare yoga. A chiacchierare al bar o trovando altri infiniti modi di far passare il tempo. Ho affittato la chitarra da un signore inglese che vive lì da vent’anni e con quella chitarra ho scritto Vista mare. Uno dei momenti più memorabili della scrittura di Un segno di vita è avere coinvolto Nada, il regalo immenso che mi ha fatto quando abbiamo registrato insieme Fuoco dentro. Per registrare l’abbiamo raggiunta nella sua casa sulle colline a un’ora e mezza da Grosseto, una sorta di monastero. Lei la chiama la sua casa di cura perché tutta quella natura attorno le ha sempre portato guarigione.
Quella cena a casa di Nada
La sera in cui abbiamo registrato Fuoco dentro ci ha offerto una cena bellissima durante cui abbiamo bevuto del buonissimo vino insieme a suo marito Gerry che suonava nei “Camaleonti” e dopo io e Federico siamo tornati al nostro agriturismo per dormire. Il mattino dopo ci siamo svegliati per partire e un po’ rintronato dalla cena tiro fuori la macchina e prendo contro uno dei tubi innocenti nel garage. Sento la macchina scricchiolare male e l’ultimo ricordo è Federico che mi guarda ed esclama: “Vasco non scendere, è meglio che tu non veda la portiera”. Quindi come ricordo di questa collaborazione mi resta anche la portiera ammaccata a cui ormai mi sono affezionato.
Il viaggio che ha portato questo album alla luce è stato intenso e ho capito che scrivere canzoni vuol dire rintracciare segni di vita anche dall’epicentro del disastro. Calvino alla fine de Le città invisibili scriveva anche che c’è un’altra possibilità per non soffrire. Cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.