Emma Nolde: «Amo parlare di questioni scomode in modo sincero»
In occasione dell’uscita del suo terzo album “NUOVOSPAZIOTEMPO”, con la musicista, cantautrice e producer toscana abbiamo parlato della genesi del suo progetto e delle difficoltà incontrate nell’essere una produttrice in un mondo musicale prettamente maschile
Emma Nolde è l’artista a tutto tondo di cui in giro, in questo momento, si sentiva davvero un gran bisogno. Oggi pubblica il suo nuovo album, il terzo della sua carriera e il primo per Carosello Music, Nuovospaziotempo. Multistrumentista, cantautrice, produttrice (sì oggi se la sente di definirsi anche così), una fresca classe 2000 che affronta i temi della contemporaneità con profondità e intelligenza, senza mai eccedere.
Prova ne è anche lo show-case che ha tenuto martedì scorso allo Spazio Pergolesi a Milano dove si sono recate più di 200 persone tra giornalisti, addetti ai lavori e altri artisti. Per questo, Emma Nolde viene scelta oggi come artista Billboard Women in Music, perché è un chiaro esempio di empowerment femminile in modo spontaneo.
In NUOVOSPAZIOTEMPO ci sono solo tre feat e sono tutti artisti con una sensibilità vicina a quella di Emma Nolde. Niccolò Fabi in Punto di vista e Mecna e Nayt in Punto di domanda. In NUOVOSPAZIOTEMPO, la prima cosa che colpisce, insieme a un suono decisamente pieno e riuscito, è una necessità urgente di esprimersi che emerge dai testi.
«Nasce in un momento in cui non sopportavo davvero più la fretta», ci racconta Emma negli uffici della sua casa discografica a Milano. «Ero sempre in tour, arrivavo in un posto e non avevo tempo di riposarmi. Prima di andare a letto leggevo i messaggi, stessa cosa quando mi alzavo al mattino. Quindi ho iniziato a sentire che nelle mie giornate non c’era mai uno stacco vero e proprio. Così ho iniziato a desiderare moltissimo di fermarmi».
L’intervista a Emma Nolde
Qual è stata la prima cosa che hai capito quando lo hai fatto?
Che noi umani siamo diventati degli “animali diversi” e viviamo un NUOVOSPAZIOTEMPO, appunto, perché abbiamo reinventato le misure temporali dato che ora possiamo lavorare e in qualsiasi momento, anche dal nostro letto di notte. E poi anche i luoghi: continuano ad esistere quelli fisici ovvio ma dobbiamo confrontarci con Google Maps, Google Earth e iCloud.
Quando è nata precisamente l’idea del titolo?
Quando ho finito di scrivere il discorso per il mio TEDX a Verona nel 2023, il titolo era L’utilità dell’inutile.
C’è un brano che mi ha particolarmente colpito, Sirene, ti riferisci a una persona della tua famiglia che ha sacrificato i suoi desideri per gli altri. Perché non vuoi dire a chi è dedicato di preciso?
Perché non vorrei indirizzare il discorso in maniera precisa. Mi piace che ognuno possa avere delle idee diverse. Un mio amico mi ha detto che credeva fosse rivolto a un trans. Un altro a me. Penso sia meglio non rivelarlo, così ognuno può cercare la sua risposta.
Hai sofferto mentre lo scrivevi?
Sì, ho cercato di essere molto attenta. Perché quando scrivi un testo riferito a una persona che conosci così bene devi pesare ogni singola parola. Mi piace decidere di parlare di questioni che potrebbero essere scomode in maniera sincera.
NUOVOSPAZIOTEMPO è nato tutto in Toscana o anche mentre eri in tour?
Tra una data e l’altra buttavo giù molte idee in furgone. Poi l’ho registrato a Livorno con la mia band.
Senti ancora la pressione che ti ha spinto a scrivere molti brani del tuo album? Come la plachi?
Certo. Sai vivo a San Miniato, un paesino in Toscana dove le persone per vivere fanno tutt’altro e spesso parlano di questioni più concrete di quelle che preoccupano me. Questo mi aiuta molto. E poi imparare piccole cose che non sapevo fare mi dà molta gioia, come suonare una canzone al pianoforte o alla chitarra che non ero mai riuscita a fare prima.
