Mora & Bronski: «Ecco perché il blues è ancora (decisamente) attuale»
Il terzo disco del duo di Mora & Bronski (all’anagrafe Fabio Mora e Fabio Ferraboschi) è “50/50” ed è stato anticipato dal singolo “Spaghetti Blues”. Ecco la nostra intervista
Il loro terzo album si chiama 50/50. Nel titolo compaiono questi due numeri perché metà disco è composto da brani originali, mentre l’altra metà da grandi brani (da loro rivisitati) del panorama afro-americano e folk. Mora & Bronski (all’anagrafe Fabio Mora e Fabio Ferraboschi) sono un duo che ha bene in mente cosa significa attingere da un patrimonio musicale e farlo proprio.
Il primo singolo estratto dal disco è Spaghetti Blues. L’album ospita nomi come quello di Fabrizio Poggi che è stato recentemente nominato ai Grammy Awards tra i Best Traditional Blues Album.
Abbiamo incontrato Mora & Bronski.
Come avete lavorato su questo disco?
Questo è il terzo disco di Mora & Bronski. La nostra è un’esperienza che viene dalla passione per il blues, il folk, la musica afroamericana. Il primo disco l’abbiamo registrato in presa diretta e ci siamo accorti che funzionava. È difficile che vengano subito delle alchimie, soprattutto in presa diretta. Ma così è successo. Abbiamo deciso di pubblicare questa cosa e da lì è partito questo viaggio di blues misto alla canzone d’autore. Per questo album in particolare abbiamo deciso di “esagerare”: abbiamo deciso di mettere nella tracklist otto brani inediti e otto canzoni già famose (che fanno parte della cultura blues, folk, ecc). Abbiamo cercato di portare questo suono roots che usavamo nelle cover anche nei pezzi in italiano. Per mantenere una linea di originalità. L’aggiunta dell’italiano è particolare per questo genere. Abbiamo cercato di fare una cosa che avesse un significato e che attingesse alla canzone d’autore. Ma l’abbiamo fatto nel modo più naturale possibile.
Cosa significa essere italiani e confrontarsi con un repertorio del genere?
Abbiamo messo in pratica la nostra cultura e l’abbiamo unita ai colori della musica afroamericana. È stato davvero semplice. Abbiamo preso Modugno, Carosone, Buscaglione e li abbiamo inseriti molto naturalmente nella nostra produzione.
Come è nata in voi la passione per questi generi?
Ce l’abbiamo da sempre. Noi amiamo contaminare questa cifra che stiamo cercando di portare avanti. Il blues è una musica di grande contaminazione. Nasce come una contaminazione tra la “musica bianca” e quella africana. Anche tanti strumenti sono nati proprio da queste contaminazioni (vedi la chitarra resofonica o quella elettrica). Di fatto il blues è sempre stata una cosa molto “avanti”. Poi è stato “surclassato” dal rock’n’roll. Ma attenzione: il blues non è assolutamente morto. È una musica in costante evoluzione. Non ci vediamo niente di sbagliato nell’inserire elementi elettronici o synth minimali all’interno di brani con queste sonorità. La gente è molto ricettiva su questi cambiamenti. Paradossalmente lo è di più rispetto ai “puristi” che invece tendono a farsi troppe domande.
Quanto conta per voi essere insieme in questo progetto?
Non poteva essere altrimenti: abbiamo un ottimo rapporto. Abbiamo imparato a conoscerci e il blues ha traghettato le nostre due personalità. È anche un discorso di suono che si ritrova e che si amalgama alla perfezione.
Avete voglia di esibirvi live?
Sì, certo. Quella del live è una dimensione importantissima per noi. La scusa di registrare è nata anche per poter portare di nuovo la nostra musica dal vivo. Noi ascoltiamo tutto, siamo come delle antenne.
Avete detto che «il blues parla sottovoce a volte. E a volte urla. Ma tu, tu devi essere in grado di sentire». Come si fa a sentire?
Devi avere voglia di ascoltare. Questa frase si può leggere in diversi modi. Noi facciamo diversi concerti e tante volte la gente ci confessa che ha sempre inteso il blues come qualcosa di statico, addirittura noioso. È impossibile che non ti piaccia il blues. È talmente primordiale e naturale, che arriva. Per forza.
Quali sono i progetti per il vostro futuro?
Abbiamo il sogno utopico di portare questa nostra musica al di fuori dei confini nazionali. Senza arroganza, pensiamo che ci possa essere uno spazio per uno stile italiano con queste sfumature. E poi ci piacerebbe fare tanti concerti. Sempre di più.