“Qualcosa di Nuovo” secondo Max Pezzali: «Quando tuonano contro i giovani penso a come veniva trattata la mia generazione»
Venerdì 30 ottobre esce il nuovo disco di inediti, “un album nato in un altro tempo che però non può prescindere dal tempo in cui viviamo”. Abbiamo incontrato il cantautore
Con gli 883 ha scritto la storia del pop italiano e nel corso della sua (ormai lunga) carriera solista ha saputo rimanere rilevante per diverse generazioni sia di artisti che di fan. Un ricambio generazionale che è attivamente coltivato dallo stesso Max Pezzali, uno dei pochi che hanno sempre accolto senza pregiudizi quanto di meglio i più giovani portano con sé. Basta ascoltare il nuovo album di inediti Qualcosa di Nuovo (in uscita il 30 ottobre per Atlantic / Warner Music Italy) per accorgersene: da un lato il featuring con un artista distante stilisticamente e anagraficamente, GionnyScandal (in Siamo Quel Che Siamo), dall’altro la costante autoironia nei confronti delle facili nostalgie della propria generazione.
Ma Qualcosa di Nuovo offre una quantità di spunti diversi, e del resto ogni conversazione con Pezzali diventa sempre una riflessione ad ampio respiro sulla musica e sulla pop culture. Dunque non ci resta che andare ad approfondire l’album direttamente col suo creatore, che abbiamo incontrato a Milano.
Qualcosa di Nuovo, la canzone, è stata prodotta a Los Angeles da uno dei migliori produttori che l’Italia abbia sfornato in tempi recenti, Michele Canova.
Michele è un amico, ho collaborato diverse volte con lui. Aveva “in canna” questa canzone, che mi ha proposto molto recentemente. Musicalmente mi piaceva tantissimo. Mi piaceva anche questo claim apparentemente semplice, “qualcosa di nuovo”: mi dava il pretesto per immaginare una luce oltre la linea dell’orizzonte. Mi serviva questo concetto in un album nato in un altro tempo che però non può prescindere dal tempo in cui viviamo. Sembra che si faccia finta che non è successo niente, ma Qualcosa di Nuovo fa intuire che invece ce n’è la consapevolezza.
Il video di Qualcosa di Nuovo è stato ideato e interpretato da Fabio Volo, e vi compare anche tuo figlio. Cosa ci puoi raccontare su questa produzione?
Ci è venuta l’ispirazione da uno dei primi video in cui il playback della canzone viene cantato dall’attore, uno di Elton John, mi pare. Ci siamo rivolti a Fabio Volo, che è stato entusiasta di farlo. Tramite il suo regista Gianluca Leuzzi ha avuto l’idea pazzesca di fare tutto in piano sequenza. All’interno del bowling si incontrano tutte le fasi dell’amore: l’innamoramento, il litigio, l’amore maturo, una nuova vita che nasce, fino all’incontro fra me e mio figlio alla fine. Mi ha molto emozionato perché c’è un’idea forte di passaggio nelle varie fasi della vita.
I featuring presenti in Qualcosa di Nuovo sono tutti di rapper, per quanto molto diversi fra loro stilisticamente e anagraficamente: J-Ax, GionnyScandal, Tormento. Del resto, nel corso della tua carriera non sono mai mancati sinceri attestati di stima nei confronti del rap italiano.
Io e Ax abbiamo una storia “parallela” che nasce più o meno negli stessi anni e ci siamo sempre voluti bene. Soprattutto lui, come me, ha un’ossessione per il passato di certi anni che abbiamo attraversato, perché li osserva per decodificare il presente. Per questo in 7080902000 mi serviva il suo punto di vista. Addirittura ho concepito la canzone partendo dal presupposto di chiamare lui. Con Tormento, avendo un pezzo che si prestava all’attitudine un po’ R&B dei Sottotono (una delle cose migliori prodotte dalla cultura hip hop italiana), per me era un sogno da fan diventato realtà.
