Interviste

Le cose cambiano, ma Massimo Pericolo resta uno dei migliori del rap italiano. L’intervista

Esce domani il terzo album del rapper di Brebbia, una dedica a tutti i ragazzi di provincia come lui e la conferma che ad Alessandro serviva per capire che quando hai una penna benedetta non c’è nulla che possa farle perdere l’inchiostro. Nemmeno la paura o il dolore

Autore Greta Valicenti
  • Il30 Novembre 2023
Le cose cambiano, ma Massimo Pericolo resta uno dei migliori del rap italiano. L’intervista

Massimo Pericolo, foto di Anna Adamo

Il secondo album di Massimo Pericolo, Solo tutto (uscito nel 2021), si apriva con quello che più che un pensiero soggettivo è un dato di fatto: “Quanto è difficile scrivere il secondo disco, soprattutto se col primo diventi ricco”. Se il successore di quell’ordigno innescato da Vane nella scena – che rispondeva al nome di Scialla Semper – era stato la conferma per provare al pubblico che quella di Massimo Pericolo non era una stella destinata a bruciarsi dopo un solo disco e dopo un deal, Le cose cambiano, il suo terzo album in uscita domani, è qualcosa di ancora più difficile. Perché se tutti ormai sapevamo di cosa questo ragazzo di Brebbia fosse capace, stavolta era lui ad avere bisogno di conferme. E convincere se stessi, si sa, è il compito più arduo.

La conferma che anche se tutto attorno a te cambia alla velocità della luce, alla fine le cose importanti restano sempre le stesse: le radici, gli amici di sempre (gli stessi che ha inserito nell’album: Niko Pandetta, Fight Pausa, Speranza, Rafilù, oltre che Baby Gang, Emis Killa, Guè e Tedua), l’amore che a Massimo Pericolo non piace sbandierare sui social perché «a me di sfruttare le mie cose personali non interessa, io voglio solo fare il mio lavoro».

Quella provincia che è croce da una parte e delizia dall’altra di cui rivendica l’appartenenza, quella da cui brami di scappare perché a volte è una trappola ma in cui poi devi tornare perché è salvezza. Lì dove i sogni nascono in modo dirompente e talvolta, purtroppo, muoiono anche perché per uno che ce la fa ce ne sono altri che rimangono indietro, ed è proprio loro che Alessandro vuole rappresentare. Il luogo dove puoi essere davvero chi sei e non devi essere, invece, quello che non sei, come Massimo Pericolo ribadisce nell’omonima intro.

E ancora, la conferma più importante: quella che quando hai un dono innato, una penna benedetta da chissà quale divinità del rap, non c’è nulla che possa toglierle l’inchiostro per sputare sul foglio tutto il tuo malessere. Nemmeno la paura o il dolore con cui Vane ha dovuto fare i conti in questi anni difficili un po’ per tutti in cui per ritrovarsi ha dovuto defilarsi.

E così, accantonata la rabbia incandescente delle prime volte – del resto Massimo Pericolo non ha più 20 anni, quell’età in cui «se guardi avanti e non vedi niente ti incazzi» – Vane lascia spazio a una malinconia vivida e visiva, che ti si appiccica addosso e ti catapulta lì, in quella provincia che più che un luogo fisico a volte sembra uno stato mentale che quasi tutti abbiamo provato una volta nella vita. E, se ancora non ti è successo, metti in play Le cose cambiano per rimediare.

L’intervista a Massimo Pericolo

Il disco si apre con un’intro in cui elenchi chi non sei. Per iniziare allora ti chiedo chi è Massimo Pericolo oggi.
Un ragazzo di provincia che ce l’ha fatta ma che ha vissuto le stesse cose di chi non lo ha ancora fatto. Penso di poter rappresentare tante persone e dicendo che cosa non sono spero di essere capito meglio.

Come stai vivendo i giorni prima dell’uscita dell’album?
Fino a ieri dicevo sempre bene, ma adesso inizio a vivermela un po’ con aspettativa e anche un po’ di paura, spero vada tutto bene. Anche perché non esco con un disco da due anni…

Però ieri hai pubblicato il primo brano da Le cose cambiano, Non parlarmi. Quali sono stati i feedback?
Cerco di non leggerli finché non sono davvero tanti perché poi finisce che sto lì a ricaricare la pagina per guardarli tutti!

Per altro è stato l’unico estratto de Le cose cambiano che hai fatto uscire e a pochissima distanza dalla release. Come mai la scelta di non pubblicare prima nessun singolo?
Diciamo che ci ho lavorato tanto e non ho avuto neanche il tempo di pianificare tutto con calma. C’è davvero tanta fatica dietro ma penso di aver fatto proprio un bell’album. 

Dopo aver ascoltato il disco sono andata a risentirmi Signore del bosco e a posteriori ho trovato delle piccole tracce de Le cose cambiano. Eri già nel viaggio? 
Ero già nel viaggio di scrivere i pezzi da zero. Prima avevo tanti brani già scritti, questo invece è il primo disco che scrivo davvero da zero. Mi sono trovato ad un certo punto in cui ho dovuto ricominciare a scrivere con l’ansia di non riuscire a farlo e di non poter sbagliare. Signore del bosco è stato uno dei primi pezzi che ho scritto per mettermi alla prova. 

Perché avevi paura di non saper più scrivere?
Perché quando hai qualcosa di bello hai paura di perderlo. Per me scrivere è sempre stato il modo per non tenermi tutto dentro, anche le cose che mi fanno male. Avevo molta paura di perdere questa cosa, e questo disco mi ha fatto bene perché mi ha fatto capire che invece ce l’ho ancora. 

