I Santi Francesi e un primo Sanremo da outsider: «La nostra ricetta è la sincerità, senza pensare alla vittoria»
Il duo proveniente da Sanremo Giovani è pronto a fare il proprio esordio al Festival. Alle spalle tante vittorie, eleganti, elettronici, cantautorali e senza paura: «L’esibizione è il minore dei problemi, il nostro mestiere è suonare e cantare. Ci fanno più paura le scale dell’Ariston e le interviste»
I Santi Francesi non vinceranno il Festival di Sanremo. Un po’ brutale come considerazione, ma è quello che credono tutti. Anzi, nonostante la buona reazione della stampa all’ascolto de L’amore in bocca, non vengono presi in considerazione neppure per un eventuale podio. Normale amministrazione, soprattutto per un artista/ band che proviene da Sanremo Giovani. I Santi Francesi però sono diversi: hanno vinto da outsider Musicultura – quando ancora si chiamavano The Jab – e poi, contro i pronostici iniziali, hanno trionfato a X Factor 16. Sono capaci di sorprendere e convincere, come nella scelta della cover e del duetto. Un’ospite internazionale, Skin, e un brano, Hallelujah di Leonard Cohen, che può essere croce o apoteosi. Per cui un piccolo tarlo in testa rimane: chissà che non ci riescano di nuovo.
Quando capita di trovarti nella stessa stanza con Alessandro De Santis e Mario Francesi – dai loro cognomi deriva il nome d’arte – ti rendi subito conto dell’alchimia che li lega. Un qualcosa che percepisci ma che effettivamente non riesci a spiegare in maniera tangibile. Per esempio, si vestono in maniera molto diversa, quasi che sembrano presi da due band differenti. I Santi Francesi sono come le loro canzoni, dove testo e musica, se analizzati separatamente, sembrano sconclusionati. Poi però, quando parte la canzone, ti rendi conto che tutto fila ed è al posto giusto. Talvolta persino troppo in ordine.
A pochi giorni dall’inizio del Festival di Sanremo, i Santi Francesi sembrano fin troppo tranquilli, come se non fossero tra gli artisti in gara provenienti dai giovani. Li spaventa il contorno della kermesse, come biasimarli. Chi non ne sarebbe un minimo atterrito. La chiacchierata è partita ovviamente dal brano che portano in gara e da quel titolo che sembra quasi un doppio senso e su cui qualcuno avrà già iniziato a fare i primi meme. L’amore in bocca sarebbe dovuto essere “amaro”, ma è diventato, grazie al correttore, un dolce errore e un’ispirazione fondamentale da cui è nata una canzone. Un pezzo che, nonostante le buone recensioni della critica, è considerato per forza di cose un outsider. Ma nessuno sottovaluti i Santi Francesi: non lo ammetteranno mai, ma sanno come si vince una gara.
I Santi Francesi a Sanremo: l’intervista
Il titolo del brano che porterete in gara al Festival di Sanremo, L’amore in bocca, è nato da un errore. Cos’è successo di preciso?
A: Questa storia risale a un anno fa circa. Stavo scrivendo una nota sul cellulare, in realtà un discorso abbastanza ampio. Dovevo scrivere “l’amaro in bocca” in un punto del testo e il correttore del telefono ha scritto “l’amore”, da solo. Ho pensato: “Beh, carino”. Quindi abbiamo tenuto questa espressione sepolta per qualche mese nel telefono per poi tirarla fuori in una sessione con Cecilia Del Bono con cui abbiamo scritto il pezzo. Alla fine, si tratta di una canzone costituita da tutte immagini che ruotano attorno al titolo.
In quel caso l’errore si è rivelato prezioso. C’è, invece, un errore che vi portate dietro, di cui ancora vi pentite?
M: Oddio, non mi viene in mente nulla di così grave.
A: Io ricordo un mio voice crack orrendo durante le preselezioni di Musicultura. Nel finale del nostro brano, Giovani favolosi, c’era un acuto tremendo, con una nota imprendibile. E infatti non l’ho presa. Per fortuna non credo ci siano video di questa cosa su internet.
Per chi ancora non ha ascoltata: quanto è diversa L’amore in bocca dalla canzone che i Santi Francesi hanno portato a Sanremo Giovani Occhi tristi?
A: Occhi tristi ci è sembrata subito più adatta alla competizione Giovani. Era un biglietto da visita più immediato per farci conoscere e far capire quello che facciamo. L’amore in bocca invece è un pezzo che necessita di un po’ più di attenzione e quindi il Festival di Sanremo, che ti garantisce di suonarlo almeno tre volte, è perfetto.
M: L’amore in bocca parte come una ballad e poi c’è l’ingresso dell’elettronica, in pieno stile Santi Francesi. C’è quel solito mix che noi amiamo definire con l’immagine del “piangere ballando”.
Ascoltando le vostre canzoni si nota sempre un legame forte tra testo in musica, tanto che viene da pensare che nascano nello stesso istante.
A: Per certi versi è realmente così. Nella maggior parte dei casi ci basiamo su delle suggestioni che vi vengono in mente mentre suoniamo, così come è avvenuto con L’amore in bocca.
M: Talvolta accade pure che scrivi qualcosa e lo lasci lì fisso per mesi.
