James Blake a Milano, un perfetto show “sartoriale” tra ricami soul e borchie techno
Ormai richiestissimo dal gotha del mainstream (da Travis Scott a Kendrick Lamar), ieri sera ha incantato la platea milanese presentando le canzoni nuove e chicche come versione da pelle d’oca di “Goodspeed” di Frank Ocean
Ieri sera James Blake si è esibito in concerto al Fabrique di Milano. Doppia curiosità per questo appuntamento, perché c’è da rivedere uno degli artisti britannici dalla voce più incredibile in circolazione. Ma soprattutto siamo curiosi di capire come funzionano le nuove canzoni di un album che è uscito da pochissimo. Si tratta in pratica della prima vera esecuzione sul palco delle canzoni di Playing Robots Into Heaven, l’album che lo riavvicina al dancefloor e alle sue origini.
L’arrivo sul palco del Fabrique
Ci è voluto un po’ di tempo per vedere riempirsi il Fabrique (causa la pioggia e uno sciopero dei trasporti singhiozzante). A rimetterci è stato il povero Actress, che non ha potuto far breccia sullo stato emotivo di un pubblico ancora distratto nel prendere posizione nel locale. E soprattutto per la mancanza di una vera scenografia per lui.
Alle 21.30, con un piccolo ritardo sulla tabella di marcia, ecco arrivare James Blake sul palco del Fabrique, accompagnato dai suoi due musicisti che da sempre sono con lui. Ovvero il batterista Ben Assaiter e il chitarrista e anche lui ai synth Rob McAndrews.
Le pulsazioni di Asking to Break e il dubstep stellare di I Want You to Know aprono il set. Da subito ci confortiamo a sentire che la voce di James Blake è sempre bellissima. A spezzare subito la sequenza di canzoni da Playing Robots Into Heaven ci pensano due capolavori della sua discografia. La cover di Limit to Your Love (non so quanti del pubblico sanno che il brano è di Feist…), che lo fece scoprire al grande pubblico tredici anni fa. E la magnetica Life Round Here, che arriva dal suo secondo album Overgrown del 2013.
Dopo l’eccitazione con i ricordi dal passato, parte il terzetto di singoli che sono un po’ l’ossatura del nuovo album. La robusta e africaneggiante Big Hammer, Loading e i beats metallici di Tell Me. Con una improvvisa virata verso gli esordi con il mash up di CMYK (una delle primissime composizioni di James Blake) e Stop What You’re Doing, Blake sottolinea il suo interesse nel recuperare quell’energia del clubbing che fa parte del suo DNA. Le nuove canzoni funzionano, forse nel cambio di ritmo ci sono delle piccole sbavature. Ma sono assolutamente giustificabili, perché – ribadiamo – è la prima volta che James Blake esegue in concerto queste composizioni.
Il concerto di James Blake a Milano, tutte le sfumature della club culture UK
Lui però si sente a suo agio, è coinvolto ed è visibilmente felice della risposta del pubblico milanese, lo saluta e lo ringrazia più volte. A vederlo sul palco con il suo completino grigio, la sua compostezza nello stare sul palco, seduto davanti ai suoi synth e campionatori, mi ricorda un giovane sarto di Savile Row.
Cuce con perfezione ed estrema cura i tagli davvero eleganti del suo ampio materiale sonoro. Un materiale che va dalla techno ruvida, genere con il quale indugia sorprendentemente nel set di stasera, alle setose atmosfere che addirittura recupera da antichi cassetti della memoria collettiva (certi echi di doo-wop anni ’50). Come accade nella bellissima Hummingbird, scevra dei producer tag del nuovo Re Mida della trap, Metro Boomin.
Verso la fine spunta a sorpresa anche una cover stupenda di Godspeed di Frank Ocean. Conclude lo show, dopo un’ora e quaranta minuti, con la title track del suo nuovo album.
Sarà che mi faccio influenzare per questo paragone, o il fatto che da oggi inizia la nuova Fashion Week a Milano, ma ieri sera abbiamo assistito a uno show dove hanno sfilato con sublime perfezione tutte le sfumature e i cromatismi della club culture britannica secondo il “sarto” James Blake. E io questi abiti li indosso con grande piacere.