Fred De Palma: «Il reggaeton ti conquista piano piano e poi non lo lasci più»
Il king italiano è tornato con l’album Unico. Nella cover story del numero di luglio-agosto ci racconta perché si sia innamorato di un genere che declina in tutti i suoi mood, perché abbia creato una netta barriera tra vita privata e pubblica e che cosa abbia provato a vedere tutti i rapper che non volevano più collaborare con lui
Da un po’ di anni è una costante invariabile. Arrivano l’estate, i consigli degli esperti per non soccombere alle 13 in spiaggia sotto il sole, le code sulla A1 nei giorni di bollino nero e il singolo che spacca di Fred De Palma. Prima sono stati quelli con Ana Mena (D’estate non vale, 2018, e Una volta ancora, 2019, 6 dischi di platino, seguito dalla altrettanto fortunata versione spagnola Se Iluminaba, che in Spagna gli è valsa 5 platino e il secondo posto nella classifica di vendita). Poi con Anitta, la superstar brasiliana, con cui l’anno scorso ha pubblicato Paloma (oltre 51 milioni di stream su Spotify) e quest’anno Un altro ballo.
Anche in questi mesi estivi Fred De Palma – ovvero Federico Palana da Torino, 32 anni a novembre – porterà a casa senza alcuna fatica il risultato con il nuovo album Unico, uscito da un paio di settimane. Il perché ce l’ha già mostrato il suo singolo Ti raggiungerò: uscito a marzo, è ancora nella top 10 della classifica FIMI/GfK. E come spiega lui: «Parto sempre bassissimo, non supero record di stream in giornata, non sono mai primo in classifica fin da subito. Perché il reggaeton è così: all’inizio hai dei pregiudizi, poi ti conquista pian piano e non lo lasci più».
Perché di questo parliamo: Fred De Palma è diventato ormai l’indiscusso re del reggaeton italiano. In molti provano a imitarlo, tanti i cloni che troviamo nelle chart dei servizi in streaming, in pochi riescono a eguagliarlo. Anzi, forse per ora non ci è ancora riuscito nessuno. Ma se avete pregiudizi sul genere, siamo qui per analizzarli insieme. Ecco un estratto della cover story del numero di luglio-agosto, a lui dedicata.
Perché secondo te Unico è un inizio?
Perché Uebe era un album reggaeton ma non fino in fondo, invece credo che Unico sia veramente a fuoco.
Perché la gente odia ancora così tanto il reggaeton?
Ma no, dai! Se lo odiassero non venderei così tanti dischi! Oggi non credo sia più così. Anche sul rap all’inizio le persone dicevano che facesse schifo. Vigeva lo stereotipo “rapper = Yo, yo, fratello”. Comunque, se noi apriamo ora Spotify troviamo almeno 15 pezzi di artisti che fanno reggaeton, o provano a farlo, quindi significa che è cambiato anche il loro gusto, non soltanto quello del pubblico.
Nel secondo pezzo dell’album, Pa’ la cultura, dici appunto che lo fai per la cultura reggaeton…
Voglio far conoscere quella cultura anche in Italia perché ancora non esiste qui da noi. Nel mondo latino sentono molto la responsabilità di trasmettere di generazione in generazione i valori del reggaeton.
Come potresti sintetizzarli?
Non sono così diversi da quelli del rap, anche per l’estrazione sociale. I reggaetoneri, come i rapper, parlano della loro vita e di temi più personali e riflessivi. Come ho fatto io in Senza Dio, per esempio.
Hai sempre detto che i tuoi brani hanno sempre un’anima fortemente italiana.
La melodia, il modo di scrivere e di concepire le metafore rimangono sempre e comunque italiani. Anche il mondo latin si basa sulle punchlines ma in maniera diversa. E poi prendi Un altro ballo: senti che è italiano per quanto sia reggaeton, non potrebbe mai essere di Daddy Yankee, per dire!
Per entrare al meglio nel clima sei stato un po’ di tempo in Colombia.
Prima a Miami. Ho fatto Miami-Colombia-Milano-chiuso dentro senza poter uscire per la pandemia. Avevo già un disco pronto ma era completamente diverso da Unico. Meglio così. Del resto, scrivere a Milano un album reggaeton non mi sarebbe venuto benissimo.
Lì hai conosciuto Bull Nene?
È uno degli autori più importanti di musica reggaeton, ha lanciato J Balvin e insieme hanno rilanciato il genere nel 2016. Io sono andato da lui in Colombia a inizio 2020, perché volevo conoscerlo e capire come lavorava. Poi lui di rimando mi ha chiesto di ascoltare le mie cose. Io credo che lavoreremo insieme, ma in futuro. Non ha neanche troppo senso chiedergli di lavorare insieme per un disco italiano, magari lo farò per una hit mondiale! La costruzione di una hit internazionale non è detto sia simile a quella di una italiana.
Takagi & Ketra hanno curato la direzione artistica dall’inizio?
Sì, loro sono stati tra i primi a credere nel reggaeton e soprattutto in me. Mi hanno portato loro a Miami e in Colombia a farmi conoscere le persone con cui già lavoravano. Del resto, hanno prodotto dei pezzi mondiali di personaggi pazzeschi. Hanno improntato tutto sul reggaeton, senza alcuna paura.
Quale potrebbe essere la tua prossima mossa per entrare ancora di più nel mercato internazionale dopo il secondo posto nella classifica spagnola?
Uscirà una versione in spagnolo di Ti raggiungerò a breve (Tú y Yo, ndr). Non sarà semplice tornare in Spagna da solo senza l’appoggio di un artista locale ma ci credo molto: il pezzo è davvero forte.
E per il mercato americano?
È una mia ambizione. Credo però che il reggaeton che si ascolta lì sia estremamente diverso da quello europeo. Vorrei andare a Miami, starci quattro mesi, imparare da chi le produce e alla fine pubblicare una hit mondiale! Poi uno ci prova eh!