Meg e i no che aiutano a vivere
In occasione del mini-tour per i 30 anni di carriera che si concluderà con una grande festa a Roma mercoledì, abbiamo parlato con la nuova protagonista del nostro format Women in Music che ci ha raccontato delle innumerevoli difficoltà del periodo con i 99 Posse in cui era sempre l’unica donna

Meg
Ci sono artiste in Italia che riescono ad avere successo senza scendere a compromessi e riescono ad avere una carriera che supera i 30 anni. Non sono moltissime però. Anzi. Probabilmente si possono contare sulle dita di due mani. Una di queste è sicuramente Maria Di Donna, in arte Meg. Diventata famosa con i 99 Posse dalla Napoli della scena alternativa e impegnata degli anni ‘90, ha proseguito come solista con caparbietà, e anzi negli ultimi tre anni si può dire anche che sia rinata e tornata, giustamente, sotto le luci dei riflettori. Sempre a modo suo, però.
Ora Meg festeggia questo importante compleanno tondo-tondo con un EP, Maria, con uno stesso brano declinato in 3 versioni molto diverse: Vesuvia Sound System, Ze in the Cloud e infine Carmine Iuvone. E poi con TRENTA MEG, un mini-tour che, iniziato a Livorno a inizio aprile, culminerà a Largo Venue a Roma mercoledì 16 aprile e che continuerà anche questa estate. Maria ci racconta di innumerevoli discriminazioni vissute sulla sua pelle in un periodo in cui era semplicemente e praticamente “l’unica ragazza in qualsiasi ambito riguardante la musica”. Un ambiente militante, vicino ai centri sociali. In un periodo che comunque lei ci tiene a sottolineare fu “bellissimo ed esaltante” per tanti motivi. Per la sua forza e la sua lucidità, Meg è la protagonista della nostra rubrica Women in Music.
L’intervista a Meg
Giovedì ti sei esibita nella tua Napoli: ti sei sentita più tranquilla?
Di solito tutt’altro perché ci sono famigliari, amici, parenti, venuti apposta per vedere me. Però questa volta mi sono sentita più serena perché è stata davvero una festa di compleanno e questa atmosfera la vivo io ma anche tutti coloro che mi circondano. si canta, si balla, si ride, ci si commuove, in una una serata in cui non ci sono ansie da prestazione.
Anche nel tour di due anni fa lasciavi spazio ai brani del passato: in che cosa sono diverse queste date?
La scaletta è stata studiata ad hoc per questi 30 anni, quindi ci sono pezzi vecchi, oppure mai fatti live prima. Per esempio, Audioricordi o A una donna dei 99 Posse che non avevo mai proposto da sola. Qualche mese fa avevo chiesto al pubblico, con un post su Instagram, di scrivermi quale traccia avrebbero voluto ascoltare dal vivo e qualcuno me l’ha scritta. Sono andata a riascoltarmela e devo dire che mi sono commossa.
Perché?
L’avevo scritta per me, come spesso accade, per sfogarmi. Stavo attraversando un momento difficile e nella canzone mi spronavo a cercare di cambiare le cose, se no sarebbero rimaste le stesse. Mi sono davvero intenerita a riascoltarla.
Ti riferivi alla situazione che stavi attraversando con i 99 immagino?
Diciamo che era piuttosto tesa. Fino a quel momento io mi ero sentita in famiglia, ma i rapporti erano già piuttosto incancreniti tra di noi e non avevo il coraggio di lasciare. Improvvisamente capii che non potevo più sentirmi a casa, invece, e che non ero più apprezzata.
Ti venne detto qualcosa in particolare che te lo fece capire?
Per esempio, che dovevo smetterla di scrivere “canzoni d’amore”. Perché eravamo una band impegnata e dovevamo parlare di politica. Quando anche l’altro autore, Luca (O’Zulù, Persico) scriveva canzoni sentimentali. Era solo un modo – piuttosto subdolo – per affrontare delle gelosie nei miei confronti. Ma poi cosa volevano dire che saremmo stati percepiti come un gruppo “per signorine”? Mi sentii umiliata. E poi iniziò a montarmi una rabbia incredibile per tutta l’ipocrisia che si nascondeva dietro quelle frasi. Ma poi io penso che un musicista debba esprimersi su quello che lo fa emozionare o arrabbiare in maniera onesta in un determinato momento, mica può fare il conto di quanti pezzi sono politici e quanto no.
Ma secondo te c’era anche una discriminazione nei tuoi confronti in quanto “signorina che scrive canzoni per signorine”?
No, era tutto una messa in scena solo per coprire la gelosia, appunto. Perché la famigerata canzone d’amore (Quello che, ndr) di cui parlavano ci aveva fatto vendere centinaia di migliaia di copie e ci aveva dato una visibilità incredibile. Peccato che l’avessi scritta io, sia il testo sia la musica. Senza contare, ovviamente, la parte di Luca.
E non risultava?
La linea di basso era mia, così come il synth portante e la batteria drum ‘n’ bass era stata impostata da me e poi era stata prodotta da me, con Carlo Rossi e Marco Messina. L’ho sempre sentito un pezzo mio anche se nel gruppo vigeva la regola che la SIAE veniva divisa in parti uguali. Anche se uno musicista non era presente in studio quando si registrava. Comunque non è che ci fosse discriminazione: è che io ero sempre l’unica ragazza in qualsiasi ambiente.
Sempre?
Certo. Non solo nella mia band ma in qualsiasi ambiente frequentassimo negli anni ‘90. Nelle case discografiche, nei management, nei team più tecnici: solo e soltanto io. Quindi dovevo sorbirmi parole e battute da caserma, soprattutto sulle fan che venivano ai concerti. Mi ferivano. Ma rimanevo lì, forse a pensarci bene me ne sarei dovuta andare prima.
