C’è qualcosa di “Assurdo” nella penna di IRBIS: l’intervista
Mentre tutti speravamo in un suo imminente ritorno, ciò che non sapevamo era che Martino, in questi anni, stava vivendo il suo periodo più difficile, tra il distacco dai suoi vecchi compagni di gruppo, un evento sconvolgente che lo ha costretto a diventare adulto tutto d’un botto e la rabbia distruttiva che ne consegue: un periodo che è tutto racchiuso nel suo nuovo, intenso e bellissimo album uscito oggi, “Lacrime e cemento”
Nel mercato musicale di oggi, in cui “il tempo corre sempre più veloce di noi”, quasi tutto è necessariamente fast e preferibilmente leggero, quattro anni equivalgono forse a quattro volte tanto e il beneficio dell’attesa è un lusso che in pochi possono concedersi. Tendenzialmente quegli artisti che, con la loro musica, riescono a squarciare le barriere più intime e lasciare davvero un segno importante nella vita delle persone che li ascoltano. E il cui ricordo non viene scalfito dal tempo che passa e dalla miriade di album passeggeri che escono. Anzi. E il caso di IRBIS è uno di questi.
Martino infatti mancava sulle scene da un po’ (per la precisione dal 2020, anno di uscita del suo ultimo album, Un altro cielo), e per coloro che si erano affezionati sin da Boccadoro alla sua penna ora potente e disillusa, ora delicata e sognante ma mai etichettabile, la sua assenza artistica si stava facendo sentire, ma il suo nome non era affatto finito in un dimenticatoio di chissà quale cassetto della memoria chiuso a chiave.
Ma mentre tutti speravamo in un suo imminente ritorno, ciò che non sapevamo era che IRBIS, in questi anni, stava vivendo il suo periodo più difficile. Tra il distacco dai suoi vecchi compagni di gruppo, un evento sconvolgente che lo ha costretto a diventare adulto tutto d’un botto e che ha cambiato per sempre la sua prospettiva, e la rabbia distruttiva che ne consegue, perché, come canta in modo lacerante nel ritornello della prima traccia, Assurdo, “c’è qualcosa di ingiusto, qualcosa di assurdo nelle nostre vite al limite”. Un periodo che è tutto racchiuso nel suo nuovo album uscito oggi per la famiglia di Undamento e Warner Music Italy, Lacrime e cemento.
Un disco doloroso, bellissimo e catartico allo stesso tempo, di quelli che nel marasma del nulla o quasi da dire restano impressi perché hanno davvero tanto da raccontare e lo fanno bene. Lacrime e cemento, infatti, parte da un’intensa storia personale, così intensa che Martino aveva quasi paura a parlarne, ma che in queste dieci tracce diventa un’esperienza collettiva, quasi spirituale e – in qualche modo – fortemente politica e sociale che coinvolge tutti quei diversi che si sentono sbagliati, esclusi, dimenticati e incompresi. Ma per una volta, forse, meno soli.
L’intervista a IRBIS per il nuovo album “Lacrime e cemento”
Sono passati quattro anni dall’uscita del tuo ultimo album, cos’è accaduto in questo lungo periodo?
Così tante cose che non saprei nemmeno da dove partire. A febbraio del 2020 pubblico un album e subito dopo entriamo nella prima zona rossa a causa del Covid, quindi il tour che avrei dovuto fare salta. Da lì sono iniziati un po’ i problemi. Io prima lavoravo con altri due ragazzi con cui si sono create tante incomprensioni e il nostro rapporto è andato un po’ a rotoli. Quindi mi sono separato da loro e ho iniziato a fare musica per conto mio, brani più cantautorali. A quel punto Tommy di Undamento ha avuto l’idea di farmi andare in studio con Ceri e Colombre. Da lì abbiamo iniziato a lavorare a dei pezzi che avevo e il loro apporto è stato fondamentale. Diciamo che la vita in generale non è stata facile in quel periodo.
In cosa ti hanno aiutato maggiormente?
