Finneas: «Scrivo sempre meno per mia sorella Billie Eilish»
Dopo l’uscita del nuovo singolo Another Year, abbiamo intervistato Finneas che ci ha raccontato della sua importante produzione solista
Se non avete mai sentito il nome di Finneas, state certi che già conoscete molti dei suoi lavori. Il poliedrico songwriter e producer è nientemeno che il fratello maggiore di Billie Eilish, con la quale da sempre lavora in stretta sinergia e con cui ha sviluppato uno stile di produzione brillantemente minimalista che è fra i più riconoscibili del panorama pop contemporaneo.
Non per niente hanno ricercato il “tocco” di Finneas anche artisti del calibro di Justin Bieber, Selena Gomez, Camila Cabello, Halsey. Agli ultimi Grammy Awards insieme alla sorella ha fatto scala reale di premi, aggiudicandosi il riconoscimento come Producer of the Year più altre cinque statuette (fra cui Album of the Year) legate in vario modo al disco d’esordio di Billie, il fenomenale When We All Fall Asleep, Where Do We Go? del 2019.
Su questi traguardi straordinari raggiunti a soli 23 anni, comunque, lui mantiene sempre un genuino understatement. Tuttavia non tutti sanno che Finneas porta avanti anche una discreta carriera solista: l’anno scorso è uscito il suo primo EP Blood Harmony e negli ultimi mesi ha pubblicato diversi nuovi singoli, fra cui il recente brano natalizio Another Year. Lo abbiamo intervistato.
Hai appena pubblicato una bella canzone natalizia, Another Year. Dato che quest’anno è stato pessimo, cosa desideri per quello nuovo?
Quest’anno mi ha fatto riconsiderare tutto, ho dato molte meno cose per scontate. Alla fine, oltre alle cose più preziose che potrei desiderare, come il calo dei contagi di Covid, vedere gli amici più spesso, poter andare al ristorante o al cinema, quello che desidero maggiormente è che tutte le persone che amo continuino ad essere in buona salute.
Where the Poison Is parla della politica americana in termini molto espliciti. Quali cambiamenti ti aspetti di vedere da questa nuova presidenza?
Prima di tutto mi aspetto più stabilità: gli ultimi quattro anni di governo non lo sono stati affatto. Vorrei che ci fossero aperture più progressiste, ma la politica americana si muove sempre molto lentamente. Non sono il tipo di ottimista che si aspetta cambiamenti da un giorno all’altro, ma credo che li vedremo sul lungo periodo.
Hai detto di aver scritto What They’ll Say About Us dopo aver partecipato a una manifestazione a Los Angeles. Com’è il clima politico in città in questi giorni? E quale futuro vedi per temi sociali delicati come la discriminazione razziale?
Sai, stando in casa tutto il tempo il clima politico lo percepisco attraverso i telegiornali. In questo periodo non ho un contatto diretto con le istanze sociali di Los Angeles o delle altre grandi città americane. La discriminazione razziale è un circolo vizioso molto radicato, con cui questo paese ha avuto a che fare per tutta la durata della sua esistenza, come del resto, prima di allora, altre parti del mondo. Bisogna mantenere sempre vivo il dibattito pubblico sul tema. Per ogni traguardo raggiunto sul terreno dell’uguaglianza sociale, ce ne sono tanti altri che sono ancora incompiuti.
Can’t Wait to Be Dead ha un videoclip molto potente. Cosa volevi comunicare con quelle immagini?
Quando ho scritto e poi pubblicato quella canzone passavo moltissimo tempo su internet a leggere le ultime notizie. Il clima politico nel nostro paese era impazzito, perché eravamo a poche settimane dalle elezioni presidenziali. Per cui nel web c’erano anche molto astio e molta frustrazione. Ha cambiato la mia percezione di internet. Per il videoclip ho lavorato con un ottimo regista, Constellation Jones, che ha capito perfettamente tutto ciò.
Quando ascolto brani come Let’s Fall in Love for the Night (1964) o Another Year mi è chiaro che hai una speciale ammirazione per i classici della musica, soprattutto quelli americani. Quali sono alcuni classici – anche al di fuori della musica – che ami in particolare?
Non sono un maniaco dei vecchi film hollywoodiani o dei classici della musica in senso ampio, ma fra i miei artisti preferiti ci sono certamente Nat King Cole, Frank Sinatra, Julie London, Rosemary Clooney… Di recente mi sono anche appassionato molto a Harry Belafonte. Per quanto riguarda il mondo cinematografico, adoro i film di Fred Astaire e Can-Can, il film in cui recita anche Sinatra. Per tornare su Another Year, tutti i miei film natalizi preferiti sono vecchi di settant’anni: La vita è meravigliosa, Il miracolo della 34° strada…
Finneas, come separi le idee musicali che vanno alla tua produzione solista da quelle su cui lavori insieme a Billie?
In passato ogni tanto scrivevo io qualcosa che poi davo a Billie, o viceversa, ma nell’ultimo anno e mezzo lei è diventata sempre più sicura di sé nella scrittura, è anche meglio di me. Dal suo album d’esordio in poi, nessuna delle cose su cui abbiamo lavorato insieme l’ho scritta interamente io. Quando scrivo per conto mio oggi, faccio cose che vanno o alla mia produzione solista o ad altri artisti. Adesso Billie è del tutto partecipe alla scrittura di ogni suo brano: No Time to Die, Everything I Wanted, My Future, Therefore I Am. Per cui la nostra è ora una piena collaborazione, a differenza di brani come When the Party’s Over, in cui ho fatto tutto io.
Il riff principale di Bad Guy mi ricorda moltissimo le vibe del surf rock anni ’60. È un riferimento che avevate in mente quando avete scritto il brano?
Sì! Pensavo semplicemente che fosse divertente e cool. Era una melodia che mi veniva da fischiettare. Adoro quel tipo di riff che ti fanno istintivamente muovere le spalle, sono un fan del surf rock. Ancora non l’ho fatto, ma mi piacerebbe che alcune canzoni di Billie avessero dei bei “turururururu” (imita con la voce il celebre stile di chitarra di Dick Dale, ndr).
Parlando di No Time to Die, è diverso il processo di scrittura di un brano che avrà poi un arrangiamento orchestrale? Oltretutto sapendo che un certo Hans Zimmer lavorerà su quel materiale.
Sai, l’abbiamo scritta senza sapere nessuno di quei due aspetti. Speravamo soltanto che la canzone diventasse parte della colonna sonora. Poi Hans Zimmer ha accettato di lavorare al film e mi ha chiamato dicendomi: “Finneas, dovreste proprio venire a Londra a vederlo, e dovremmo anche fare un arrangiamento orchestrale”, cosa che abbiamo fatto. Siamo volati a Londra e abbiamo registrato con Hans e l’orchestra. È stato un processo complicato ma siamo stati davvero fortunati ad avere la sua “guida” per quel brano. Non potrei esserne più orgoglioso e onorato.