Chiara Galiazzo: «Il “Bonsai” ti aiuta a non dare nulla per scontato»
Il nuovo album di Chiara Galiazzo è Bonsai – Come fare le cose grandi in piccolo. Un progetto che guarda all’ambiente e alla cura di ciò che si ama
È risaputo che nel diciottesimo secolo si inauguravano i grandi romanzi con le invocazioni al lettore e, soprattutto, con le dichiarazioni di intenti. Qualche riga usata per mettere in chiaro, fin da subito, di cosa si sarebbe parlato nei capitoli successivi, tra lo svolgimento di una trama e la conoscenza di nuovi personaggi. Il titolo del nuovo album di Chiara Galiazzo, Bonsai (Come fare le cose grandi in piccolo), uscito oggi venerdì 3 luglio per Sony Music, ricorda un po’ questa antica abitudine. Come a voler dire: con questi brani provo a raccontarvi come poterci concentrare sulla bellezza delle cose piccole. Che, a dir la verità, possono diventare le più grandi in assoluto.
Tra brani ambientati nelle più svariate parti del mondo e tematiche quotidiane di una ragazza che ha superato i trent’anni, Chiara Galiazzo ha voluto condividere con il suo pubblico tutto ciò che rappresenta questo suo momento nell’industria discografica. Così spesso complicata e piena di diktat, che a volte rischiano di farci perdere la bussola. L’importanza della cura e dell’attenzione.
Ne abbiamo parlato con Chiara.
Il titolo di questo album parla dell’arte della pazienza. Una cosa su cui molti hanno riflettuto durante la quarantena. Ma tu, per certi versi, ci eri già arrivata…
Sì, ci lavoravo già da un bel po’. Il titolo Bonsai l’avevo deciso già da almeno un anno, da prima di Pioggia viola. Il modo con cui ho fatto quest’album è stato semplicemente applicando questa regola. È chiaro, quindi, che fin dall’inizio ho deciso che questo album si dovesse basare sulla pazienza e sulla cura delle piccole cose. Non credo di aver mai avuto le idee così chiare. Ho riscoperto l’amore per la natura e per le piante. Volevo che l’album parlasse anche dell’importanza di aver rispetto del pianeta. E poi… tutto mi aspettavo tranne che ci fosse una testimonianza così forte che siamo solo ospiti in questa terra. Colpo di scena (ride, ndr).
A proposito… A novembre hai pubblicato L’ultima canzone del mondo e il video ha coinvolto anche Greenpeace per sensibilizzare sulla tematica dell’ambiente, dei cambiamenti climatici.
Esatto. Anche in Pioggia Viola dico che “ho un Bonsai come migliore amico”. Il concetto torna sempre, insomma. Il video de L’ultima canzone del mondo è nato dopo che, ad agosto, sono stata in vacanza in Islanda. Lì mi sono resa conto che i ghiacciai si stanno sciogliendo. Ho avuto di fronte ai miei occhi una grande evidenza. Chi può parlarne, deve farlo. La questione del cambiamento climatico è il prossimo topic della vita. Sarà una cosa di cui parlerò anche nel prossimo futuro.
Scrivi che “si può dire che il bonsai è l’arte mai finita. È sempre compiuto ma anche sempre incompiuto”. Pensi che oggi ci facciano paura le cose “incompiute”, perché abbiamo bisogno di incasellare subito tutto? Facciamo fatica ad accettare una cosa in movimento, in costante crescita?
Sì, lo vedo su di me. Io non sono tanto incasellabile. Come persona e pure come artista. Ti faccio un esempio: secondo me questo album è il proseguimento di Nessun posto è casa mia, perché i pilastri dai quali ho iniziato sono simili. Però non può essere uguale. Io non la penso come la pensavo anni fa. È per questo che non siamo mai finiti. Il Bonsai è bello perché non ti dà mai la possibilità di darlo per scontato. Ti può morire da un momento all’altro (ride, ndr).
È complicato tenerlo vivo, eh?
Sì. Ma infatti guarda che anche io non sono così tranquilla eh (ride, ndr). Ci vuole tanta pazienza.
Oltre al concetto di pazienza e di cura, nel disco è centrale il tema del viaggio, che giustamente viene definito come reale ma anche emozionale. Quali sono stati i viaggi che ti hanno segnata di più?
