Premio Tenco: da Marracash a Baglioni i segni del cambiamento. Intervista a Sergio Staino
La Targa al rapper per il miglior album in assoluto e il Premio al cantautore che in molti continuano a considerare troppo pop. Siamo andati a Sanremo e abbiamo incontrato il Presidente del Premio, il dissacrante fumettista. “Oggi manca la goliardia degli inizi però abbiamo portato la commistione di generi”. E aggiunge: “Se gli artisti non si esprimono più è anche colpa di noi di sinistra. Chi non canta Bella Ciao offende la storia e non lo sa”
Premio Tenco 2022, 45esima edizione appena conclusa. Come è cambiato il tempio della canzone d’autore di Sanremo? La manifestazione dove si sono incontrati Ivan Della Mea, Giorgio Gaber, Sergio Endrigo, Francesco Guccini, Umberto Bindi, giusto per citare solo i primi nomi?
Inutile girarci attorno: il Premio Tenco, rassegna curata dal Club Tenco (che invece di anni ne compie 50) è sempre stato visto come il luogo dove veniva coltivata e curata con amore la canzone impegnata e dall’elevato potenziale culturale. Un po’ in contrapposizione al Festival di Sanremo, terra della canzonetta pop. Quest’ultimo, poi, è sempre stato visto dagli addetti ai lavori come il regno della frenesia assoluta per esigenze pressanti di promozione. Mentre il Premio Tenco era un’oasi di serenità e goliardia, dove i giochi ormai erano fatti, senza dover sottostare alle regole di gara. Ma oggi? Come si pone questa istituzione nei confronti della musica contemporanea dove la canzone d’autore non la fa più da padrona?
Giovedì 20 ottobre siamo andati a Sanremo nel giorno della consegna delle Targhe (i riconoscimenti stabiliti da una giuria di più di 200 giornalisti e addetti ai lavori) e abbiamo scambiato qualche impressione con Sergio Staino, presidente del Premio Tenco (il premio che viene stabilito dal direttivo di 9 membri del Club Tenco). Fumettista, ex direttore dell’Unità, protagonista di primo piano della vita politica e culturale italiana dagli anni ’70.
Sul palco è salita una line up di artisti piuttosto inusuale. Ha iniziato, con un’ottima dose di sicurezza, Madame che ha ricevuto la doppia targa Tenco per la Miglior Opera Prima e la Miglior Canzone dell’anno scorso (ma non era riuscita a ritirarla perché non stava bene). Poi Ditonellapiaga (Miglior Opera prima per Camouflage), che ha riconfermato le sue abilità di performer. Il mix rock-rap dei napoletani ‘A67 (Miglior Album in dialetto per Jastemma). Il cantautore e Premio Tenco Gualtiero Bertelli, l’artista di sicuro che ci si sarebbe aspettati di più sul palco. Simona Molinari, premiata con la targa Tenco come Miglior Interprete per Petali.
E infine la più grande sorpresa: Marracash. Noi di Billboard abbiamo consegnato a lui la Targa per il Miglior Album in assoluto a nome di tutta la giuria. È stata la prima volta che un rapper è salito sul palco dell’Ariston per il Tenco per un tale riconoscimento. Se si esclude la Targa vinta da Caparezza nel 2014, autore però già da anni riconosciuto anche dagli intellettuali più intransigenti.
Cosa ne pensi degli artisti che si sono esibiti nella serata delle Targhe?
Posso dirti che sono andato a letto molto contento. Già la prima giornata era stata entusiasmante. Morgan ha tenuto una master class ai ragazzi di una scuola secondaria di Imperia su che cosa fosse una canzone ed è riuscito davvero a interessarli. Poi la sera delle targhe, che dire. Ero contento. Vedere questi giovani così entusiasti e vedere una panoramica di generi così diversi, ciascuno con la propria pregnanza culturale, mi è piaciuto tantissimo. Perché magari non riesco a seguire Madame o Marracash. Faccio davvero fatica a capire le parole. Però trovo il loro rap molto interessante dal punto di vista sociologico.
Pensi che, in generale, gli artisti dovrebbero intervenire di più nel dibattito politico?
