Interviste

Una conversazione con i Parisi, il duo di producer che non sapevi di conoscere

Due fratelli e due produttori, tra i più rilevanti della scena britannica e non solo, Marco e Giampaolo possono vantare numerose collaborazioni, su tutte quella con Fred Again.., e un Grammy Award

Autore Tommaso Toma
  • Il3 Agosto 2024
Una conversazione con i Parisi, il duo di producer che non sapevi di conoscere

Foto di Olivia Williams

Marco e Giampaolo Parisi sono una coppia di fratelli salernitani che hanno la musica nel DNA. Vivono da anni a Londra: complice di questa scelta è un nuovissimo strumento di cui sono ambasciatori e sviluppatori, la Seaboard della Roli, all’apparenza una semplice tastiera, in realtà moltissimo altro. Con la sua superficie in silicone nero, questo strumento è un dinamico controller, iper-sensibile alla pressione ed estremamente espressivo. I Parisi si sono fatti presto strada nella scena dance UK che conta, diventando grandi complici delle produzioni di Fred Again.. E adesso iniziano il loro viaggio personalissimo nella scena, tenendo nel cuore quell’Italian touch di cui non vogliono fare a meno.

I Parisi a Los Angeles, foto di Connor Brashier

L’intervista ai Parisi

Visto che per noi siete letteralmente una scoperta, vorremmo che ci raccontaste la vostra storia.
Marco Parisi: Una storia lunga. Tu conta che nostro papà ha lavorato come session man per artisti come Bobby Solo ed Edoardo Vianello tra gli anni ’80 e ’90. Siamo cresciuti in mezzo a tanti strumenti e il nostro segreto è che nessuno in famiglia ci ha mai forzato a suonare. Eravamo attratti dai tasti del pianoforte, poi per gioco e per imitazione cercavamo di suonare. Io ho l’orecchio assoluto: sentivo un brano che metteva nostro papà – che so, Pino Daniele o Phil Collins – e lo suonavo al volo.

Facevamo entrambi delle lezioncine per imparare alcune tecniche, però ci accorgevamo che eravamo già abbastanza bravi. Nostro papà aprì anche un negozio di strumenti musicali e a quel punto abbiamo passato con lui un sacco di tempo a provare e a suonare ogni genere musicale, dal pop italiano a blues, jazz, rock and roll e anche prog rock. Il nostro sogno, crescendo a Salerno, era di diventare dei session man, come nostro padre.

Giampaolo “Jack” Parisi: Mentre Marco raffinava con gli studi la sua tecnica, io a un certo punto ho cominciato a fare il DJ. Ho iniziato ad avere la passione per la musica dance fino al punto in cui cercavo di imitare quei producer che su YouTube ti fanno vedere come lavorano in studio e producono i pezzi. Mi dicevo: “Wow, voglio imparare anch’io a farlo. Perché limitarmi a suonare pezzi di altre persone?”. Quindi ho iniziato a passare giorno e notte in uno studio creato da me imparando a usare Logic, capire tramite tutorial come si fa quel certo pezzo. Come faccio a fare una transizione? O a creare un beat?

MP: All’epoca ero molto contrariato, ma per fortuna la testardaggine di mio fratello prese il sopravvento (ride, ndr). Piano piano ho anche preso coscienza di quanta complessità ci sia dietro una produzione, anche quelle con le melodie più semplici, come nel caso di David Guetta. Cominciai a spendere un sacco di tempo in studio e dal 2017 in poi circa inizia la nostra carriera.

Giampaolo Parisi, foto di Sebastian Wawrzyniak

GP: A 19 anni presi il mio primo volo per vedere alla Winter Music Conference di Miami gli Swedish House Mafia e poi a fare le prime produzioni, grazie a DJ TY1, anche lui di Salerno. Poi abbiamo lavorato per Clementino.

MP: Faccio un passo indietro fino 2014, perché in quel periodo accadde una cosa molto importante per noi. Grazie a un’intuizione di nostro padre – quella di fare video dimostrativi per alcuni strumenti nuovissimi che arrivavano nel suo negozio – iniziai anche a viaggiare per la Korg, dall’Europa all’Estremo Oriente. Quando finii a Francoforte conobbi Jordan Rudess (dei Dream Theater, ndr), che ci cambiò la vita. Perché lui rimase colpito dal modo in cui suonavo la tastiera: io faccio sempre questo gesto (oscilla il dito sulla tastiera, ndr) che è a tutti gli effetti un vibrato. È un modo di suonare che già nostro padre usava e ci sembrava naturalissimo.

Jordan mi disse: «Marco, io sto portando con me questo strumento, è un prototipo, si chiama Seaboard e il movimento che tu fai con le dita funziona benissimo in questo caso». Jordan è una persona di una generosità immensa e nonostante all’epoca la compagnia che produce la Seaboard fosse piccolissima (il CEO, manco a farlo apposta, si chiama Roland) ci offrì un lavoro, ovvero lo sviluppo della Seaboard. Da quel momento cominciai a creare i suoni della Seaboard da zero e mi offrirono di trasferirmi a Londra. Con me ovviamente portai Jack!