Senza dubbio il Giappone. Pensavo che loro mettessero le mascherine per proteggersi dagli altri. Con mio enorme stupore ho scoperto che invece se la mette chi ha il raffreddore, per proteggere gli altri. Questa cosa mi ha colpito al tempo: è un puro esercizio di altruismo. Ora che andiamo in giro anche noi con la mascherina, questo funziona solo se la indossiamo tutti. Dai miei viaggi in Giappone ho imparato molte cose, poi lì sono appassionatissimi degli italiani. Sono stata benissimo, tanto che sono tornata due volte. La stessa canzone Bambola Daruma viene da lì. Questa bambola ha delle storie assurde… Loro sono molto spirituali, ma con un senso differente rispetto a noi.
A proposito, in Bambola Daruma canti “Se solo potessi attraverso i miei occhi farti vedere tutto quello che sei, cancellerei in un colpo tutti i tuoi mostri e ti salverei”. Ti è mai successo che un’altra persona riuscisse a vedere cose tue che non sapevi nemmeno di avere? Che effetto fa?
Molto spesso. Infatti questa canzone è nata per questo. Il messaggio è: se vuoi aiutarti con un amuleto, fai pure. Ma se vuoi aiutarti per davvero, devi farlo da solo. Magari tante volte – presi da paranoie – non ci accorgiamo di avere gli strumenti per risolvere i problemi. La bambola daruma è un punto di partenza. E, sì: fa bene che ci siano delle persone che ti vedono per quello che sei.
Hai detto che in questi anni hai notato che le persone che ti seguono un po’ ti assomigliano. Come mai?
A un certo punto, andando avanti, chi è interessato a quello che dici, continua a seguirti. Altrimenti va altrove. Sono seguita da tante ragazze della mia età. È per certi versi semplice, perché è come se parlassi a me stessa. Da quello che mi scrivono sono assolutamente sulla mia lunghezza d’onda. E poi, dai: c’è un “nerdismo” che mi piace (ride, ndr).
Come hai passato la quarantena? E come stai ora?
Ti dico una cosa: sto leggendo un libro sul sistema immunitario post Coronavirus. Lo aveva consigliato la Palombelli in un programma e me lo sono comprato. Prima di fare questa intervista, ero lì alle prese con i linfociti. Per settimane e settimane, in quarantena, non sono riuscita a guardare o a leggere niente. Il mio cervello si era appiattito. Ho solo suonato tantissimo. Ne ho approfittato per migliorarmi al piano: non ci cantavo neanche solitamente. Ora leggo solo cose scientifiche, sullo sviluppo dell’umanità. Non leggo romanzi perché sono troppo leggeri. Anzi, ti consiglio Homo deus e Sapiens di Yuval Noah Harari. Pesantini ma belli. Non sono leggera in questo periodo. Ma va bene così.
Anche tu hai pubblicato una tua foto con il tuo nome, il tuo lavoro e l’hashtag #iolavoroconlamusica. Come vedi la situazione del mondo live nel post-lockdown? Tu faresti live in questa nuova forma?
Per quanto riguarda i concerti, sì: li farei. Credo che se si è all’aperto e si è distanziati e con poche persone, non ci sia nessun motivo per non farli. Sarebbe una cosa più regolamentata rispetto a tante altre cose. Credo poi che il Coronavirus abbia mostrato una situazione che già non andava bene. Spero che arrivati a questo punto, si possa migliorare. Quando si arriva a un punto così critico, o si migliora o si perisce. Speriamo nella prima.
Ho visto che nelle scorse settimane hai supportato il tuo amico Michele Bravi, in gara ad Amici speciali. Quanto è importante per te avere rapporti così sinceri nel mondo professionale?
Lo supporto sempre. È una grande fortuna per me. Io sono una persona che non fa amicizia con tutti. Sono simpatica con tutti, per carità. Ma l’amicizia è un’altra cosa, secondo me. Può capitare, poi, che con determinate persone – che si contano sulle dita di una mano – si possa arrivare a un rapporto sincero. Questa cosa di fare squadra tra artisti si fa poco. Ma io posso fare squadra con chi conosco. Quando ci sono questi scambi e queste amicizie, è giusto così. È sempre successo, ma forse oggi è più inusuale. Per me è un’amicizia normale. Gli amici si supportano sempre. E poi, dai: è pure bravo. Non è mica tanto difficile supportarlo (ride, ndr).