Si vede che sei molto contento di quello che hai fatto, è una cosa bella.
Non che non fossi contento degli altri dischi eh, ma questo è diverso, è una conferma per me perché so che quello che c’è in questo album è tutto mio. 

Infatti hai deciso di curarne la direzione artistica. Oliver raccontava che hai voluto soppesare ogni parola, ogni suono.
A differenza di prima mi sono preso tanto tempo, anche perché non è stata una cosa facile. Prima lavoravo solo ai testi, ora ho voluto anche pensare ai beat, a come volessi comunicare tutto. Questo è un disco mio al 100%.

In tutto questo tempo hai anche centellinato collaborazioni e uscite. Avevi bisogno un po’ di allontanarti dalle scene per ritrovarti?
Sì, un po’ sì. Poi di mio non stavo bene, è stato un periodo difficile per tutti e ne ho risentito molto. Non stando bene per me non era bello stare sotto i riflettori, perché mi sembrava di far vedere cose di me che non volevo vedere neanche io, quindi figurati farle vedere a tutti. Ho dovuto prendermi del tempo per me, cambiare per stare meglio, e per questo il disco si chiama così. Ora posso tornare al mio posto. 

Mi sembra di capire che Le cose cambiano quindi sia stato anche una terapia.
Sì, mi ha tenuto impegnato, e tenersi occupati in qualcosa di positivo è fondamentale quando stai male. Tanti problemi magari vengono amplificati se gli diamo troppo spazio. 

Però hai scavato anche tanto nel tuo malessere. È un disco in cui c’è molta autoriflessione, e altrettanta autoanalisi. Nel dolore bisogna anche un po’ immergersi, no?
Assolutamente, credo che però dipenda tutto dal modo in cui lo fai. Puoi affrontare il dolore bevendo tutte le sere o chiudendoti in studio tutti i giorni e scrivendo in continuazione, come ho fatto. Io ho voluto affrontare il mio dolore traendone qualcosa di positivo. Ho cercato di farmi un po’ del bene. 

Credo che con la tua musica tu abbia fatto un po’ del bene anche a chi ti ascolta. In pochi hanno dato voce a un disagio come hai fatto tu.
Per me è importantissima questa cosa che dici. La cosa che da ragazzino mi ha fatto innamorare di questa musica era proprio il fatto che mi facesse stare meglio, ed è quello che voglio fare anche io.

C’è meno rabbia in questo album? Mi sembra che a differenza di Scialla Semper o Solo tutto che erano dischi parecchio incazzati, il sentimento predominante qui sia la malinconia. Come se facessi anche un bilancio di quello che è stato e di quello che è.
È così. Sicuramente anche l’età conta, sono in un momento diverso della vita. Un conto è scrivere un disco a 20 anni, un altro è scriverlo a 30. A 20 hai poco per guardare indietro, ok guardi all’infanzia – e anche quella non era stata al top -, e se guardi avanti e non vedi niente ti incazzi. Adesso invece sono tranquillo per guardare avanti, non ho più i problemi di prima, ma sono anche in un’età in cui inevitabilmente mi guardo indietro e apprezzo di più le cose. L’amicizia, i posti coi loro pregi e difetti.

Che rapporto hai oggi con la fama?
Ho un rapporto un po’ conflittuale, perché tante cose che prima erano easy ora non lo sono. Anche andare alle feste, non sempre mi diverte perché è un po’ come se dovessi essere sempre a disposizione. Poi non è nemmeno troppo il mio mondo, non sono uno da feste fino a tardi e poi sveglia al pomeriggio, ho degli altri obiettivi. Io ci tengo a rimanere una persona, anche agli occhi degli altri, ne ho bisogno per sentirmi a mio agio.

Rimanere ancorato alla tua realtà è anche un modo per proteggerti?
Quella è proprio la cosa che mi salvaguarda. Ci tengo a tutelarmi e a tutelare le persone che ho vicino. Sono fidanzato da due anni ma non l’ho mai reso pubblico. Ad oggi se vuoi farlo puoi sfruttare qualsiasi cosa, ma a me non interessa. Io voglio solo fare il mio lavoro. Anche questa cosa dei social, io non riesco a vivermela come se fosse normale rendere tutto pubblico.

Si vede che hai affrontato un cambiamento che ti ha segnato.
Sì, nel bene e nel male. Però ora sono contento.

Anche per i feat hai scelto di chiamare delle persone che fanno davvero parte della tua vita.
Esatto. Ogni feat ha senso lì dov’è e c’è chi doveva esserci.

Com’è andata la collaborazione con Baby Gang?
Fa strano dirlo ma Baby sto andando ad incontrarlo adesso per la prima volta. Farci il pezzo è stato facilissimo. Gli ho mandato il beat e quando gli ho scritto una settimana dopo lui aveva già scritto la sua strofa. Poi abbiamo degli amici in comune, c’è tanta umanità e poco marketing in questo album.

17 Anni invece credo sia il primo skit che nessuno skipperà…
Sono troppo felice che sia piaciuto. Io lo chiamo pezzo più che skit, perché è un racconto vero di 24 ore vissute da me con il mio amico Pietro ma se noti ogni frase fa rima con l’altra. Pensa se diventa pure disco d’oro!

Cosa ti auguri dopo questo disco?
Quello che vogliamo tutti. Stare bene. Forse è banale, ma è la verità.

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