Interviste

Il “realismo magico” di Colombre è ciò di cui hai bisogno per scappare dalla frenesia. L’intervista

È uscito venerdì il nuovo album del cantautore marchigiano. Una perla che affiora dalle acque apparentemente calme ma inquiete del mar Adriatico, in cui la realtà è sporcata dalla fantasia. Lo abbiamo incontrato per farcelo raccontare

Autore Greta Valicenti
  • Il4 Aprile 2023
Il “realismo magico” di Colombre è ciò di cui hai bisogno per scappare dalla frenesia. L’intervista

Colombre, foto di Alessandro Ruggieri

Colombre ha fatto un disco bellissimo. Lo diciamo così, subito, senza girarci troppo intorno. Senza vortici di parole per convincervi della bontà della nostra opinione. Realismo magico in Adriatico, uscito venerdì per Bomba Dischi, è l’album che dovete ascoltare se siete saturi della frenesia della città e dei tempi moderni e anelate la lentezza della provincia e del passato. Che, badate bene, non significa noia. Ma tempo e cura per cogliere ogni dettaglio che Colombre ha intarsiato in queste nove stelle marine, affiorate dalle increspature di quel mare apparentemente calmo ma che dietro cela una misteriosa inquietudine. 

Un disco, quello di Colombre, che si muove sul filo sottilissimo che separa la realtà e la magia, tanto che non capisci mai dove finisce l’una e inizia l’altra. Il confine è labilissimo, è una sporcatura lievissima che modifica la rotta di una canzone quando meno te lo aspetti. Un album che sembra sospeso nello spazio e nel tempo, come quello che è servito al cantautore di Senigallia per scavare nel profondo del suo mare per portare alla luce la sua perla. 

Colombre, quando hai iniziato a lavorare al disco?

Ho scritto la prima canzone ad aprile 2020, penso sia stato lì che è cominciato tutto. Il brano era Durerebbe un’ora. Per questo album poi ho coinvolto anche altre persone, cosa che non era accaduta negli altri dischi in cui ero stato più geloso. Qui mi sono lasciato coinvolgere e andare completamente. È stata una gestazione di due anni molto libera, ma anche razionalizzata nella spontaneità.

Quindi l’album è anche un po’ figlio del lockdown.

Sì, per altro considera che a marzo 2020 era uscito Corallo, che però per ovvie ragioni non ha potuto esprimersi a pieno. In realtà poi in quell’anno stavo lavorando un po’ alle mie cose ma soprattutto stavo lavorando al disco di Chiello, Oceano paradiso. Ad un certo punto poi qualcosa si è sbloccato: nel 2021 mi sono messo sul mio disco e sono venute fuori le altre canzoni.

Il titolo dell’album è sicuramente molto evocativo: per definizione nel realismo magico gli elementi fantastici si inseriscono in un contesto realistico, in questo caso rappresentato dall’Adriatico. Ma quali sono questi elementi magici che incastoni nelle canzoni?

Io penso che la realtà sia molto più magica di ciò che appare, quindi il concetto che si cela dietro le canzoni è questo. L’Adriatico poi è un mare molto particolare perché sembra molto tranquillo, invece è pieno di correnti che creano delle tempeste improvvise. La stessa cosa vale per i testi. Sono partito dalla realtà, raccontando cose che ho vissuto o che ho visto accadere, che però come il mare avevano un elemento misterioso e quindi magico. Guardando dall’esterno i testi che avevo scritto c’è sempre questo elemento misterioso che ricorre e che capovolge una storia apparentemente classica. È come se servisse quel determinato elemento perché quella cosa funzioni. La realtà per me si deve sporcare di qualcosa di surreale e di fantastico.

E la provincia in questo lavoro è stata un elemento di ispirazione importante per te?

Assolutamente sì. Il punto della questione è che la lentezza che puoi vivere in provincia fa sì che tu possa essere più attento a determinati dettagli. Il mar Adriatico è il simbolo della provincia, perché non è il Mediterraneo e non è nemmeno il Tirreno. È un qualcosa che sta più in disparte ma contiene un sacco di mistero e di fascino. Lo diceva anche Shakespeare nella Bisbetica Domata, in cui paragonava l’Adriatico al mare più pericoloso del mondo. Se ci pensi è assurdo; poteva citare l’oceano e invece ha citato il mar Adriatico perché alla fine è quello più inquietante di tutti.

Il fatto che poi geograficamente accarezzi tutta la costa della penisola mi fa immaginare che quello che racconto sia il percorso di un personaggio lungo la costa adriatica, dove succedono queste storie che partono dalla realtà che però poi diventano più misteriose e più magiche. Storie che poi possono accadere ovunque. Ecco, quello che a me interessa è raccontare le vicende dell’animo umano. Preferisco andare a scandagliare i sentimenti, indipendentemente che siano positivi o negativi. Credo di aver trovato la mia cifra parlando di questa cosa. Poi quella famosa lentezza della provincia può essere applicata anche nella grande città quando riesci a ritagliarti quei pochi momenti di calma.

