Interviste

Con gli occhi di Lele Blade

Da quando alle medie ha scoperto il mondo del writing alla carriera di chef a Londra, passando per il rapporto con Napoli e con un linguaggio rap che è stato – a volte, a suo dire – “troppo crudo”: il rapper partenopeo, che domani pubblica il suo nuovo album, si è raccontato nella nostra digital cover

Autore Silvia Danielli
  • Il24 Ottobre 2024
Con gli occhi di Lele Blade

Lele Blade, foto di Gaetano De Angelis

Lele Blade, al secolo Alessandro Arena da Casoria (Napoli), ha una dote che oggi non sembra così fondamentale e necessaria. Ma lo è: l’umiltà. Il nuovo album che esce stanotte, Con i miei occhi, rappresenta una tappa molto importante per il suo percorso, un vero salto in avanti. Sia per il concept, per gli artisti coinvolti, per i generi delle tracce che spaziano molto tra loro. In questa intervista Lele Blade ammette subito che «sì questo album è davvero importante e ho una percezione davvero positiva». Ma specifica: « Non sono mai stato considerato il fenomeno, ovvero “il talento di quel preciso momento”».

Eppure Lele ha più di 1 milione e 300mila ascoltatori mensili su Spotify, è considerato il numero 1 per esempio da Geolier, e il suo talento nel flow è innegabile. «Ma nella vita mi sono sempre dovuto sudare tutto. Io sono uno che rimane sempre con i piedi per terra». E anche quando gli chiedi della sua storia esordisce subito con pudore: «Non vorrei magari dilungarmi». Una qualità che diventa ancora più rara nel mondo dell’egotrip per eccellenza, quello a cui Lele appartiene. Lui, animo che cerca sempre di cogliere il lato positivo, senza per questo essere per nulla ingenuo.

Foto: Gaetano De Angelis

L’intervista a Lele Blade

La prima impressione che salta subito agli occhi è la varietà delle tracce di Con i miei occhi.
Ho sempre cercato di farlo. La sento proprio come una necessità per raccontare tutti i lati di me stesso, mi viene spontaneo. Sento il rap nel sangue perché è la mia musica. Ma amo anche sperimentare molto con altri generi. Spesso mi capita che qualcuno magari me li proponga solo perché vanno di moda ma io se decido di sperimentare è solo per mio divertimento, per non annoiarmi. Per esempio, in Con i miei occhi ci sono un paio di episodi che ricordano la musica afro perché mi piace tantissimo.

Da dove sei partito?
Da Mai Chiu, che forse è anche il pezzo a cui sono più legato, perché racconta il momento veramente buio di una relazione che ho attraversato. Ora se ci ripenso posso dire che tutto quello che ho vissuto mi sia servito: almeno ho composto nuova musica. Poi Lose Control. Ho registrato tutto nel mio nuovo studio che ho da un anno. Prima registravo in uno studio mio e della SLF, con Emanuele (Geolier, ndr) in quello di fianco. Ora mi sono un po’ staccato (solo fisicamente) ma ne avevo bisogno. Ho lavorato in modo più concentrato. Per la scrittura, invece, ero in giro. Per esempio, una “arrabbiata” e oscura è nata a Dusseldorf con la Scorpion Gang: Southside (con Kid Yugi). Molti pezzi sono nati a Napoli ovviamente, in questo studio che è un po’ fuori dal centro, in zona lago Patria.

Lele, a proposito di Napoli, ormai i ragazzini di tutta Italia capiscono il dialetto napoletano grazie a voi rapper e alle serie Tv. Quelli delle medie spesso chiedono ai loro genitori di farsi portare nel weekend nella vostra città e in generale si assiste anche a una tendenza all’overtourism: a te dà fastidio?
No, per nulla. È un bel momento che bisogna solo godersi perché andrà un po’ a diminuire. Non finirà ma magari calerà un po’. Sono felice del fatto che la gente si sia accorta di quanto sia interessante la nostra città. Non è l’unica in Italia. Però è innegabile che abbia subito dei pregiudizi per anni. Ora si respira un’ aria diversa, la gente stessa si è resa conto del potenziale del posto in cui vive. L’importante è non esagerare perché se no si arriva a esempi come quello di Barcellona dove i turisti non sono più tollerati. Ma non credo, perché il napoletano sa fino a quando arrivare e ha un senso dell’accoglienza innato.