Per quanto riguarda GionnyScandal, io sono molto affascinato da questi nuovi artisti. Quando sento i miei coetanei tuonare contro i più giovani, penso sempre a come veniva trattata la mia generazione da quelli più grandi di me: “È una generazione vuota, il disimpegno, tutti paninari, non avete fatto il ‘77”, eccetera. Quello che dico ai giovani è: fate le vostre esperienze, tanto vi daranno comunque degli stronzi e dei vuoti, l’hanno detto anche a noi. Il problema è che gli anziani cercando di giudicare tempi che non conoscono con parametri della loro epoca. Per cui di questa generazione pensano che la figata sia Greta Thunberg, perché gli ricorda un tipo di lotta che era vicino al loro modo, ma non conoscono tutti gli altri aspetti del mondo contemporaneo.
Più o Meno a Metà è un robusto dance pop, un sound che proprio quest’anno è tornato molto di moda con album di successo come quelli di Dua Lipa, The Weeknd, Lady Gaga. Tu che hai vissuto “sulla tua pelle” gli anni ’80 e ’90, come vedi questo revival?
Quei due decenni si ripetono ormai costantemente, un po’ come il Giorno della marmotta. Io ho vissuto l’era dei revival precedenti: per esempio Grease e Happy Days facevano tornare gli anni ’50 negli anni ’70 con la loro idea di America “butter and bread”. Però erano cose che dopo un po’ passavano. L’album di The Weeknd è un album perfetto anni ’80, fatto bene, che non fa neanche finta di non essere quella cosa lì. Ogni anno ormai escono album così. La mia spiegazione è che quello che è stato fatto in quei decenni – sia per la perfetta costruzione della canzone pop, sia per la cura dei suoni – sono di fatto irripetibili: se cerchi di fare quella cosa in maniera diversa viene uno scimmiottamento, allora tanto vale farlo con dei riferimenti specifici.
In 7080902000 dici: “Le mie sneakers da teenager / e il mio denim retro-chic / mi difendono dal tempo”. Per quali aspetti senti il bisogno di “difenderti” dal tempo?
Io faccio parte di una generazione che essendo l’ultima dell’era analogica e la prima dell’era digitale si è sentita figa perché si sentiva portatrice del passato ma con un piede nel futuro. Salvo poi rendersi conto che non vai bene per nessuna delle due stagioni. Il “reality check” è arrivato quando una volta mio figlio mi ha detto: “Sei proprio un boomer”. Lì ho capito che a voler essere moderno diventi quasi grottesco. Perché sei abituato a ragionare a 50 all’ora mentre oggi le cose vanno a 3000. Non puoi cavalcare un tempo che non è tuo.
E in Noi C’Eravamo dici: “Era un po’ come diceva il Boss / questo è il nostro New Jersey, di là c’è New York”. Springsteen è da sempre uno dei tuoi miti assoluti. Se dovessi incoraggiare un teenager a scoprire la musica del Boss, cosa gli diresti?
Direi semplicemente che se vuoi capire l’America e hai a disposizione solo un colpo, prendi Nebraska e trovi tutto quello che c’è da capire: il conflitto, le armi da fuoco, la provincia… Certo, sono importanti Tupac e Biggie, per esempio, ma se ascolti Nebraska sei abbastanza avanti su un sacco di cose.
Quest’anno era previsto un appuntamento molto importante per te, cioè San Siro. Le date sono ora rimandate a luglio 2021. Cosa rappresenta per te “quel palco”?
Per me quel palco rappresenta un insieme di suggestioni: tutti i concerti che ho visto, l’idea della musica in grande, anche certamente la cattedrale del calcio. Ricordo che tramite il padre di Mauro Repetto avevamo due biglietti per la partita inaugurale di Italia ’90, Argentina-Camerun. Eravamo tutti camerunensi quel giorno. Per me è il concerto di Springsteen nell’85, dove non riuscii a entrare ma che sentii dal parcheggio. È una suggestione che va anche al di là della musica: è uno dei motivi per cui uno inizia a fare questo lavoro. Durante il lockdown, Lodo Guenzi disse: “Max Pezzali che annuncia due date a San Siro e contemporaneamente scoppia una pandemia globale è la perfetta rappresentazione della poetica della sfiga degli 883”.