Marta Donà: «Mi ha convinta Mengoni a diventare manager. Måneskin? Gli obiettivi erano sempre stati internazionali»
I suoi artisti vantano tre vittorie di Sanremo, due podi, quattro partecipazioni all’Eurovision, fra cui una vittoria. A un anno esatto dell’espansione dell’agenzia LaTarma (con il lancio delle tre divisioni Management, Entertainment, Records), intervistiamo una delle manager più influenti del panorama italiano
In poco più di un decennio di attività come manager, Marta Donà si è costruita un “palmarès” che pochi colleghi possono vantare: tre vittorie di Sanremo (Marco Mengoni nel 2013 e nel 2023, Måneskin nel 2021), due podi (2° posto di Francesca Michielin nel 2016 e nel 2020), quattro Eurovision, fra cui una vittoria (Måneskin, 2021) e una conduzione (Alessandro Cattelan, 2022).
Niente male per un’ex addetta stampa che non pensava di avere la stoffa della manager. Dopo la separazione dai Måneskin all’indomani della vittoria all’Eurovision, oggi il roster di Marta Donà include i già menzionati Mengoni, Michielin e Cattelan, più Antonio Dikele Distefano, dunque con una visione che va oltre il discorso musicale in senso stretto.
La società di Marta Donà, LaTarma, si è costantemente espansa nel tempo. Proprio un anno fa esatto veniva lanciata la nuova struttura in tre divisioni: Management (che «rimane il “core” dell’azienda»), Entertainment (produzioni e progetti speciali) e Records (etichetta discografica).
Potremmo dire che dietro ogni grande artista c’è una grande manager. Anche se, precisa Marta Donà, «poi sul palco ci vanno loro».
L’intervista a Marta Donà
Ci fai una panoramica sul percorso professionale che ti ha portato a fare quello che fai oggi?
Subito dopo la laurea triennale lavorai per un paio d’anni in MNcomm. Grazie a loro ebbi modo di conoscere dei colleghi di Sony Music Italy, che mi chiesero se avessi voglia di spostarmi in una discografica. Accettai, ero molto contenta. Lavoravo con Delfina Cribiori, responsabile degli uffici stampa di Sony Music (anche con Paola Pascon, ndr). Poco dopo lei andò in pensione e presi il suo posto: un orgoglio enorme.
Facevo la comunicazione di vari artisti Sony, fra cui Marco Mengoni. Un giorno a Roma lui mi chiese se volessi cambiare vita e fargli da manager. All’inizio pensavo di non essere in grado, ma lui insistette: era convinto che fossi giusta per lui. All’epoca aveva 21 anni, io ne avevo 26. Gli credetti e mi buttai, e oggi siamo ancora insieme.
Qualche anno dopo anche Francesca Michielin mi chiese se volessi lavorare con lei. Era giovanissima, all’epoca aveva 19 o 20 anni. Anche quella era una sfida per me, peraltro era un lavoro diverso rispetto a quello che facevo con Marco.
In seguito, iniziai a lavorare – più o meno nello stesso periodo – con i Måneskin e con Alessandro Cattelan. Lui presentava X Factor, quindi l’avevo già incontrato più volte. Un giorno mi chiese se avessi mai pensato a lavorare con qualcuno che non facesse musica. Non ci avevo mai pensato, in effetti. Lui all’epoca lavorava con Franchino (Tuzio, morto nel 2017, ndr) e non l’avrebbe mai lasciato. Poi purtroppo lui è mancato e Cattelan è venuto a chiedere a me. Anche quella è una bella “challenge”: del resto a me piace misurarmi con progetti e partner sempre diversi.
Poi nell’ultimo periodo è arrivato Antonio Dikele Distefano. L’ho incontrato perché Mengoni aveva deciso di invitarlo al suo podcast. Io non lo conoscevo. Sono rimasta folgorata dalla sua visione. Ci siamo poi incontrati in maniera informale e mi ha raccontato i suoi sogni. Ho pensato di poterlo aiutare a realizzarli.
Hai cominciato da sola, oggi LaTarma è una realtà con tre divisioni: Management, Entertainment e Records.
Non ci sono solo io, per fortuna: nel tempo mi sono resa conto di avere bisogno di un team intorno a me, sia per la mole di lavoro sia perché quello che ho imparato lavorando in grandi aziende è che dieci o venti teste sono meglio di una. Avevo bisogno di un supporto creativo, operativo, di gestione. Così nel 2016 ho aperto la società. Adesso siamo in tredici, io sono una delle più “vecchie”.
Dopo che sono diventata mamma nel 2020, mi son detta che sarebbe stato bello creare valore al netto di ciò che facciamo per i nostri artisti. Quindi abbiamo deciso di aprire le altre due divisioni: Entertainment e Records. Come Entertainment abbiamo chiuso un deal con Live Nation per la parte di produzione esecutiva. Per l’etichetta abbiamo un accordo di distribuzione con BMG. Comunque il “core” rimane sempre il management.
Quindi questa vostra espansione nasce da un tuo stimolo più che da una specifica domanda di mercato? O da entrambe le cose?