Vengo da una gioventù in cui l’elemento politico e quello musicale erano fortemente compenetrati. La canzone serviva come preparazione alla lotta, ora nessuno sogna più di fare una cosa simile. È chiaro che la politica si fa se c’è una cultura alla base. Il primissimo impulso alla politica è avere interesse per ciò che si ha intorno, a partire dalle persone. Poi deve essere un interesse mirato alla comprensione, alla solidarietà e all’amicizia. Se c’è questo atteggiamento, è molto più semplice esprimere questi sentimenti e valori attraverso una canzone. Si può notare in una canzone dichiaratamente politica oppure in una d’amore. Al suo interno ha così tanto sentimento e così tanta poesia che può diventare politica proprio per la sua capacità di comprensione e di incontro con l’altro.
E oltre che nella musica dovrebbero esporsi anche pubblicamente?
La disgregazione politica in chiave populista è stato un peccato di cui subiamo ancora le conseguenze, e questa cosa è partita anche da noi di sinistra. Chi amava di più la politica l’ha rovinata maggiormente. Quando è passata l’idea dell’antipolitica e che tutti i politici fossero uguali anche noi ne abbiamo colpa. Ero anche io all’Hotel Raphael di Roma a tirare le monetine a Craxi.
Quando Laura Pausini dice che non canta Bella Ciao offende la storia generale della civiltà mondiale, e in particolare dell’Italia, senza nemmeno rendersene conto. Questo accade perché c’è un sentimento generale di allontanamento dalla politica che porta a lavarsene le mani. Sai che se dici una cosa generica non sbagli e puoi sempre vendere i tuoi dischi. Se invece prendi una posizione è molto più rischioso.
C’è qualcosa che ti manca dei primi tempi del Tenco?
Quello che mi manca molto del Tenco è la sua componente goliardica. Ora non c’è più per due motivi. Il primo perché non ci sono più certe persone che, in modo molto intelligente, erano animate da questo spirito di scherzo collettivo e di gioco. Amilcare Rambaldi era il numero uno, con la sua capacità di dissacrare e al tempo stesso riconoscere la qualità. Manca un po’ questa abilitià di trasportare gli artisti in questo gioco goliardico e amichevole. Prima magari poteva capitare che arrivasse un Roberto Benigni nel dopo- festival e improvvisasse con De Gregori e Paolo Conte. Cantavano, bevevano insieme e si prendevano in giro. Oggi se succedesse una cosa simile ci sarebbero centinaia di telefonini a fotografare tutto. In pochi minuti gli artisti finirebbero sui social e basta, finita la spontaneità e la privacy.
All’epoca potevi anche levarti le mutande per scherzo e non ti ritrovavi in copertina. Vedi un po’ Berlusconi com’è finito in questa società dell’immagine.
E c’è invece qualcosa che prima non c’era e ora ti fa piacere ci sia?
Questa commistione di generi. La cosa che la maggior parte di noi ha capito è che i tempi erano cambiati. Il Tenco era nato in contrapposizione con il Festival di Sanremo, mosso dal voler far entrare dentro il circuito mediatico le voci più dissonanti rispetto alla società. Il suo intento era valorizzare quel tipo di intervento culturale, in contrapposizione all’eccessiva commercializzazione e normalizzazione rappresentata dal festival di Sanremo. Le cose sono andate avanti, ci sono stati degli scambi tra le due realtà. Per esempio, un Sergio Endrigo, che è un cantautore riconosciuto da chiunque, oggi sarebbe sia del festival di Sanremo sia del Tenco.
Il Premio Tenco a Claudio Baglioni che avete consegnato sabato sera è un altro segnale di grande cambiamento.
Quanto sono stato criticato su Baglioni! Ma di lui, credo non sia stato valorizzata abbastanza la capacità di raccontare valori e sentimenti. Inoltre penso ci sia stato un grande conformismo di fondo a legare il suo nome ad alcune sue canzoni meno interessanti dal punto di vista poetico. Però c’è un campionario enorme di produzione molto importante di Baglioni. Ho avuto la possibilità di leggere un suo diario del 1979 e sono rimasto impressionato dalla qualità culturale, solidale e poetica che vi ho trovato. Si merita totalmente il premio. Quando qualcuno ottiene un successo così clamoroso. Cinquant’anni fa una serata come quella di giovedì sera con la consegna delle Targhe sarebbe stata impensabile, ci sarebbe stato solo Gualtiero Bertelli!