Simon Reynolds: «Sophie ci lascia un mondo “Instaglam”»
Quattro chiacchiere con il critico musicale Simon Reynolds, dal suo nuovo saggio a SOPHIE. L’intervista completa sul nostro numero di marzo
Parlare con Simon Reynolds è sempre un evento piacevole e costruttivo per ogni critico e appassionato di musica. È uscita da poco tempo per Minimum Fax questa ottima raccolta di pensieri e brevi saggi, Futuromania. Sogni Elettronici da Moroder ai Migos (nella sempre puntualissima traduzione di Michele Piumini). Come dice l’autore stesso «qui dentro c’è tutta una vita di ascolto elettronico». Per noi lettori è una fonte preziosa per capire l’«orgogliosa dipendenza» verso il futuro, verso il nuovo, che da sempre caratterizza la scena degli artisti di musica elettronica. Anche se non direttamente legata a questa uscita, Simon lascia per noi lettori di Billboard Italia una sua analisi su un’artista interessante del nostro tempo. Si tratta di SOPHIE, che come molti di voi sanno ci ha lasciato la notte del 30 gennaio. Potrete leggerla per intero sul numero di Billboard Italia di marzo.
La riflessione di Simon Reynolds
Probabilmente è troppo presto per parlare dell’eredità che ci lascerà Sophie, mi rattrista pensare a quale sarebbe stato il passo ulteriore che avrebbe fatto, quale direzione avrebbe intrapreso. Ero interessato a lei, sia a livello musicale che visivo.
Ciò che mi ha particolarmente attirato del lavoro di Sophie – non la trovate presente nel mio ultimo saggio Futuromania, piuttosto nel precedente mio lavoro sul glam, Polvere di Stelle – è stato il brano Faceshopping (presente nell’album Oil of Every Pearl’s Un-Insides, ndr), un sopraffino lavoro di digi-glam.
Formalmente, con quelle sonorità iper-lucide ma deformate, accompagnate da un videoclip dove avviene la de-costruzione e ri-costruzione del suo volto “postumano”.
Ma anche tematicamente è interessante: il concetto di base che sottende il “faceshopping”, ciò che ha provocato con i commenti sui social media e anche il fatto che presentiamo così al mondo una sorta di immagine bidimensionale, “piatta”, che è sempre più valorizzata digitalmente.
Mi ha incuriosito in Faceshopping e anche nella traccia It’s Okay to Cry, questa tensione tra esteriorità e interiorità.
Tra amore e rappresentazione
Nel testo di It’s Okay to Cry c’è la frase: «I think your best side is your inside», che gioca ancora sulla differenza tra la nostra “posa fotografabile” (ovvero “il tuo lato migliore”) e la verità profonda (“la tua interiorità”).
Tra selfie e il sé.
Alcuni hanno suggerito che il particolare titolo dell’album Oil of Every Pearl’s Un-Insides debba essere letto foneticamente: I Love Every Person’s Insides.
Quindi c’è una contraddizione tra l’amore per la rappresentazione teatrale del sé, come questa affascinante super-creatura, e la fede nell’autenticità che è sempre debolezza, vulnerabilità e danno.
Lo spettro dei suoni in SOPHIE e in artisti affini come Arca, gioca spesso su questa tensione tra “immacolato” e contaminato”. Suoni dai contorni lucidi e per contro rumori abietti e ritmi taglienti.
Penso a Faceshopping come un significante pensiero su ciò che oggi potremmo definire come “Instaglam”, ovvero la cultura odierna fatta di artifici e svendita di se stessi. Il fatto che tutto questo renda impossibile decidere se sia vero o falso, o sia da criticare o celebrare, fa parte del potere.