Quindi il nostro lavoro per anni è stato a viaggiare e far conoscere ai producer la Seaboard. Diventammo importanti per il team di Roli e siamo letteralmente cresciuti con l’azienda. Io sono diventato un’unica cosa con questo particolarissimo strumento. Rispetto al pianoforte, che è uno strumento “binario”, qui hai un margine di azione molto più grande. Provo un paragone strano ma forse aiuta: se il piano è un rettangolo ben definito, la Seaboard è una sorta di grande cerchio.

Parisi intervista
Marco Parisi, foto di Sebastian Wawrzyniak

E da lì è cambiata la vostra vita immagino.
GP: Dal 2014 al 2021 abbiamo conosciuto tantissimi musicisti grazie alle dimostrazioni che facevamo con la Seaboard, da Hans Zimmer (che adesso a Los Angeles ne ha ben cinque in studio) a Herbie Hancock e Chick Corea. Nessuno lo sa ma noi abbiamo arrangiato i fiati e gli archi per alcuni album di Ed Sheeran!

MP: Siamo stati in studio con Stevie Wonder, Pharrell Williams, Timbaland…

GP: Ovviamente noi non abbiamo mai fatto promozione per noi stessi, anche se Timbaland aveva mostrato interesse nei nostri confronti, ma intanto avevamo creato un piccolo network di persone che ci stimavano. Proprio in quel contesto abbiamo avuto modo di conoscere Fred Again.. quando ancora era un producer hip hop, e anche Will.i.am, che ci chiese espressamente di andare in studio a produrre i Black Eyed Peas.

MP: Quello è stato ufficialmente il nostro primo lavoro “out of Roli” a Londra. E poi lavorammo subito a ruota con Fred Gibson (vero nome di Fred Again..) che stava lavorando con Ed Sheeran per il suo quarto album, No. 6 Collaborations Project.

Sinceramente pensate che avreste avuto tutte queste chance rimanendo in Italia?
GP: No, ma al di là del fatto che questi personaggi sono di fama internazionale, la questione è un’altra. In Italia si tende a dire: “Siete bravi, magari ci si sente per fare qualcosa assieme”, e intanto passa il tempo. Qui a Londra c’è più rapidità d’azione. Fred Again.. ci ha visto e ci ha chiamato per provare subito a lavorare su quattro tracce di Ed Sheeran. Da lì siamo entrati, diciamo, in un’amicizia stretta che poi è cresciuta negli anni. Quindi abbiamo avuto poi l’onore e il piacere di assistere alla trasformazione di Fred Gibson produttore in artista Fred Again.. e ad essere parte integrante del suo progetto, sin dal suo album di debutto.

MP: Ricordo che eravamo in una cittadina del Kent per Actual Life ed ebbi subito la sensazione che fosse un album speciale.

Parisi Intervista
I Parisi a Los Angeles, foto di Connor Brashier

La stutter house è un sottogenere copiatissimo anche in Italia: è nata con voi tre?
GP: Assolutamente.

MP: Ma poi sai qual è stata la cosa incredibile? Che non abbiamo mai usato delle reference quando abbiamo prodotto musica assieme a Fred Again.. L’abbiamo anche scritto nel post dopo aver ricevuto il Grammy, cioè tutta la musica che abbiamo creato da Actual Life I al terzo capitolo è guidata dall’amore e dalla gioia di quel momento, non abbiamo preso nulla da nessuno. Abbiamo speso settimane a giocare con i suoni senza darci limiti!

Quindi nella creazione di questo suono copiato da tantissimi c’è un Italian touch?
MP Immaginiamo di sì!

Ve lo chiedo perché, sentendo le vostre prime produzioni come Parisi, noto una predisposizione alla melodia che è molto italiana. Oltretutto voi arrivate da un’area non lontana da Napoli.
GP: Hai preso in pieno. Quello che ci portiamo dall’Italia è quella sensibilità alle nostre belle melodie della tradizione partenopea. Noi siamo anche tanta armonia, per esempio ci siamo noi nelle armonie di Adore You di Fred. Le abbiamo fatte fondamentalmente in 15 o 20 minuti. Sul versante più dance, se pensi a un brano come Turn On the Lights con Fred Again.. e gli Swedish House Mafia, tutta la parte con quell’arpeggio un po’ trance viene dal nostro background armonico molto italiano, che è anche stato alla base dei successi di grandi producer come Gigi D’Agostino, Mauro Picotto, Benny Benassi, Franchino.

MP: Parliamo sempre di queste grandi figure della nostra dance ogni volta che facciamo musica con Matteo (Milleri, di Anyma, ndr), com’è successo di recente con il brano Sacrifice. Siamo orgogliosi di poter esportare la nostra sensibilità qui a Londra e di aver ottenuto un Grammy.

Che non mettete in bella vista! Ricordo una recente intervista via Zoom con Tiziano Ferro da Los Angeles: dietro di lui troneggiavano i suoi Grammy.
MP: Ah, ci piacerebbe un giorno lavorare con lui, magari! Adoriamo Tiziano.

GP: Anche perché la nostra visione di lungo termine è di diventare piano piano sempre più melodici, più maistream.

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