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Cesare Cremonini: «Giorgio Gaber, un mio angelo custode»

In occasione della rassegna “Milano per Giorgio Gaber”, Cesare Cremonini – intervistato da Marinella Venegoni – ha parlato del suo rapporto con il signor G

Autore Giovanni Ferrari
  • Il27 Aprile 2019
Cesare Cremonini: «Giorgio Gaber, un mio angelo custode»

Elena di Vincenzo

Mettiamo subito in chiaro una cosa. La rassegna Milano per Gaber non ha nulla a che fare con un ricordo nostalgico di chi non c’è più. Non è l’elenco di tutto ciò che ci piaceva, in un passato che ormai abbiamo lasciato alle spalle. E non è neppure un appuntamento ormai dato per scontato che, terminati i giorni di incontri e spettacoli, ci lascia così come eravamo prima. Una prova di questo è arrivata oggi, sabato 27 aprile, in occasione dell’incontro con Cesare Cremonini. L’artista, intervistato da Marinella Venegoni, ha raccontato del suo rapporto con Giorgio Gaber. E di come la sua musica lo abbia forgiato nel profondo.

Milano per Gaber, infatti, non è nulla di quanto scritto sopra. È l’esatto opposto. È la testimonianza viva (vivissima) di quanto oggi sia ancora attuale parlare di Gaber, parlare con Gaber. E pure il racconto di come – tramite l’arte e la creatività – si possa vivere per sempre, lasciando un segno che, forse, ognuno di noi si trova addosso. A volte senza nemmeno accorgersene.

Non a caso l’introduzione di Marinella Venegoni punta tutto sulla memoria e sull’importanza che ha al giorno d’oggi (nel mondo della musica e non solo). Ma attenzione: non è una memoria intesa come una notevole capacità mnemonica, bensì il fatto di far proprie le conquiste altrui. Memoria intesa come coscienza di ciò che ci ha preceduto e che, quindi, ci chiede di essere perlomeno conosciuto e approfondito.



L’incontro con Gaber

Dopo la proiezione di un’esibizione live di Cremonini sulle note di Al Tuo Matrimonio, l’artista bolognese è salito sul palco e ha iniziato a raccontare di come ha iniziato a conoscere il Signor G. «Ho conosciuto Gaber a ventitré, ventiquattro anni, dopo una sbornia molto grande, quella della mia carriera. Dopo il boom dei Lùnapop ero un imbecille incredibile», ha scherzato. «Il successo ti stordisce, non capisci se sei al centro dell’universo o se è tutta un’illusione. E non capisci nulla per un po’ di anni. Quando mi sono ripreso ho iniziato a riprendere in mano me stesso e mi sono trovato impreparato. Ero diventato solista e in Italia, quando vuoi diventare un cantautore, sei costantemente paragonato ad alcuni grossi nomi».

E così, Cremonini si è imbattuto nell’opera di Gaber: «All’inizio della mia carriera non ce l’avrei mai fatta se non mi fossi messo alla ricerca di padri. Gaber lo è stato per me: mi ha appassionato così tanto anche perché era un vero musicista. Una persona che non si era inventato una poetica partendo esclusivamente dai propri pensieri. Non ci si improvvisava musicisti, al tempo».

Una figura di cui abbiamo bisogno

La figura di un punto di riferimento nel mondo della musica, così come nella vita in generale, è fondamentale. La stessa Marinella Venegoni – riferendosi al collaboratore e amico più stretto di Gaber, Sandro Luporini – ha chiesto a Cremonini se non sentisse la mancanza di una figura come quella. «Secondo me un Luporini manca a tutti nella vita. Manca soprattutto agli artisti giovani. Io lo intendo come una persona amica, che ti protegge con sincerità. Una persona con cui puoi arricchirti veramente. Io mi auguro di trovarlo, un giorno. I giovani di oggi sono soli. E la solitudine nella creatività e nell’arte ti porta su strade sbagliate. Io continuo a cercarlo per il mio presente e per il mio futuro».

Poi ha spiegato: «Io non ho avuto un padre spirituale o artistico. Nella mia famiglia andavo di nascosto a cercare i vinili. Mia madre si è sempre dedicata ai figli e mio padre al lavoro. La musica in casa non c’è mai stata se non quelle lezioni di pianoforte che però appartenevano a una tradizione per cui la domenica, quando venivano amici di mio padre, finivo a suonare per tutti, su richiesta». E ha scherzato: «Gaber avrebbe distrutto questa abitudine borghese della mia famiglia».