Quando sei in città ti manca?

Sì, è un vero e proprio odi et amo. Quando sono in città cerco la calma della provincia, quando invece sono in provincia vorrei andare in città perché non c’è niente da fare. È il grande dramma!

Qual è il brano chiave per comprendere Realismo magico in Adriatico?

Secondo me Midollo, anche proprio dal punto di vista strutturale. È un brano canonicamente pop in cui ad un certo punto compare un elemento straniante, ossia quella chitarra completamente malata con un assolo pazzo. A livello testuale è come se il protagonista cercasse una magia che lo porti in un posto che lo fa star bene, che in questo caso è uno scoglio in riva al mare.

Che per altro è anche in tema con l’artwork della copertina.

Sì, esatto! Quella è stata un’altra magia che ha fatto Alessandro Ruggieri. Siamo andati in questo posto bellissimo di pescatori che si trova al Passetto di Ancona e lui ha scattato questa foto mettendo la gelatina davanti alla macchina che ha colorato la montagna e ha creato un altro elemento surreale. Appena l’ho vista ho detto “è lei, è la copertina del disco!”

Colombre sulle collaborazioni in “Realismo magico in Adriatico”

Mi racconti invece delle collaborazioni con Maria Antonietta e Franco126?

Su questa cosa devo fare una premessa: io di solito non faccio mai featuring. Li ho fatti solo due volte: una volta con Iosonouncane in Blatte e poi con Ceri per il suo disco. Sono sempre un po’ attento a questo perché una volta che fai qualcosa con qualcuno deve esserci qualcosa di speciale che ti lega. E questo è con Franco e, ovviamente, con Maria Antonietta. Lei aveva questo pezzo nel cassetto, me l’ha fatto sentire e allora io ho cominciato a lavorarci. Fino a quando un giorno, per scherzo, l’abbiamo cantata insieme e ci siamo resi conto che la canzone aveva preso una forza e un valore bellissimo, ancora di più di quanto ne avesse prima. Le nostre voci insieme davano una valenza ancora più forte al testo, perché quella canzone è speculare. Ci siamo emozionati molto e abbiamo deciso di metterla nel mio disco.

Franco invece l’ho incontrato a Roma. Avevamo già suonato un sacco di volte insieme e c’è sempre stata una stima reciproca. Io avevo questo sogno di avere una parte più rappata, quindi ho pensato a lui. Quando ci siamo incontrati è stato molto bello perché abbiamo passato un paio di giorni in cui siamo stati a confrontarci su un sacco di cose, anche sugli affari nostri! È stato un bellissimo incontro e anche nel risultato finale si sente questo confronto. In quella canzone si parla di ricordi, di quanto siano belli ma di come possono anche essere dolorosi. E allora, quando i ricordi fanno più male, a volte hai quasi bisogno di darli a qualcun altro che li regga al posto tuo perché tu sei troppo difettoso e a te fanno troppo male.

Quindi mi sembra di capire che per te la condivisione debba essere umana ancora prima che artistica.

Esattamente, sta tutto lì. Non potrei collaborare con una persona con cui non mi trovo a mio agio o con cui non posso giocare.

Colombre sull’esperienza con Chiello

E invece l’esperienza con Chiello è rientrata in qualche modo in questo album? C’è una chiave in particolare che avete trovato per lavorare insieme?

Ti dirò, entrambi abbiamo un’attitudine in comune e questa cosa Rocco l’ha capita. Poi mi ha raccontato che quando andava in giro a suonare con la FSK ascoltavano quasi sempre Pulviscolo in furgone, vado molto fiero di questa cosa! Un giorno mi ha raccontato che aveva comprato un telefono apposta per chiamarmi e chiedermi se potessi produrgli il disco. Io lo conoscevo di nome, ma non bene, quindi gli ho detto di mandarmi qualcosa. Lui mi ha inviato queste bozze con dentro dei testi incredibili, tipo quello di Abisso di Xanax. Appena l’ho sentita ho detto “Oh mio Dio, assolutamente sì. Facciamolo perché questa cosa è straordinaria”. Con Chiello c’è stato un incontro di mondi apparentemente lontanissimi ma che si sono incontrati nella ricerca di qualcosa di diverso rispetto a quello che c’è già.

Quell’incontro inevitabilmente è finito anche nel mio disco, mi ha insegnato tanto e con la sua visione mi ha aiutato a conoscere un mondo molto diverso dal mio, anche nel modo di lavorare. Io ho sempre lavorato da solo alle mie canzoni, mentre nel mondo della trap ci sono sempre molte meni dietro ad un brano. Come ti dicevo prima, in Realismo magico in Adriatico ho coinvolto altre persone, cosa che anni fa non avrei fatto. E questa cosa l’ho imparata proprio da Chiello, che si è fidato di me e mi ha affidato la sua musica.

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