Interviste

The Blessed Madonna: «Chiamatemi pure “dottoressa dell’amore”»

“Mercy” è il suo ultimo singolo e anche in Italia è andato forte. Lei rimane un bell’esempio di un talento che nonostante le avversità ha creduto con tutta la sua forza al successo

Autore Tommaso Toma
  • Il16 Novembre 2023
The Blessed Madonna: «Chiamatemi pure “dottoressa dell’amore”»

The Blessed Madonna (fonte: ufficio stampa)

Ci sono diversi motivi per amare The Blessed Madonna (all’anagrafe Marea Stamper), così lontana dai cliché delle superstar DJ. Ad esempio per i suoi occhiali “della mutua” che fanno molto Morrissey epoca The Smiths, per le sue t-shirt nere, sempre portatrici di messaggi (Jesus was a refugee, Punch your local Neo-Nazi). Ma soprattutto per il suo coriaceo ottimismo e il talento che ha saputo dimostrarci nel tempo.

The Blessed Madonna ai tempi in cui aveva scelto di farsi chiamare “The Black Madonna” – moniker abbandonato dopo un’ondata di commenti di hater sui social nel 2020 – ha avuto la forza e il coraggio di portare di nuovo in auge una house solare piena di soul, energia e solarità, portatrice di tutti quei messaggi di inclusività, tolleranza ma anche trasgressione che erano alla base delle notti house a Chigago, New York e Londra di 40 anni fa.

Un percorso in continua ascesa qualitativa e di popolarità

Si era capito sin dai suoi esordi come producer che prima o poi si sarebbe imposta. Già al debutto con He Is the Voice I Hear (2014, uscita con la sua etichetta label We Still Believe, un nome che è uno statement del suo modo di affrontare la vita) sfoderò un giro di archi corposi e sensuali che richiamavano al Philly sound e un incedere di beat, bello come le prime cose degli Hercules And Love Affair.

Vederla suonare in consolle è pura gioia. Ci è capitato spesso di incrociarla al Kappa FuturFestival. Poi è arrivato meritatamente il successo. Una popolarità lievitata dopo il periodo pandemico, come se la segregazione avesse dato la giusta energia a The Blessed Madonna.

È infatti in quel contesto che è arrivata la collaborazione con il producer di dance più desiderato al mondo, Fred Again.. Risultato: il bellissimo brano Marea (We’re Lost Dancing), un autentico peana al clubbing nel suo momento più nero. Poco tempo dopo è uscito il remix di Levitating di Dua Lipa per la versione dance del suo ultimo album, Future Nostalgia, che vedeva un “parterre de roi” da Mark Ronson a Moodymann, dalla emergente Jayda G ai maestri della house che piace a The Blessed Madonna, i Masters at Work.

Nel 2022 con Serotonin Moonbeams The Blessed Madonna ha confermato il suo momento magico, che si concretizza ulteriormente con Mercy, un brano che si basa su un bellissimo gospel amplificato anche dalla presenza alla voce di Jacob Lusk.

Mercy peraltro è diventata amatissima anche da noi. È stata a lungo il brano più trasmesso dalle radio italiane (fonte: EarOne), oltre che molto shazammato. Si parla tantissimo di un album in arrivo, dopo tanti singoli belli e potenti. L’abbiamo incontrata in un bel fine pomeriggio milanese partito con un abbraccio lunghissimo e un paio di foto assieme.

The Blessed Madonna - intervista - Mercy - 1
The Blessed Madonna (fonte: ufficio stampa)

L’intervista a The Blessed Madonna

Come è nato Mercy, un brano semplice ma bellissimo? In effetti spesso le tracce più semplici sono quelle che hanno successo nella dance. Alla fine è un gospel!

Sì, era sin dall’inizio un gospel. Solo che Mercy ha avuto una lunghissima gestazione. Il suo percorso è iniziato più di cinque anni fa e ha preso forma in diversi luoghi. La prima cosa che pensai è che avrei voluto provare a scrivere una canzone ispirandomi proprio ai dischi che ho amato che parlano di Dio o dell’amore. E ho pensato a metter giù qualcosa che unisse entrambi i temi! Ho fatto una versione di Mercy molto più lunga, quasi 2 minuti letteralmente solo di un coro. Alla fine ne ho registrato una ventina di versioni.