Negli ultimi anni mi è capitato che mi chiedessero aiuto. Per esempio mi chiesero di fare la direzione artistica di Heroes all’Arena di Verona. Ma anche per lanci discografici: quando uscì Atlantico, Mengoni mi disse che non voleva fare una normale conferenza stampa; gli sarebbe piaciuto che l’album fosse un mezzo per dare visibilità ad altre arti. Così creammo un festival di tre giorni a Milano col patrocinio del Comune.
Con quel progetto vincemmo anche i BEA (Best Event Awards, ndr). All’epoca eravamo solo in tre… Agli Awards partecipavano grossi brand (Barilla, Samsung…), per cui non mi ero neanche preparata un discorso! Quest’anno abbiamo vinto di nuovo, ma eravamo molto più strutturate e preparate.
Il vostro è un team di sole donne, perlopiù under 40. Una sorta di “statement” in un ambiente – specie quello manageriale – ancora dominato dai maschi?
Non è che la condizione per lavorare a LaTarma sia essere donna. È che negli anni è capitato di fare colloqui a uomini e donne ma poi analizzando l’expertise risultava che una donna fosse la persona giusta per quel ruolo. Sono felice che siamo un team di donne, ma non ci auto-ghettizziamo.
Ci sono colleghe manager con cui collaboro e che stimo tantissimo: per esempio Caterina Caselli e Paola Zukar, che è un’amica ed è bravissima. Le donne ci sono, ma è vero che siamo di meno rispetto ai colleghi uomini: purtroppo è un dato di fatto.
Complessivamente, i tuoi artisti vantano tre vittorie di Sanremo, due podi, quattro partecipazioni all’Eurovision, fra cui una vittoria. Non sono numeri da tutti: ti senti anche un po’ “fiutatrice” di grandi talenti?
Sì, ma ci tengo a precisare che poi sul palco ci vanno loro. A me e al mio team piace stare dietro le quinte, valorizzando un talento che già esiste per conto suo. Io posso anche essere la campionessa mondiale del marketing e della promozione, ma non basta se non c’è l’arte.
Mi piace molto lavorare insieme all’artista. Le persone crescono, cambiano, quindi è un lavoro molto dinamico. Magari un artista in un certo momento vuole comunicare un certo messaggio ma due anni dopo il suo obiettivo è diverso e devi costruire un altro “mondo”.
La cosa che abbiamo fatto dal 2016 ad oggi è fare in modo che tutte sappiano cosa sta succedendo in azienda, orizzontalmente. Per questo stiamo molto tempo con gli artisti, ascoltandoli, in modo da avere una progettualità per il futuro.
Non mi crederai, ma quest’anno abbiamo deciso di andare a Sanremo perché Marco, che stava chiudendo il nuovo disco, ha pensato che sarebbe stato il palco perfetto per presentare un pezzo come Due Vite. È andato lì davvero per divertirsi, e si vedeva. E quella è stata la sua vittoria.
C’è stato un momento, un avvenimento, in cui hai capito che il progetto Måneskin stava prendendo la curva di ascesa globale che poi ha avuto?
Noi avevamo iniziato con un piccolo tour europeo dopo il primo disco. Il mio obiettivo – ma anche quello dei ragazzi – era quello. Damiano peraltro scriveva sia in inglese che in italiano: non è una cosa molto comune per un artista italiano. Per questo chiedevo all’agenzia di booking che fissasse date in Europa, anche piccole.
Poi la vittoria di Sanremo ha fatto sì che partecipassero all’Eurovision. Siamo andati lì due settimane prima a fare tutto un lavoro di racconto della band a un pubblico internazionale che non li conosceva. Era già previsto il tour europeo: chiaramente, dopo la vittoria i concerti si sono spostati in venue più grandi.
L’idea era di lavorare in maniera organica sull’estero. Scrivere in inglese ed essere credibili in quella lingua non è una skill che tutti gli artisti italiani hanno. E poi la loro immagine è molto internazionale. Nei cinque anni in cui abbiamo lavorato insieme ho cercato sempre di raccontare la band, non solo il frontman.
Quello che è successo ai Måneskin è per certi aspetti irripetibile, ma ti sei mai immaginata anche per Mengoni un percorso all’estero?
Sì, già tutti gli album da Parole in Circolo in poi sono stati prodotti in doppia lingua anche per il mercato latino. Poi abbiamo lavorato tanto in Spagna, Germania, Austria e Svizzera. Infatti prima dell’Eurovision parte per quattro date in Europa (già sold out, ndr).
C’era il promoter che ci premeva per l’annuncio delle date di Marco pre-Eurovision. Io ho voluto essere “conservativa”, facendo poche cose e con una numerica contenuta, piuttosto organizzandoci più in grande per l’autunno. Alla fine dopo un’ora hanno dovuto allargare le venue! Questi sono quattro appuntamenti che Marco fa anche per farsi conoscere, per poi annunciare il vero tour internazionale.
Come vi state preparando all’Eurovision?
Marco sta tutti i giorni in studio perché dopo l’Eurovision uscirà la terza parte di Materia. Faremo questo mini-tour anche per iniziare a scaldare i motori, per entrare nel mondo “eurovisivo”. Tramite le divisioni Sony degli altri paesi abbiamo già fissato degli appuntamenti promozionali.
Dopo l’Eurovision inizieranno le prove per il suo primo tour negli stadi. L’anno scorso abbiamo fatto due anteprime, Milano e Roma, ma il tour vero sarà quest’anno fra giugno e luglio.