Emma, nel mondo della musica la parità non è stata assolutamente raggiunta. Forse per le addette ai lavori va un po’ meglio?
Io vedo più divario proprio tra gli addetti invece: quando vado a suonare da qualche parte non mi capita mai di trovare donne che lavorino come addette alle luci o come tecniche del suono! Mi sarà capitato solo due volte in 5 anni che suoniamo e sono sempre stati degli incontri molto belli. Perché per me è importante che ci siano entrambi i tipi di sensibilità, sia quella maschile che quella femminile. Invece mi sembra che vada meglio dal punto di vista artistico, mi sembra che chi abbia davvero in mano la situazione in questo momento siano donne. Come Billie Eilish per esempio, che mi pare l’artista più influente di questo periodo.
Cosa si potrebbe fare per migliorare questi stereotipi?
Penso che si potrebbe lavorare per esempio sui modelli che vengono proposti alle ragazzine. Non viene proposto loro di giocare con il trattore ma nemmeno di suonare la batteria. Spero che le abitudini che abbiamo come genitori e come società inizino a cambiare.
Perché le donne fanno fatica ad avvicinarsi al lato tecnico? Anche a definirsi producer, per esempio.
Premetto che io lavoro con tutti uomini e con loro mi trovo benissimo, dal punto di vista personale mi piacerebbe soltanto che ci fossero più donne per ascoltare punti di vista differenti. Poi, vedo, anche se per fortuna non nella mia cerchia di amici e colleghi, moltissimi uomini che vogliono imporre il loro punto di vista, proprio da mansplaining da manuale. Si avvicinano e dicono: “Aspetta, ti dico io come si fa, senza il mio approccio non potrai mai farcela”. È veramente una tendenza che avvertiamo in molte. Per questo, molte artiste non se la sentono di definirsi producer perché hanno paura che poi il loro collega si senta prevaricato.
Anche tu hai fatto fatica ad ammettere di essere una producer anni fa?
Penso che quello che sto dicendo possa essere compreso da qualsiasi donna, in qualsiasi ambito. Penso che gli uomini vogliano avere sempre un ruolo ben definito in tutto quello che fanno. Per esempio, quante volte mi è successo di sentire quanto vogliano prendersi il merito? Anche a cena, ho sentito uomini dire: “Questa cosa l’ha cucinata lei, ma l’avevo pensata io!”. Credo che noi donne non abbiamo la necessità di sottolineare tutto quello che facciamo. Io la vedo innazitutto nelle donne della mia famiglia: mia mamma, mia nonna e le mie sorelle. Ma anche nella musica si sente parecchio. Noi donne se non ci sentiamo pronte al 100% non ci esponiamo. Quindi sì, devo ammettere che anche io facevo fatica a dire di essere una producer. Quando qualche anno fa ho partecipato al camp She’s The Music, di Alicia Keys ho capito molte cose.
Che cosa?
Ci siamo guardate tra noi e ci siamo dette che ci sentivamo libere perché ognuna di noi poteva assumere il ruolo che preferiva senza alcuna barriera. Di solito, nell’ambiente della musica non succede assolutamente così. Non è che puoi prendere in mano la chitarra se non sei chitarrista. Sai, per me il produttore è Pharrell Williams per questo non osavo paragonarmi a lui. Però così assecondiamo la nostra tendenza a stare nell’angolino. Per me il massimo è quando una donna sta dietro le quinte e sa prendersi i suoi momenti di attenzione quando è il caso.
Quali artiste ti hanno ispirato, oltre ovviamente a Billie Eilish. Credo anche Carmen Consoli ed Elisa?
Oltre a loro, certo, aggiungo anche Cristina Donà e Daniela Pes, con cui ho lavorato. Non c’è un numero infinito di artiste donne da elencare, purtroppo.
Ti senti di dire oggi che sei anche una produttrice?
Dai, diciamolo. Non voglio paragonarmi a una Marta Salogni che ha prodotto l’album dei Depeche Mode, però alla fine lo faccio, quindi non devo avere paura.