Neima Ezza, il “Piccolo principe” è cresciuto: «La vita di strada? Ha ben poco di figo»
Oggi esce il nuovo album del rapper di zona 7, San Siro, e noi siamo andati in quartiere da lui per farcelo raccontare: «Mi sono autoanalizzato per capire da dove arrivava la rabbia. Non vivo più in quartiere. Qui non ci sono gangster, ma ho visto il degrado»
Neima Ezza ci aspetta per l’intervista davanti a un bar con grazioso dehor, poltroncine e divanetti, in piazza Segesta. La famosa (per le pagine di cronaca) zona San Siro, che confina con l’altra, quella residenziale delle villette con giardinetto, tranquille e opulente. Neima ovvero Amine Ezzaroui è vestito tutto di nero con nessun dettaglio di spicco o di lusso. Potrebbe essere un ragazzo qualsiasi del quartiere. Non il Neima Ezza che oggi pubblica l’album Piccolo principe, dopo aver già accumulato un bel po’ di stream, un disco di platino per l’EP Giù, e che appare sulla pubblicità nella pensilina del bus (in quattro fermate un QR code permetteva un viaggio sonoro particolare nella vita di Amine).
Neima ci tiene subito ad andare a prendere qualcosa da offrire al bancone del bar. Con un tono caloroso, non forzato, che non ammette repliche: «Siamo nella mia zona, ci mancherebbe altro». Appena si allontana il cameriere vuole sottolineare che questo momento dell’anno è tranquillo, ma in estate ci sono troppi ragazzini che si siedono lì, ordinano solo un caffè e bivaccano per un tempo infinito. «Non si sta mica tanto bene, qui».
Per farci un’idea del quartiere, Amine ci farà fare un giro in macchina e a piedi per vedere le vie più problematiche, sicuramente dimenticate dai più, in primis quelle dove è cresciuto. Patito e gioito, perché qui sono anche nate le amicizie più importanti con coloro che lo accompagnano e aiutano nella sua carriera. E qui è pieno territorio della Seven 7oo, di Rondodasosa, Sacky, Keta, Vale Pain. «Ora non vivo più qui ma ci sono legatissimo. Ci torno sempre, soprattutto per stare con mia madre e i miei amici. Però ammetto di non voler viverci sempre. È un ambiente che mi ha anche intossicato. La povertà non fa bene».
Piccolo Principe è Neima Ezza
Neima Ezza oggi pubblica Piccolo Principe, un disco dove c’è tutto lui. C’è la parte più morbida e vicina al pop in tracce come Bella e come Rosa. Più sentimentale, non per forza autobiografica. «Adoro raccontare quello che mi raccontano gli altri a loro volta». E c’è quella più aggressiva. «C’è “Ezza”, proprio come mi chiamano qui in zona: la mia parte più oscura che credo abbiano tutti. Io so che mi trasformo, me lo dicono. Resisto con pazienza ma cambio faccia quando mi arrabbio». E questo lato emerge in tracce come Spedizione Punitiva.
C’è anche del reggaeton e ci sono i ritmi di influenze arabe. Ci sono i feat con Guè e con Emis Killa. Con Baby Gang, Simba La Rue, Capo Plaza, Nèza. Ci sono le produzioni di NKO, Dystopic, Ava e 2nd Roof. «C’è tutto il mio racconto. Perché io so di aver fatto anche tante cazzate, avrei potuto anche fare di peggio».
Durante l’intervista con Neima Ezza passa una signora con l’hijāb e gli dice una frase in arabo a cui risponde perfettamente a tono, con tanti “Inshallah”, uno dietro l’altro. Poi passano delle quindicenni e lo salutano con due baci. Infine, arriva un bambino che gli chiede a che ora esce il disco. Lui risponde a tutti.
L’intervista
Possiamo definire Piccolo principe un album maturo?
Sento che c’è proprio tutto quello che volevo dire e raccontare, anche se ne ho ancora da dire! Spero si possa definire così perché io mi sono molto auto-analizzato per arrivare a questo risultato. Dovevo capire se davvero cambiavo faccia quando mi arrabbiavo.
Ed è così?