Hai registrato il brano anche in una chiesa: come si confà a un brano gospel?

Quasi… (ride, ndr)Ccon l’House Gospel Choir siamo andati nei Church Studios del produttore Paul Epworth a Londra. C’è stata una bella fusione tra il sacro e il profano.

Nella musica disco c’è sempre stata una sorta di mescolanza tra questi due temi: il sound afroamericano delle chiese che entra nella pista da ballo…

Sono questi i dischi che ho sempre amato. Pensa a You Make Me Feel Mighty Real o un altro ottimo esempio di Sylvester come I Need You, che in origine era davvero un disco gospel.

Ho letto che il tuo producer Orlando Higginbottom (ovvero Totally Enormous Extinct Dinosaurs, ndr) è figlio di un emerito professore di Oxford che dirige un coro dell’ateneo.

Sì! Ed è stato perfetto avere Orlando perché comprende benissimo il linguaggio del gospel.

Veniamo al dunque. Ma questo tuo atteso album di debutto arriva?

Diciamo che è finito, più o meno. Abbiamo discusso con la Warner e a loro è piaciuto ciò che avevo in mente. Diciamo che davvero siamo ai dettagli finali. Devo dire che in tre anni il disco è completamente cambiato. Anzi direi che in tutto questo tempo è come se avessi realizzato due o tre album.

Immagino che, come tutti i DJ, tu abbia testato alcune delle nuove tracce durante le tue serate.

Devo confidarti che invece sono sempre stata molto timida nel suonare la mia musica durante i DJ set. Il mio management mi ha sempre consigliato a farlo, dicendo cose del tipo: “Dovresti iniziare a suonare le tue cose davanti alla gente in modo da sapere se funziona o se non funziona”.

Ma alla fine non capita molto spesso. Perché, forse lo troverai strano, ma da quando ho cominciato a pensare a un album tutto mio mi si è aperto un mondo nuovo davanti. In fase di costruzione e scrittura di una canzone, in particolare anche delle liriche, mi sento come se stessi componendo un diario molto personale. Quindi mi sento a disagio a esporre pubblicamente tutto quello su cui sto lavorando.

È una risposta che non mi aspettavo. È la prima volta che un producer di musica dance mi risponde così!

Sono una persona introversa mascherata da estroversa. È stato davvero difficile fare i conti con quella parte. Non sono una persona che prende il microfono in mano e urla davanti alla folla: “Ecco il mio nuovo brano!”. Ma d’altra parte, lavorando duramente, con gli arrangiamenti da preparare, come anche i testi da scrivere in modo accurato, oltre ad aver iniziato a collaborare con persone per le quali ho sinceramente una profonda ammirazione, mi accorgo che sto cambiando modo di pormi e relazionarmi con l’esterno.

Intanto sto imparando tante cose. Io non sono certamente una cantante, ma capisco se una cosa può funzionare o no senza necessariamente usare i social media per trovare un consenso, giusto perché non sono una psicopatica narcisista.

Com’è nata questa tua passione per questo tipo di house solare innervata di soul? Devo dire che un tempo noi italiani avevamo tanti DJ bravi a produrla e a suonarla in giro per il mondo. Tu hai avuto un’ottima idea a riportarla in auge. Vedo anche l’effetto che ha avuto su star come Dua Lipa o Madonna.

Penso sia tutta questione di credere in qualcosa veramente. Sei tu a decidere se valga la pena di spingere su un genere in cui tu credi, se avrà successo o meno. E se non ci credo io, nessun altro ci crederà. Alla fine non importa cosa sia house, disco e techno. È il tuo cuore la forza costante, e Dio.