A: Sì, diciamo che tendiamo ad avere sempre un approccio deduttivo quando componiamo e questo spesso ci crea qualche difficoltà durante le session. Succede di frequente che, mentre stiamo provando un giro di chitarra o una produzione, io mi avvicini al microfono e dica parole a caso che molto spesso finiscono poi nella versione definitiva della canzone. Quindi, in un certo senso, musica e parole nascono insieme.
Nella serata dei duetti canterete un brano monumentale, Hallelujah di Leonard Cohen, con Skin. Perché questa scelta e come è nata la collaborazione?
A: Premetto che per noi la questione cover è sempre stata molto importante perché ci divertiamo come dei pazzi a prendere le canzoni, a ribaltarle e a rifarle nostre. Quindi abbiamo iniziato a pensarci un mese prima di Sanremo Giovani, pur non essendo sicuri di passare. Hallelujah è una canzone che non si può cantare, allo stesso modo di Creep (una delle cover portate a X Factor 16), ma noi ci proviamo.
M: Sono due i motivi essenziali per cui abbiamo scelto il pezzo. Il primo è che è un capolavoro, un brano incredibile, tutte le volte che lo ascolto ho i brividi. Il secondo è che una versione più elettronica: così come la facciamo noi, non l’abbiamo mai sentita. Vogliamo trasmettere delle vibrazioni diverse dall’originale, perché in fondo Hallelujahè un pezzo pieno di contraddizioni. Se pensi al fatto che viene accostata a Dio e costantemente viene chiesta ai matrimoni, quando invece parla di tutt’altro.
A: Per quanto riguarda il duetto non abbiamo dormito per due settimane. E poi a questo pazzo (Mario) è venuta l’idea di chiedere, a tempo perso, perché chiaramente non ci aspettavamo mai che dicesse di sì, a Skin. Infatti, all’inizio ci ha detto di no: “Non ho voglia di suonarlo per la trecentesima volta”. Poi però, quando ha ascoltato il nostro arrangiamento, le è piaciuto e ha scelto di partecipare.
Qual è la cosa che vi fa più paura del parco dell’Ariston?
A: Se devo pensare proprio al palco in senso stretto ti dico le scale (ride n.d.r.). In realtà la parte dell’esibizione è quella che ci spaventa meno, non perché siamo dei fuoriclasse, ma per il semplice fatto che alla fine ci si prepara per quello. Il nostro mestiere nostro è suonare e cantare. Credo sia il minore dei problemi e che, invece, dovremo stare molto attenti e concentrati al di fuori. Ci saranno molte interviste e bisognerà essere calibrati per non rischiare di buttarsi in battaglie che sinceramente non abbiamo voglia di combattere. Siamo a Sanremo per fare musica.
M: Per me, come sempre, è il momento prima quello più spaventoso. Quella sensazione di vuoto durante gli attimi che precedono l’esibizione sul palco. Può durare dieci minuti o un’ora, non si sa mai quanto tempo, ed è terribile. La cosa più vicina all’Ariston che abbiamo mai vissuto prima d’ora forse è lo Sferisterio di Macerata, durante Musicultura.
Che ricordo avete di Musicultura?
A: Per me è stata la l’esperienza che mi ha trasmesso più ansia e più paura da quando suono. Mi ricordo la sensazione che provavo prima di salire sul palco quando abbiamo fatto la finale allo Sferisterio…ero in panico nero. Quel posto è estremamente suggestivo e molto pesante da vedere dal palco. Poi è vero anche che una volta che ci sei entrato non vorresti più andartene. Da Musicultura ci portiamo dietro veramente tantissimi bei ricordi.
M: Lì è stata una delle prime volte però che, nonostante fosse anche una competizione, non ho percepito questa cosa della gara. Forse è stato merito dei partecipanti che erano persone splendide e soprattutto di tutti gli addetti ai lavori. Sembrava di trovarsi a una rassegna di musica che è come dovrebbe essere poi alla fine qualsiasi competizione in Italia.
E qual è la prima cosa che farete dopo aver cantato per la prima volta al teatro dell’Ariston?
A: Io non ne sono così sicuro, ma la mia previsione è che piangerò a dirotto. A me capita spesso, mi è successo anche a Sanremo Giovani. Quando la tensione sale a livelli inimmaginabili come in quelle situazioni, poi dopo deve essere rilasciata in qualche modo. Quindi sì, credo proprio che la prima cosa che farò uscito dal palco, sarà un grande respiro e un piantino. Poi subito a riguardare l’esibizione per capire se siamo andati bene.
M: Io salterò direttamente alla seconda parte, a riguardare l’esibizione.
Avete vinto Musicultura e X Factor, insomma, sapete come si fa. Come si vince il Festival di Sanremo allora?
M: Non possiamo rispondere (ride n.d.r.). L’unica cosa che mi viene da dire è che non bisogna pensare alla vittoria ed essere sempre sinceri. Dire sempre la verità, anche nelle canzoni, oltre che nella vita in generale. Ed è quello che abbiamo sempre fatto.
A: Non abbiamo una ricetta. Anzi, sia per Musicultura e, ancor di più per X Factor, non ci aspettavamo minimamente di vincere.
E dopo Sanremo, cosa dobbiamo aspettarci dai Santi Francesi?
A: Ci sarà nuova musica, ma non è chiaro ancora se sarà un album o un EP, e un tour. Moriamo dalla voglia di far sentire tutta una serie di cose alle persone che ci seguono e di ampliare il nostro repertorio, anche per fornire un’esperienza diversa ai nostri live.
M: Anche perché, se non pubblichi canzoni, la gente non viene a vederti.