Oggi esce anche Parthenope di Sorrentino al cinema: riesce a raccontare bene la città secondo te?
Lui rispecchia davvero la realtà, credo che Gomorra racconti solo una parte, che ora non è più visibile a tutti. Quando ero piccolo io, diciamo a 16 anni, c’era proprio il copri-fuoco. Ora, non è che la malavita non ci sia più, c’è come ovunque in Italia, ma è meno visibile. Da noi a Napoli i ragazzi sono più spinti a seguirla, questo è innegabile.

Prima si affrontavano due clan potenti che hanno portato alla morte migliaia di persone. Ecco se c’è una cosa che mi dà un po’ fastidio è quando la gente va a visitare le Vele di Scampia. Anche se lo capisco, perché io a New York andrei a visitare il Bronx. Quello che mi dà fastidio è che si tenda a collegarle a Gomorra e perché le persone vadano lì a fare i poser.

Lele Blade
Foto: Gaetano De Angelis

Gli eventi di Red Bull hanno portato un’influenza positiva?
Certo, quest’anno mi è sembrato che ci fosse anche più gente e io vedo che gli abitanti del posto  e quelli che arrivano da fuori si divertono parecchio, quindi va bene. Anche la location è suggestiva e perfetta per il rap.

Quando hai deciso che il rap sarebbe stato la tua vita?
Alle medie, come per tanti, quasi tutti. In realtà, questa cosa non l’ho mai detta a nessuno, ma alle medie i professori avevano iniziato a dire che mi vedevano al liceo classico e mia mamma ne era contentissima. Però poi ho un po’ sbandato. Ho iniziato ad avvicinarmi al writing: mi studiavo il lettering sui muri, ho conosciuto un po’ di writer, ho creato la mia prima tag, insomma mi sono via via appassionato all’hip hop e ho lasciato un po’ perdere la scuola. Così ho scelto l’istituto alberghiero piuttosto che il classico.

Hai iniziato anche a fare lo chef e ti piaceva giusto?
Io sono una persona molto decisa e quando scelgo una cosa la porto avanti con convinzione. Quindi mi sono impegnato, diplomato con 98 e a 16 anni ho iniziato a farmi le stagioni fuor casai. Sono anche andato a lavorare a Londra, anzi ti dirò di più: quando ho firmato il mio primo contratto con Universal, con le Scimmie (insieme a Vale Lambo), ero proprio lì. A Napoli siamo stati i primi a firmare con Universal, prima ancora di Luché. Dopo ci siamo svincolati e siamo entrati in Sony e poi Warner, dove sono tuttora. Poi siamo entrati nel management di Luchè, in quello che è diventato la BFM.

Tu segui bene la parte legale dei tuoi contratti? E la parte visiva legata all’immagine tua e della tua musica?
Assolutamente no, mi affido, perché non me ne intendo. Mentre seguo la parte visiva perché la ritengo più legata alla creatività.

Quando ti è venuta l’idea di intitolare l’album Con i miei occhi e di fare la campagna per i manifesti?
Ci abbiamo pensato parecchio, cercavamo un’idea per trasmettere il rapporto tra immagine e musica. Quando ascolto un pezzo cerco sempre di immaginare altro. Volevo trasmettere la mia visione delle cose. E poi è nata l’idea di associarla agli occhi degli artisti per la campagna ed è piaciuta a tutti.  A dire il vero qualche giorno fa, Emanuele (Geolier, ndr), dopo aver ricevuto la mia storia sui suoi occhi, mi ha confessato di non aver capito subito che fosse legato al mio disco ma pensavo fosse per quello di Night Skinny!

Descrivimi alcuni feat con due frasi: Niky Savage.
Mi sono trovato subito molto bene. È un ragazzo molto umile e trovo che possa dimostrare molto di più rispetto a quello che ha fatto finora. Non sarà la meteora che fa il botto su TikTok e poi scompare: ha un ottimo background e conoscenza musicale.

