Meg: «Guardo il mondo con gli occhi di una napoletana, ma quando sono nella mia città vorrei cambiare molte cose»
A distanza di sette anni da Imperfezione, il 30 settembre l’ex voce dei 99 Posse è tornata sulle scene con Vesuvia, il suo nuovo album uscito per Asian Fake. L’abbiamo incontrata a Milano per farcelo raccontare
Meg è mancata parecchio alla scena musicale. Come cantautrice e produttrice, che porta avanti una ricerca su voce e suoni elettronici mai comune né banale. Come artista, che da sempre, fin dal 1994 quando entrò nei 99 Posse, si esprime senza problemi sulla realtà contemporanea e politica.
Il suo nuovo album Vesuvia, uscito venerdì 30 settembre, è quindi una grande boccata d’aria fresca, nonostante il continuo rimando musicale agli anni ’90, tra suoni da club, drum’n’bass, trip hop. Il tutto rivisto in chiave 2022 e impacchettato in una confezione melodica a suo modo pop.
Incontriamo Maria di Donna a Milano, da Germi, il locale di Manuel Agnelli, qualche ora prima dell’ascolto in anteprima dell’album. Fisicamente è cambiata davvero poco da quando cantava Quello che sei per me (ed era il 1998…). Da pochi giorni ha compiuto 50 anni e ne sono passati 7 dal suo album Imperfezione. Conserva in pieno anche lo sguardo vispo e attento e la capacità rara di ascoltare chi ha di fronte.
Questo disco mi è sembrato una grande rinascita. È così?
È nato dopo un momento estremamente difficile, non solo per me ma per il mondo intero. Durante la pandemia mi ero rifugiata in una tana e solo pian piano ho ritrovato la voglia di riorganizzare il materiale che avevo già scritto. Il tutto è stato proprio come un’eruzione. È come se il lavoro stesso avesse chiesto di uscire fuori. Ma in una gara di resistenza. In questi ultimi mesi mi è davvero sembrato come se la vita fosse sempre più una corsa a ostacoli.
Dalla pandemia alla crisi economica, dalla guerra alla situazione in Iran. Quindi mi sono detta che l’unica cosa che potevo fare era produrre musica. Se potevo alleviare la situazione anche solo di una persona ne sarebbe valsa la pena.
Sembra nato insieme a un gruppo di amici.
In realtà, non conoscevo da prima i collaboratori di questo album, nemmeno Daniele (Frenetik), ma tra di noi si è creata una situazione davvero unica e magica. Ci siamo tutti sentiti su Instagram. Daniele mi ha scritto per chiedermi se avevo voglia di collaborare e io mi sono accorta che lo aveva fatto anche 3 anni prima ma non gli avevo mai risposto!
Ho deciso di andare in studio da lui con i miei pezzi e gli sono piaciuti parecchio, così mi ha proposto di entrare in quella che era anche la sua etichetta, Asian Fake. Io avevo proprio bisogno di questo: di un team entusiasta che volesse lavorare con me alle mie cose. Da lì mi ha anche presentato i fratelli Fugazza, Francesco Fugazza e Suorcristona, e non finirò mai di ringraziarlo! È stato un incontro artistico e umano pazzesco, sono due produttori eccezionali, con un gusto molto simile al mio. Anche loro come me figli di un padre beatlesiano.
Io ho contattato Tommaso Colliva. Me ne aveva parlato all’epoca la moglie di Carlo U.Rossi, Alessandra, come di un talento eccezionale. Lui aveva vinto la borsa di studio messa a disposizione dalla fondazione nata in onore di Carlo dopo la sua scomparsa. Ho scoperto dopo che aveva vinto un Grammy e aveva lavorato con i Muse. Infine, c’è un pezzo prodotto con David Chalmin, mio caro amico francese, compagno di Katia Labèque, la pianista presente in She’s Calling Me.
E per le collaborazioni?
Io ho contattato i Thru Collected. Avevo scritto loro sotto un post: collabo? E loro mi hanno subito risposto entusiasti. Ho pensato quindi a un pezzo che fosse un po’ come uno stream of consciousness, simile a quelli che producono loro.
Arco & Frecce è il mio pezzo preferito dell’album.
Davvero? Penso sia il meno facile. Hanno partecipato Alice, Altea, Sano e Specchiopaura non tutto il Thru Collected perché ci tengono a mantenere le loro identità ben distinte ma amano anche collaborare con gli altri. Sono un collettivo di ragazzi giovani e talentuosi che fa tutto: dai video alle grafiche alle produzioni musicali. Mi ricordano un po’ i miei inizi.
Mi piace molto anche NZIRIA, l’artista che si autodefinisce hard neomelodica.
Devi dire però “nsiria”. In napoletano vuol dire capriccio. Per esempio, puoi anche dire “ho preso l’nziria (insiria) per uno” cioè mi piace uno e ho la fissa. Comunque lei è super-interessante, produce e canta con questa voce profonda. E prima che arrivaste voi giornalisti musicali ha voluto definirsi così come dici tu. L’ho chiamata per Napolide, che all’inizio doveva anche dare il titolo all’album
Perché “Napolide”?
Mi sono sentita sempre apolide rispetto all’Italia, più cittadina del mondo. Però se poi devo pensare con quali occhi io veda il mondo ti direi da napoletana vera. Quando sono lontana mi manca ma quando ci sono vorrei distruggere tutto e prendere tutti a mazzate.
Quanto è cambiata comunque in questi anni?
Tanto, tantissimo. È diventata una città più turistica: nel momento in cui la gente ha capito che i turisti facevano girare l’economia, hanno anche intuito che non dovevano farli scappare! Però ho vissuto troppe cose a Napoli. Qualsiasi napoletano ti dirà che è la città migliore del mondo dove si mangia meglio. Però appena c’è una sensazione di pericolo in quello stesso napoletano scatta istantaneamente l’allarme. Perché è abituato a non stare mai tranquillo e a guardarsi le spalle. Non si rilassa mai completamente. L’album ancor prima di Napolide in realtà doveva chiamarsi r-existentialism. Esistenza come resistenza.
Che in questo momento politico direi che sarebbe perfetto come titolo.
Esatto, ottimo dopo il risultato delle elezioni. Però poi ci ho ripensato e ho voluto omaggiare di più le origini della mia terra. Quindi è arrivato Vesuvia che è sia la declinazione femminile sia un omaggio a questa presenza sempre costante nella vita dei napoletani, il Vesuvio. Da noi devi sempre stare attento che non capiti qualcosa da un momento all’altro che ti faccia perdere ciò che hai di più caro. Ed essendo io cresciuta a Torre del Greco, alle falde del vulcano, questa cosa la sentivo ancora di più. Comunque, Napoli è un altro pianeta: non è Italia, non è nemmeno pianeta terra. È una città dionisiaca, ha delle regole tutte sue.
L’intervista completa è sul prossimo numero di ottobre di Billboard Italia, scaricabile dalla nostra App sia per iOS e per Android.