«Le sue canzoni parlano di noi perché parlano di lui, nella sua più profonda intimità»

Ma in cosa sta la grandezza dell’opera di Gaber secondo Cremonini? «Aveva un’attenzione verso l’uomo, verso l’umanità di ognuno, che ha fatto diventare ogni canzone sull’uomo una canzone politica. Le sue canzoni parlano di noi perché parlano di lui, nella sua più profonda intimità». Oggi, quindi, è fondamentale cercare di dare valore alla canzone: «Quando parla dell’essere umano, va tutelata. Ovviamente la mia è una presunzione: so che dentro le mie canzoni c’è il sangue e quindi le difendo», ha spiegato.

Il dialogo è ricchissimo di spunti e di approfondimenti. Cremonini ha parlato del rapporto con il pubblico («Gaber l’ha trovato abbandonando la TV ed è stato l’unico che è riuscito a testimoniare un rapporto così forte con un pubblico, non televisivo e non mediato»). Ma anche dell’importanza della teatralità dei gesti: «Con l’ironia si crea un’empatia maggiore. Lui e Freddie Mercury sono simili in questo. Sono riusciti nell’intento di rendere teatrale uno spazio gigantesco. Io quando parlo del mio live a San Siro con i miei amici racconto sempre che mi sono trovato di fronte a qualcosa di enorme e avevo bisogno di angeli custodi. Erano Giorgio Gaber e Freddie Mercury».

E, a proposito degli stadi, Cremonini ha scherzato: «Gaber ha avuto un percorso completamente diverso dal mio. Io vengo qui in qualità di appassionato. Il mio amore folle fa sì che io possa parlarne. Ma potrei esserne un apostolo, un discepolo. E, in quanto discepolo, posso anche peccare e quindi andare negli stadi».

Ma anche la scrittura è una tematica che è stata approfondita da Cremonini: «Gaber e alcuni artisti come lui sono riusciti a innescare dentro di me il coraggio di pensare che la musica leggera potesse contenere un’autoanalisi. Questa è importantissima per me. Per la mia sopravvivenza. Quando non riesco a scrivere per un po’ (ad esempio mentre sono in tour) mi escono delle lacrime perché non ho un interlocutore».



Le problematiche della situazione attuale

Cremonini ha affrontato poi il tema dell’informazione: «Oggi cercare una sola verità è complesso. Anche andare in TV e nei grandi media e parlare è difficile: siamo tutti un po’ paralizzati dal contesto, da cosa bisogna o non bisogna dire». E ha concluso: «Tutto il meglio che è stato creato nel Novecento è nel nostro telefonino. La nostra ignoranza non ha un alibi. Se sono ignorante oggi è solo colpa mia».

«Hai mai scritto canzoni “gaberiane”?». A questa domanda di Marinella Venegoni, Cremonini ha risposto: «Alcune sì, secondo me. Più che altro perché ho portato avanti alcune analisi personali. Un esempio è Nessuno Vuole Essere Robin. Parla di una coppia. Uno dei due inizia a trattare il proprio cane come un essere umano. Ma lo fa solo per avere una scusa per non parlare con l’altro». E ha spiegato: «Quando è uscita non sapevo come sarebbe andata. Sono sempre stato convinto che fosse una canzone che avrebbe potuto aprire un contatto diretto con il cuore delle persone e con le loro difficoltà. A volte è difficile continuare nel tempo a dire al pubblico “Non sono io, siamo noi, ti capisco, soffro questo tempo e le sue nevrosi, le sue paure, insieme a te”».

Insomma: Cesare Cremonini, pur non avendo mai visto Gaber dal vivo («È una cosa di cui mi vergogno», ha confessato), l’ha conosciuto. A fondo. Quello che lega l’artista di Bologna al Signor G è molto più che un’ammirazione. Né Cremonini né Gaber sono divinità che richiedono adulazione o un continuo assecondare delle idee. Ma quello che ci hanno insegnato oggi è che esistono ancora artisti che vivono il proprio mestiere con sincerità. Prima di tutto nei confronti di se stessi. È solo la continua lotta contro il relativismo (che ci dice che tutto è uguale) che rende tale un artista. È solo lo struggimento di chi non si accontenta di facili verità (e che, quindi, lavora a fondo su se stesso) che porta a una canzone che avvicina mondi apparentemente lontani. E, perché no, ci fa sentire anche tutti meno soli. Alla ricerca, ognuno, del nostro Luporini.

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