La situazione oggi ti sembra cambiata?
Sta migliorando, senza dubbio. Non è un problema legato solo al mondo della musica, poi, ma a quello del lavoro in generale. I salari delle donne sono più bassi e i trattamenti pure. È una questione drammatica generale. Però ecco il mobbing che viene riservato alle donne è particolare, per esempio a me chiedevano: ma te li scrivi tu i pezzi?
Non solo a te ma anche a tante altre cantautrici. Tu poi sei stata una delle prime producer: sono ancora in poche anche oggi e spesso non hanno il coraggio di autodefinirsi tali…
Questa cosa mi fa impazzire ma è proprio così! Dipende moltissimo dall’educazione che riceviamo fin da piccole, ci insegnano a stare buone e in silenzio! E noi finiamo per avere la “sindrome dell’impostore” e a credere di non meritare nulla. Io però ringrazio i miei genitori perché a me e alle mie 2 sorelle hanno dato un’educazione egualitaria e femminista. Ci hanno sempre insegnato che avremmo potuto diventare quello che sognavamo. Quando dissi loro che avrei studiato Lettere e Filosofia non ebbero niente in contrario, anche se sapevano che non avrei avuto una strada facile.
Comunque, tornando al discorso del sentirsi produttrici, non so darmi una spiegazione ma il motivo è sicuramente legato al fatto che “non possiamo vantarci”, ma se siamo produttrici dobbiamo dirlo senza paura. E molto spesso non mi hanno fatto figurare come compositrice, ovvero autrice della musica, ma solo del testo, per tornare al discorso di prima. E io non osavo ribellarmi. Che poi anche oggi faccio fatica a vedere il mio nome tra i crediti come produttrice. Infatti, in radio quando devono annunciare il pezzo prodotto da me, Francesco e Marco Fugazza e Frenetik&Orang3 dicono solo quest’ultimi! Con tutto che siamo veramente amici, devo dire che non ci rimango neppure più male, ma se ti capita a 20 anni è diverso.
Meg, se potessi tornare indietro a quel periodo cosa faresti? Alzeresti di più la mano per opporti? E cosa diresti alle ragazze più giovani, che ti seguono parecchio ai tuoi live?
Certo, direi loro di non stancarsi di farsi sentire. Io a un certo punto me ne sono andata perché non ne potevo più di questo continuo conflitto, per il bisogno di ricordare che ci fossi anche io e che non ero una turnista, benché mi pagassero e mi trattassero come tale. A un certo punto però le cose cambiarono.
Quando?
Quando stavano per firmare con la BMG e questa disse che doveva esserci per forza anche “la ragazza”. Ecco, lì avrei dovuto avere la prontezza di dire no, ma non lo feci. Però ho imparato tanti meccanismi tecnici molto utili. Infatti, alle ragazze (ma anche ai ragazzi) giovani, voglio sempre ricordare di stare attenti al diritto d’autore nei contratti che firmano. Se no, dopo anni si ritrovano senza niente in tasca.
Invece, Meg, hai mai visto delle discriminazioni nei tuoi confronti da parte di altre donne?
Ora non mi vengono proprio in mente. Sai negli anni ‘90 eravamo così poche che quando ci incontravamo eravamo solo contente. Andavamo d’accordo e condividevamo, capitava sempre con Elisa e con Eva dei Prozac+. Se oggi delle ragazze si avvicinano a me e mi dicono che fanno musica grazie a me, io sono troppo felice. A me verrebbe tanto voglia di andare da quella Meg ragazzina, di abbracciarla e dirle “Guarda che stai facendo un ottimo lavoro, non ti preoccupare. Va bene così”.
Puoi dirti soddisfatta della tua carriera?
In questa fase della vita mi sento, come dire, “garantita”. Sento che le scelte che ho fatto e soprattutto i no che ho detto hanno determinato la persona che sono oggi. Sento che le persone che mi circondano e con cui lavoro, ora mi vedono. Perché poi per me è fondamentale che nelle collaborazioni ci siano affetto e stima. Che poi io ho messo l’accento sugli aspetti negativi ma gli anni ‘90 furono anche anni meravigliosi in cui ci sentivamo di far parte di un processo di cambiamento generale. Però ho un consiglio importante da dare alle più giovani.
Quale?
Datevi delle regole, rispettatele, per non accorgervi un giorno di esservi snaturate (o snaturati). Per non sentirvi solo un prodotto in mano a qualcuno altro. Soprattutto per per una ragazza, poi, che oggi si deve anche promuovere sui social, cercando di essere bellina per l’algoritmo. Fregatevene dell’algoritmo: se avete delle stranezze esaltatele!
Qual è stato un “no” davvero importante per te?
Oltre a quello di quando mi hanno detto di non scrivere canzoni d’amore? In quel periodo mi dissero anche che era meglio se continuavo a vestirmi da “combattente” e non un po’ più femminile come feci per i miei dischi solisti. Capisci? Per questo ho deciso che dovevo lasciare e nessuno mi poteva più dire che cosa dovevo fare, scrivere, cantare. Però io oggi sono lontana da tutto, non ho nessuno rancore. Ho raccontato tutto questo solo per fare sapere che dietro a quelle che sembrano situazioni perfette ci sono fatiche e ostacoli. Oggi sembra tutto appiattito, anche da parte di chi ne usufruisce. Invece bisogna approfondire. E suonare nei luoghi pubblici e fare team. Sempre.