Penso proprio di sì. Volevo arrivare a capire le sensazioni che provavo. Se avevo sbagliato, perché lo avevo fatto. Quando riesci a capirti, significa che sei diventato grande.
Qual è la cosa che gli altri capiscono meno di te?
Credo che nessuno abbia più la presunzione di riuscire a capire come sta un altro. Io ora non penso più che una persona è felice solo perché ha una Ferrari o perché è uno sceicco col petrolio. Ognuno vive dentro di sé moltissime sfumature. Nel 2024 penso ci siano arrivati tutti.
Dici proprio tutti?
Massì, almeno le persone che mi stanno accanto. Hanno visto pian piano che le cose mi andavano sempre meglio: i concerti sold-out, il disco d’oro e quello di platino, ma sanno tutta la sofferenza che c’è dietro e le mancanze che non mi passeranno mai in tutta la vita. Nonostante i soldi.
Ne parli anche nella title-track: che rapporto hai?
La mia vita ora va molto meglio, rispetto a quando ero piccolo. Ho sistemato quello che dovevo: mi sono comprato una casa e ho aiutato i miei genitori. Ma i soldi non sono tutto: ne sono stra-convinto.
Perché non sei rimasto in quartiere?
Sono andato in un tranquillo paese di provincia, vicino a Rho e Nerviano. Ho sempre sognato di andarci.
Non è un sogno così comune: come mai?
Perché quando ero un bambino seguivo mio padre che lavorava nei mercati di zona. Lunedì piazza Prealpi, martedì Lima, mercoledì Giambellino, giovedì vicino Nerviano, Baggio, Lambrate. Ecco, io lì mi sono innamorato della provincia. Appena ho guadagnato qualche soldo, ho proposto a mia madre di andarcene: lei ha preferito non lasciare il quartiere perché aveva bisogno di stare vicina a determinati ospedali per mia sorella. Io ho deciso di trasferirmi e di andarmene dal buco dove vivevamo in via Zamagna. È stato faticoso ma una bella ricompensa.
Ti manca la tua zona?
No, perché continuo a venirci spessissimo. E se ti dicessi che stavo meglio prima, mentirei. Ho sentito che dovevo un po’ allontanarmi da qua perché questo luogo mi ha un po’ intossicato. Ci sono i miei amici, con 5/6 di loro lavoro a strettissimo contatto. Però la miseria e il degrado mi hanno un po’ traumatizzato. Ora sto meglio, sono più tranquillo. Certo, non è mica così facile vivere da soli.
Bimbo in quartiere è una traccia particolarmente toccante, hai detto che in molti vi si sono riconosciuti.
Sì, è così. Dagli amici ai parenti, tutti mi hanno detto che hanno avuto i brividi. Anche per la storia della mamma che ti dice di non fare cazzate per la religione e non per non andare in galera.
Quest’ultima cosa ti è rimasta dentro?
Sì, io sono molto credente. Seguo il Ramadan, prego, non ho tatuaggi, vado in moschea a Lampugnano. Ecco, forse sarò incoerente. Perché ho ferito altre persone senza volerlo e comunque ho sbagliato. E parecchio.
La politica ti interessa?
No, perché i politici sono troppo lontani dalla vita delle persone. Non si fanno mai vedere dai ragazzini, che un giorno potrebbero votarli, e che così crescono con l’idea che la politica sia sbagliata. Io credo di stare meglio standomene lontano.
Questa zona è davvero dimenticata?
Qui non vedi il ghetto con i gangster ma vedi il degrado, per esempio un bambino di 8 anni in mezzo alla strada alle 10 di sera perché non sa dove sia sua madre. Però qualcosa si sta muovendo grazie soprattutto al centro che hanno aperto Don Claudio Burgio e Elisabetta Andreis (giornalista, ndr). Avrei voluto un posto del genere da piccolo. Adesso i ragazzini hanno anche i completini da calcio, le scarpette e i parastinchi. Io ho visto cose pazzesche da piccolo.
Cosa?
C’è una scena che mi scorderò difficilmente. Quella di due ragazzini piccoli che ad Halloween, ai tempi in cui faceva davvero freddo a Milano, erano in giro con la t-shirt e una sola giacca per due. Se la passavano per riscaldarsi. Quando vedi queste cose non pensi “che figa la vita di strada”.