Mi hanno aperto molto la testa su determinate cose, in particolare sul fatto che per comunicare bene dovevo tornare a studiare. Pian piano andando avanti nel disco siamo riusciti a costruire un rapporto sempre più alla pari, anche a livello creativo. Io arrivavo dal rap e a livello armonico avevo delle lacune che sto colmando.
Che rapporto hai con loro?
Ora molto bello, di fratellanza, ma quando abbiamo iniziato a lavorare al disco con Ceri ci scornavamo spesso perché avevamo due personalità molto contrastanti. Colombre invece cercava un po’ di mediare. Mi ricordo che una notte dopo che avevamo litigato tutto il giorno Ceri era andato via e io e Giovanni siamo rimasti svegli fino alle cinque. Siamo andati a cena, abbiamo parlato, siamo tornati in studio ed è stato divertentissimo. Lì è scattato qualcosa che ha fatto capire a Ceri che si poteva fare della roba figa.
Quindi è lì che poi è nato davvero tutto.
Sì. Io ero un ragazzino di quartiere, un po’ testa di cazzo, e soprattutto ero incazzato nero. Arrivavo in studio e gli rispondevo pure male perché mi diceva di fare le cose e io gli dicevo “Ma tu che cazzo ne sai?”. Poi quando è successa una cosa in particolare ha capito che c’era un fondamento alla mia rabbia e al mio dolore.
Cosa è successo?
Nell’estate del 2022 casa mia è bruciata. Questa cosa è stata molto forte perché ha portato me e la mia ragazza a vagare per un anno e mezzo da un posto all’altro, da case di amici alle popolari di Quarto Oggiaro. È bruciato tutto, l’unica cosa che sono riuscito a salvare è stato il mio microfono con cui ho registrato il disco.
Beh un’esperienza così forte cambia parecchio le cose.
Sì, è stata fortissima, paradossalmente però questa è stata la cosa che mi ha sbloccato nella scrittura del disco e mi ha dato un la molto importante, tanto che nei due giorni dopo l’incendio ho scritto due dei pezzi più importanti dell’album che sono Impressioni e Vernice Nera. Io poi ero abbastanza fritto, un po’ invorticato in dinamiche di quartiere stagnanti che rischiavano di non fare bene né a me né alla mia musica.
Quella cosa mi ha costretto a iniziare a vivere la mia vita in modo più lucido perché mi sono cadute addosso le responsabilità della vita adulta in un modo totalmente improvviso e impressionante. È come se avessi dovuto resettare completamente.
Come ti fa sentire l’idea che tra poco questa storia non sarà più solo tua? Ricordo che avevi scritto di avere quasi paura che quello che avevi da raccontare fosse fin troppo intenso.
Sono consapevole che sia una scelta molto forte, ma me la assumo. Penso anche che ci sia una lacuna da colmare, io in questo momento mi assumo la responsabilità di fare anche il pesantone se devo. Nessuno dice un cazzo? Allora lo dico io anche a costo di risultare pesante perché secondo me c’è qualcuno che ha bisogno di ascoltare musica meno leggera. A volte bisogna anche immergersi un po’ nel dolore, no? Siamo in un momento storico particolare in cui tanta gente nel mondo soffre, ha paura, pensa di doversene andare da dove sta. E di questa cosa magari non se ne parla, ma forse da soli in cuffia si può trovare un momento di conforto per non sentirsi soli in questi pensieri che sono così tabù.
Ci sono stati degli ascolti in questo periodo in cui tu stesso hai trovato questa cosa?
Ho riscoperto tantissimo i Beatles, Pino Daniele. Tutti gli artisti che sono caratterizzati da un modo di comunicare anche un momento storico e che hanno un proprio modo di essere politici. Quando racconti una strada, una via, un quartiere con le sue particolarità stai aiutando una realtà nascosta ad emergere e questo serve tantissimo. In questo senso penso che questo sia un disco politico. Posto di blocco ad esempio racconta di spaccio, di un attacco di panico, di dover passare l’estate in quartiere a Milano perché non hai nemmeno i soldi per andare in vacanza: per me questa cosa è un atto politico.
