Canova: «La società non era pronta al “Tutti uguali” della pandemia»
Matteo Mobrici, frontman dei Canova, ci racconta la nascita del loro nuovo singolo uscito oggi. E confida le sue paure, anche a lockdown terminato
Avrebbero dovuto presentare il loro terzo album di inediti al MI AMI, a Milano, festival rinviato al prossimo anno – come molti altri appuntamenti che aspettavamo con ansia – a causa del Coronavirus. I Canova, però, hanno pubblicato oggi, venerdì 26 giugno, un nuovo singolo dal titolo Tutti Uguali.
Un nuovo tassello da aggiungere nel percorso verso l’album. E, allo stesso tempo, un inno di positività e di aggregazione nato durante il lockdown, come ci ha raccontato il frontman, Matteo Mobrici.
Tutti Uguali è nato in quarantena. Da dove è nata questa esigenza?
È stata una scrittura di reazione a un momento particolare. Ognuno di noi ha vissuto a modo suo il lockdown. Io personalmente l’ho vissuto un po’ come una prigione: l’ho passato in una casa a Milano da solo. Era tutto molto incerto sia dal mio punto di vista di cittadino ma anche di musicista. Questa è la prima volta che un mestiere come il nostro (che punta tutto sulla libertà) ha dovuto interrompere tutti i suoi programmi. C’era un disco che doveva uscire a metà maggio ma non è stato possibile concluderlo. In questo momento di grande vuoto e negatività, in una decina di minuti è nata questa canzone che è tutt’altro. Mi sono accorto che sia come sound che come testo ha una spinta verso il futuro.
Un messaggio positivo, insomma…
Sì, uno sguardo positivo, di aggregazione. La musica e il testo seguono un filone di insieme. Ho pensato che potesse uscire immediatamente questo brano. Sai, io credo fortemente che ci siano delle canzoni che devono uscire vicine al periodo della propria nascita. Credo che questo sia un brano figlio del suo tempo. Sia per le questioni legate al lockdown sia per i temi legati al problema di uguaglianza che sono emersi in queste settimane in America…
Hai parlato del vostro terzo disco, che avreste dovuto presentare al MI AMI. Come avete riorganizzato il tutto dopo l’arrivo dell’emergenza sanitaria?
Ci siamo trovati con le spalle al muro. C’era tutto un programma ben preciso. C’era un’idea di tour estivo che poi non è stato nemmeno annunciato. In questo momento, visto che non ci sono date certe, è ancora tutto un cantiere aperto. Ma vogliamo stare attenti a non buttar fuori cose che muoiano lì. Se non abbiamo possibilità di fare promozione, di incontrare i fan e di fare i concerti, tutto questo diventa un lavoro veramente duro, quasi da accantonare. È giusto “temporeggiare” in certi momenti.
In questi mesi, però, avete pubblicato alcuni pezzi con l’idea di accompagnare il percorso dei fan verso il disco. Ma allora… ha ancora senso parlare di album?
Secondo me, anche in un’era come questa fatta di playlist, un album è fondamentale perché altrimenti non ci sarebbero le cosiddette “canzoni da album”. Io sono fan di un sacco di canzoni che non sono mai diventate singoli per tutta una serie di motivi. Secondo me nell’album c’è modo di proporre il racconto di un percorso di vita che non deve avere necessariamente i canoni di appeal radiofonico ecc.
Detto questo noi non avevamo pubblicato dei veri e propri singoli ma delle anticipazioni, proprio perché ci stavamo avvicinando a un’idea di disco. Essendo coscienti che oggi il giorno in cui ti esce un disco già il giorno dopo ti chiedono quando esce quello successivo, anticipando un po’ di canzoni assicuri una vita un po’ più lunga al progetto. È giusto così ma nessuno sa cosa c’è dietro al lavoro per un album: ci vuole tempo. I dischi sono ancora delle raccolte importanti.
Come si è radicato il convincimento per cui, invece, non siamo tutti uguali?
Sicuramente in un periodo come questo, lo slogan del “tutti uguali”, al posto di essere una frase banale, è una vera e propria provocazione. L’esperienza del Covid ha livellato totalmente le classi sociali. Hanno avuto paura sia i ricchi che i poveri, gli occupati e i disoccupati. E idem a livello globale: qualsiasi tipo di persona è stata a rischio.
La società non era preparata a questa uguaglianza. Anche chi ha i villoni non era pronto a una cosa del genere. Se poi ci metti pure il discorso uscito in queste settimane negli Stati Uniti, mi sembra di aprire un libro di secoli fa. Queste sono quelle situazioni che vanno fotografate. Spero che siano situazioni a sé e che non si creino fenomeni. Anche i media tante volte ci si mettono in mezzo.
Nel brano canti “ci sono cose che mi fanno paura, ma non per questo non esco la sera”. Cosa ti fa paura oggi?
Ho 31 anni. Questa è una fase in cui passi da una post-adolescenza che dura chissà quanto a una fase comunque adulta. Cambiano i sentimenti e con essi anche le cose che ti piacciono. E pure le paure. Mi interessava inserire anche questo sentimento. È una sensazione che provo anche adesso che siamo “liberi”, fuori di casa.
Il videoclip è molto particolare. Qual è l’idea che c’è sotto?
Dovremmo chiederlo ai registi che sono Lorenzo Silvestri e Andrea Santaterra. Secondo me non hanno sfruttato più di tanto la tematica (sarebbe stato un po’ banale, da evitare…) ma hanno puntato sulla velocità e sulla musicalità del brano. Il video viaggia su un canale suo. Ci potrebbe addirittura essere un altro pezzo sotto. Da quando ho visto il clip finito, però, ogni volta che ascolto il pezzo penso al video. Ci deve essere una visione artistica a sé stante: è questa la forza del videoclip.
In queste ultime settimane molti artisti si sono esposti chiedendo tutele per i lavoratori del mondo della musica e sono emerse prepotentemente le posizioni di molti che, in fondo, considerano la musica come un puro divertissement. Cosa ne pensi?
Io per un contrattempo mattutino non sono riuscito ad andare al flash-mob in piazza Duomo, ma avevo in programma di andarci. Citando il mio primo disco, ti direi che “hanno ragione tutti”, soprattutto in questa fase in cui ci sono tanti lavoratori non considerati. Oggi il mio primo pensiero va ai tecnici e a tutte le persone che stanno dietro le quinte. C’è un po’ la paura di non avere una soluzione a portata di mano. Questo accelera ancora di più le cose.
Stiamo andando a inserirci in una fase politica in cui ci sono tantissimi problemi. Già l’Italia è problematica di suo… In più in una situazione del genere – con una gestione che fa acqua da tutte le parti – anche la situazione artistica ne risente. Ma non è una questione solo della musica: penso al cinema e ad altri mondi. Ci sono tutte quelle figure che stanno dietro le quinte e che non hanno mai i riflettori addosso. Secondo me oggi è giusto che si mettano i fari su di loro.