Io arrivo dal Kentucky. Avrei potuto finire per suonare bluegrass o qualcosa del genere. Non sono nata in un contesto dove c’era musica house. Peraltro mio padre l’ha odiata per tanti anni. Poi, verso la fine della sua vita, ho scoperto che aveva mandato un messaggio a Derrick Carter su Facebook! Il che è molto carino. Sai, penso che alcune persone siano nate per essere medici. Forse io sono nata per essere un diverso tipo di dottore…

Doctor beat!

Meglio “doctor love”. Con tutta la forza dell’amore sono riuscita ad andare avanti nonostante mille forze contrarie! Ammetto anche che sono stata anche molto fortunata. Con il Covid è stato un incubo, ma ho sempre cercato di vedere il lato positivo anche nelle situazioni brutte. Ad esempio, in mezzo a tutto quell’orrore, cercare guardare le cose dalla giusta prospettiva, cercando di capire cosa fosse davvero per me importante nella musica.

Mi sono messa letteralmente ad analizzare nero su bianco – come su un diagramma – cosa funzionasse nella musica che producevo. Poi quando ho firmato con Warner Music, tutto ha funzionato bene. Mi ci è voluto un secondo per sentire quella fiducia.

E hai cominciato a diventare famosa, non solo come DJ.

Faccio dance da quasi trent’anni. Qualcuno l’ha apprezzato, altri no, e molti mi hanno ignorato. Ma sai, capita spesso che, prima che qualcuno diventi popolare, nessuno ci creda o presti dell’attenzione. Sei mesi prima che i Nirvana diventassero immensamente popolari erano praticamente nell’anonimato.

Sei stata presa come esempio in un interessante saggio, Dance Music Spaces, che esamina come si stiano creando spazi non solo fisici ma anche virtuali nell’universo del clubbing. Insiste su una dicotomia forte insita nel clubbing tra autenticità e commercializzazione. L’autrice Danielle Antoinette Hidalgo prende poi in analisi tre DJ donne – tu, Peggy Gou e Honey Dijon – come esempi di autenticità. Cosa pensi di questo lavoro? L’hai letto?

Per prima cosa, è sempre una sorpresa scoprire che qualcuno scriva di te (ride, ndr). Hidalgo è una mente brillante e il suo saggio è molto interessante. L’autrice spinge il lettore a farsi delle domande sempre. Anche in questo contesto dove non esiste solo un mondo ideale bello e buono, anche se è a questo che dovremmo tendere tutti noi. Ma sappiamo che esistono persone ingannevoli e disgustose nel nostro settore.

Devo dirti che io di natura ho quell’impulso di totale repulsione verso le cose mediocri, inautentiche o, peggio ancora, sciocche. In generale sono tante le sciocchezze che sono circolate nella musica. Ma poi ci sono stati grandi momenti e stimolanti: nel pop con i Beatles, nel rock con i Nirvana, nella dance con i Daft Punk. So benissimo che in circolazione c’è un 80% di robaccia. Si lotta solo per quella percentuale di buone produzioni!

Come per esempio la tua bellissima collaborazione con Fred Again.. Marea (We’re Lost Dancing), che avete dedicato al dancefloor proprio in un periodo terribile come quello della pandemia.

Cosa devo dirti di Fred Again..? Un amico e un genio. Ha saputo creare un genere a sé stante. Lui è gentile, adorabile e tenero. Essere trascinata nel suo mondo mi ha cambiato la vita per sempre. Non avrei mai immaginato che Marea potesse produrre quell’impatto che ha avuto. Poi devo essere onesta: questo brano è suo, non mio. Sai che non ho mai suonato questo brano tranne che in un back to back all’ultimo Glastonbury? Ho anche parlato al microfono in quella bella occasione!

Negli ultimi tempi hai collaborato con delle superstar, Madonna e Dua Lipa su tutte. Com’è stato?

La buona notizia è che quasi tutti quelli famosi con cui lavori nella musica sono davvero gentili e lavorano sodo. Questo è alla fine un ulteriore motivo perché sono dei grandi artisti. Io adoro produrre dischi e scrivere per altre persone. Se poi sono belle, gentili e brave come Dua Lipa, che puoi dire di più? Spero diventi davvero la regina del pop, perché è benevola e degna di quella corona.

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