Kid Yugi.
È forte, uno dei migliori in assoluto. Prima è nato il pezzo, Southside, e poi l’idea di fare il feat con lui.
Michelangelo. Sapevo di poter fare un pezzo con lui, volevo che fosse un po’ più sperimentale. Parte con l’allarme di una macchina e ci abbiamo messo pochissimo a chiuderlo. Non sono come reagiranno gli ascoltatori più impegnati e interessati alla street credibility.

Ci sono temi – chiamiamoli “impegnati” che non hai ancora affrontato nei pezzi ma di cui vorresti parlare?
Ce ne sono moltissimi. Ma spesso mi chiedo se la gente è pronta per ascoltarli. Potrei diventare l’idolo delle mamme scegliendo alcuni temi ma non mi interessa molto. Sarebbe bello trattare tutti i temi. A me piacerebbe fare qualcosa per i ragazzi, qualcosa che li aiuti a capire che cosa vogliono fare davvero, degli incontri per informarli. Io ho avuto molti amici e fidanzate che si sono totalmente persi perché non avevano alcun interesse. Nella vita puoi anche trovare un lavoro che ti mantenga ma se non hai una passione, niente ha valore per te. Io credo che la vita senza interessi sia una merda. A me piace l’idea che i ragazzi vedendo noi rapper a Napoli abbiano avuto l’idea di seguirci.

Pensi di essere riuscito a comunicare con i ragazzi?
Cerco di parlare parecchio con la figlia della mia ragazza che ha 14 anni. Ho capito che i giovani d’oggi in generale hanno molta confusione in testa, più di quanta ne avessimo noi e questa cosa mi preoccupa. Io le ho regalato la macchinetta per fare i tatuaggi, perché le piace disegnare. Magari un giorno si ricorderà di me per quello.

Non parlo di dover censurare i pezzi ma non credi che un linguaggio troppo crudo e violento possa avere un’influenza su di loro?
A volte sento alcuni pezzi e credo che forse potevano essere scritti in un altro modo, ma credo anche che se mi ero sentito di scrivere in un certo modo ci sarà stato un motivo, magari sarò stato arrabbiato e questo non significa voler dare un cattivo esempio ma cercare di buttare via alcune emozioni scrivendole, rappresentando delle cose che succedono nella vita, non chiedendo sicuramente di seguire l’esempio.

Che cosa racconti in Odio?
È il mio pezzo preferito ma penso farà meno streaming di tutti. Ho attraversato un periodo sentimentale che mi ha fatto capire delle cose e ne sono felice.

Il successo incredibile di Geolier è mai parso ingombrante per il vostro gruppo?
Io non l’ho mai pensato. Anche perché per il nostro senso di appartenenza Emanuele è una figura che ha portato solo un’onda positiva per tutti, anche perché è estremamente altruista e umile. Noi siamo cresciuti insieme, ho una decina d’anni di più e l’ho conosciuto che ne aveva 17. Geolier, poi, non è solo umile è anche intelligente. Perché capisce che quando sei riconoscente verso chi ti ha aiutato all’inizio, lo farà stare sempre dalla tua parte. Io non riesco a provare invidia nei suoi confronti né verso quelli di nessuno, per fortuna.

Penso sempre che se non riesci ad avere successo puoi sempre cambiare. Ognuno ha la sua aura, il suo destino: non sa dove possa arrivare e dove sia il suo limite. Quando all’inizio dicevo che non ero riconosciuto come un fenomeno intendevo dire soprattutto per i tempi, come “l’unico a fare una determinata cosa”.

Ci tengo a specificare però che io mi sento fortunato tutti i giorni perché se riesci a vivere di quello che ami, la musica, da quando hai 27 anni non riesci a capacitartene. Io mi rompevo la schiena in 2 a lavorare in cucina e mi ricordo tutto perfettamente. Tutto questo vuol dire accontentarsi? Non lo so. A me va benissimo così. Ammetto di pensare anche di aver un buon carattere perché ci sono persone che non sono mai contente anche se per le mani hanno qualcosa di potentissimo.

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