Hai mai paura che cambiando vita potresti non essere più capace di raccontare questa realtà e queste sensazioni?
No, perché sono sempre in mezzo a queste situazioni. E le mie canzoni nascono dai racconti delle persone. Come quelle d’amore e le scrivo subito.
È ancora il tuo metodo preferito?
Certo, così nascono le cose migliori. Per esempio il pezzo Ninna Nanna. Lì racconto come un giorno vorrei essere padre e vorrei riempire mio figlio delle cose belle che io non ho mai avuto. Vorrei portarlo a una partita di calcio o a prendere il gelato.
Per le canzoni d’amore contenute in questo album ti sei mai sentito quasi in imbarazzo?
No, affatto, soprattutto perché spesso non riguardano me. In questo album non c’è nulla di personale a livello sentimentale. Sono io, Neima Ezza, che mi immagino come vedrei la mia Rosa, quella del Piccolo Principe. Solo adesso posso dire che sta nascendo una bella storia, come in un film. Mi è capitato di fermare addirittura una ragazza per strada.
Nella Intro inviti a “tirare fuori l’Ezza che c’è in ognuno di noi”: è la tua parte oscura?
Sì, Neima e Ezza sono i miei due lati. Fa parte anche questo dell’autoanalisi che ho fatto: ho capito che è meglio non imprigionare troppa cattiveria se no esplode. A me piace vivere anche l’altro lato di me, senza esagerare. Ezza si esprime in pezzi del passato come Rapina o come Spedizione punitiva.
A proposito di Spedizione punitiva: non credi che avere pubblicato quel pezzo a novembre sia stato un po’ troppo provocatorio? Dopo quello che avevi passato (nel gennaio 2022 era finito agli arrestati domiciliari revocati il mese dopo e diventati obbligo di dimora, l’accusa era rapine ai danni di ragazzi non confermata, ndr).
In realtà, era già conosciuto dai miei fan perché l’avevo spoilerato due anni fa. Solo che due anni fa ero appena uscito dalla mia situazione particolare appunto e non mi era sembrato il caso (anzi te lo avevo anche già raccontato). Quindi, a furia di rimandare, ho pensato fosse arrivato il momento. Ma non era una frecciatina per nessuno.
Tu in generale sei dentro a questa lotta Milano Ovest vs Seven 7oo?
Se volevo fare la vita di strada e litigare sarei rimasto in Zamagna. Non mi riguarda e non mi sento coinvolto.
Invece tra voi della Seven 7oo è tutto tranquillo?
Sì, li vedo tutti pian piano. Siamo tutti presi, chi da un album, chi per recitare, come Keta.
Anche con Baby Gang?
Cerchiamo di incontrarci in studio ed è uno dei pochi che è rimasto se stesso. A chi lo critica vorrei solo farlo conoscere di persona. Perché ha un modo di ridere e scherzare che conquista. È un pezzo di pane.
Forse è quello che ne ha passate peggio di tutti?
Sì, forse sì – indugia – non lo so. Non conosco perfettamente le storie di tutti.
In Ghetto love compare il feat. di Guè e in Due principi c’è invece quello di Emis Killa: cosa hanno rappresentato?
La pura gioia perché loro mi hanno detto di aver apprezzato i brani. Con Emi posso dire proprio che c’è stato un rapporto di fratellanza. E la prima volta che lo avevo sentito per caso avevo 12 anni, quindi è stato straordinario andare a casa sua. Abbiamo chiacchierato tanto e alla fine mi ha detto: ma di che segno sei? Scorpione. Ah, pure io! Su Guè cosa posso dire? Lui e i Club Dogo sono la storia del genere.
Pensavo che Piccolo principe fosse Neima Ezza e basta, invece a chi si riferisce?
Al me piccolo che non avrebbe mai potuto immaginare che un giorno avrebbe fatto un feat. proprio con loro due. Ma anche a tutti quelli della zona, che magari stanno anche peggio di quanto non stessi io. Vorrei poter essere da ispirazione. È anche un messaggio per me, perché alla fine non mi sono perso in queste strade.