La sensazione infatti è che Lacrime e cemento pur partendo da una vicenda estremamente personale riesca a diventare comunitario e, a questo punto, sociale.
Sì, esatto, nel mio piccolo il mio è un tentativo di usare la mia storia per parlare di temi universali e spero che questa cosa possa arrivare anche a qualcun altro.
Forse la sintesi perfetta di questo concetto è proprio Preghiera.
È vero. In quel pezzo il ritornello è per tutti e nelle strofe parlo di me ed è stato difficilissimo scriverle perché ogni cosa mi sembrava o troppo personale o troppo populista. Finché non ho capito che l’unica cosa da fare era lasciare andare la penna e quel che usciva, usciva.
Il video mi ha colpito molto, nella sua semplicità è davvero potente.
Girarlo è stato bellissimo perché tutte le persone a cui ho pensato mi hanno detto che ci sarebbero state e lo hanno fatto. A ciascuna di loro ho assegnato una frase che pensavo fosse giusta per la loro storia. Alcuni di loro si sono accollati di portare un peso emotivamente importante pur di sostenere il messaggio con me e non li ringrazierò mai abbastanza per questo.
Testa matta è dedicata a qualcuno in particolare?
Ai miei ascoltatori. Quello è un pezzo che cerca di essere un po’ un inno degli sfigati, dei diversi.
Come pensi accoglieranno l’album?
Secondo me chi dovrà capirlo lo farà. Mi hanno aspettato tanto e credo che questo disco non gli basterà, infatti ho tantissima musica nuova da far uscire.
Intanto ti hanno scritto delle cose molto belle, come se fossi davvero quasi un fratello per loro.
Io credo di essere l’unico musicista che conosco che quando incontro un fan lo asciuga! A volte le persone hanno bisogno di metterti su un piedistallo e io mi diverto a distruggere quell’idea. Ho letto un articolo molto interessante sul fatto che nella storia della musica non nasceranno mai più dei miti, ed è vero. Come puoi mitizzare qualcuno di cui sai tutto, da quando si sveglia a quando è felice o triste?
E nella musica hai trovato delle teste matte come te?
Sì, anche se io mi sono sentito sempre un po’ solo nell’industria perché vedo fare delle scelte che io non farei, e quando si tratta di ideali è difficile stare uniti se sono diversi. Poi ci sono sicuramente delle persone con cui mi sento molto affine, ad esempio Vale LP e Tony Boy, che anche se non si direbbe è molto saggio e mi ha insegnato una cosa molto importante.
Quale?
Il fatto che avere i miei ideali e principi sempre molto presenti mi porta a giudicare troppo. Lui mi ha fatto capire che ogni persona, anche se è diversa da noi, ha un percorso e una sua dignità e va rispettata per quello che è, anche se magari non lo ascolteresti mai. Sto cercando di mettere in pratica questa cosa perché professiamo tanto la fratellanza ma poi nei fatti non è sempre così.
C’è qualcuno nella musica che ti è stato particolarmente vicino dopo quello che è successo?
Vale LP e Lil Jolie sono le persone che più mi sono state vicine insieme ai ragazzi di Undamento, che sono stati davvero una famiglia e non è scontato che in un rapporto lavorativo si apra anche uno spazio umano.
Come hai vissuto il passaggio da fare musica in un gruppo e farla da solo?
Per me è stato dolorosissimo per una questione proprio umana e di amicizia perché per quanto riguarda la musica eravamo in un momento in cui non sapevamo bene dove andare, le cose non coincidevano e sentivo che ciascuno dovesse fare i propri passi, quindi il distacco è stato abbastanza naturale.
E Milano è ancora tanto centrale per te nella scrittura?
Sempre. Milano è la mia musa ispiratrice principale, sono molto legato alla mia città, nel bene e nel male. Anche per questo abbiamo creato l’Associazione Gioco, che ha come obiettivo quello di fare un lavoro sociale sui quartieri della città con degli eventi itineranti nelle periferie.
Articolo di Greta Valicenti e Silvia Danielli