Interviste

Tommaso Sacchi: «Esiste il “sistema Milano dei festival”, un tema centrale che viene declinato in varianti minori»

L’assessore alla cultura dal 2021 racconta Estate al Castello, l’importanza dei piccoli locali, risponde a chi critica “le week” e guarda a Marsiglia e all’esempio virtuoso della Biblioteca di Helsinki

  • Il6 Giugno 2025
Tommaso Sacchi: «Esiste il “sistema Milano dei festival”, un tema centrale che viene declinato in varianti minori»

A Milano torna Estate al Castello, questo anno con la direzione artistica di Federico Russo: le iniziative di cinema, teatro, intrattenimento e musica all’interno del Castello Sforzesco per vivere al meglio i mesi estivi che – in un tempo molto lontano – erano invece poveri di eventi. Ne abbiamo parlato con  l’assessore alla cultura, Tommaso Sacchi, e abbiamo colto l’occasione per fare il punto sul “sistema Milano” che da una parte viene preso ad esempio in tutta Italia e dall’altra viene criticato per l’offerta eccessiva, a volte non ritenuta all’altezza.

In un momento in cui Milano è anche stata definita recentemente dal Financial Times come “città dell’arte del futuro”, soprattutto perché scelta come luogo ideale per l’apertura di nuove gallerie internazionali. Con Estate al Castello si partirà con il super acclamato professor Alessandro Barbero martedì 10 giugno, ci saranno speciali iniziative teatrali e di stand-up comedy, concerti di genere molto diverso fino a iniziative cinematografiche. Insomma si andrà da Alice canta Battiato a Meg, da Stefano Bollani a Chiello, da Benjamin Clementine a Paolo Bonvino ad Anna Castiglia, dagli Offlaga Disco Pax agli Almamegretta. Con un occhio di riguardo alla rassegna Milano-Sanremo che, per celebrare i 70 anni di carriera di Enrico Intra, vedrà il maestro suonare insieme a Frida Bollani.

L’intervista a Tommaso Sacchi

Assessore che cosa ha capito del rapporto tra Milano e la musica, da quando ne è diventato assessore alla cultura?
L’importanza dei luoghi informali nella musica. Questo soprattutto nel momento in cui andavamo a costruire il palinsesto della Milano Music Week e dovevo rapportarmi con i grandi player come SIAE e FIMI. Mi è stato chiaro come bisogna sapere da dove parte tutto e di solito sono i piccoli locali. Perché poi gli artisti arrivano sul palco del Castello Sforzesco o di altri luoghi importanti ma tutto nasce molto prima. A volte si tende a dimenticarlo. Invece, nella cultura anglosassone o scandinava i piccoli club hanno tanta importanza.

A Milano ci sono anche meno locali dove si possano esibire gli emergenti rispetto a quei Paesi, no?
In realtà, i locali ci sono. Si parla spesso della nostra città come quella dove capita tutto ed è iper-produttiva ma bisogna considerare la somma di tutti i fattori, dalle associazioni più piccole ai grandi eventi da 30mila persone. Ecco, quando sei assessore ti rendi conto anche di quante realtà esistono.

Si ha spesso l’idea anche che i locali stiano diminuendo.
Ho voluto lanciare l’avviso pubblico per permettere ai locali di entrare a far parte dell’elenco cittadino dei Live Club di qualità. Il motivo principale è stato per conoscere meglio il territorio, perché Milano è una città che cambia in maniera molto veloce ed è metamorfica. Ci sono molti luoghi che facevano parte della cultura industriale che oggi ospitano  musica dal vivo o arte visiva. Per questo è giusto mapparli. Poi, è vero che hanno chiuso luoghi storici che erano anche dei punti di riferimento come il Capolinea e la Casa 139 e questo è un dispiacere enorme. Ma d’altra parte, in questi 20 anni, sono nati luoghi come il Circolo Magnolia, Mare Culturale Urbano, Mosso e solo qualche settimana fa Voce all’interno della Triennale. Spesso sono spazi più ibridi e hanno meno l’aspetto dei club tradizionali.

In una narrazione critica spesso si punta il dito sull’eccesso di “week” e in generale di proposte artistiche magari non all’altezza: riconosce che ci sia qualcosa di veritiero?
Si può avere un’idea di “troppo” quando non esiste una regia dall’alto che riesca a razionalizzare l’offerta culturale. Io non credo che a Milano ci sia troppo. Penso che il ruolo degli amministratori di una città debba essere capire bene il contesto e la missione culturale per un festival. Per esempio, solo qualche giorno fa abbiamo inaugurato il Milano Film Festival 2025. Dopo molti anni è stato di nuovo riempito quello che per me era un vuoto per la città. Comunque a Milano c’è una ricetta che funziona molto bene.

Quale è?
Quella dei festival cosiddetti orizzontali, come Piano City o Book City, con palinsesti che lasciano voce e spazio a espressioni creative molto diverse, da quelle grandi a quelle piccole. E che grazie a una regia  vengono messe a sistema. Non dico che sia una ricetta universale ma se è applicata bene funziona davvero e penso che sia tipicamente milanese. Dà la possibilità a tante realtà più piccole di esprimersi su un tema generale. E il tutto ha origine dal rapporto tra il Salone del Mobile e il Fuorisalone. Quindi tra la parte definiamola più commerciale e tutte le realtà più indipendenti che occupano spazi che nascono magari con un’altra funzione.

A Milano manca forse il concetto di festival internazionale come possono essere il Primavera Sound o il Sonar a Barcellona? Si avvicinano magari gli I-Days per la portata degli artisti internazionali e il MiAmi per la volontà di proporre il concetto di festival?
Queste due realtà sono fondamentali. Penso che a Milano non si possa proprio parlare di mancanza di eventi musicali importanti con big venue come lo stadio e gli ippodromi. Non penso che bisognerebbe inventare altro, ma piuttosto rimanere al fianco di chi continua a portare avanti da quasi 20 anni. Come gli organizzatori del Miami, per esempio.

Se potesse avere campo libero totale che cosa farebbe oggi per la musica in città?
Moltiplicherei ancora di più le occasioni per far conoscere realtà ancora poco sotto i riflettori. Per esempio, come succede in altri Paesi europei, aumenterei i concerti nei luoghi di lavoro oppure aumenterei le ore di musica nella didattica. Per esempio, tutta la musica dalla seconda metà del Novecento in poi non viene studiata a scuola e questo è davvero un gran peccato.

Ci sono delle città in Europa a cui guarda oggi come dei modelli da seguire?
Penso che La Friche la Belle de Mai a Marsiglia sia un progetto culturale davvero interessante. Al posto dell’ex Manifattura Tabacchi ora vi si trovano, tra le altre cose, una radio e un punto di ritrovo per ascoltare musica elettronica. Oppure la Biblioteca di Helsinki, una delle più belle che abbia mai visto e a cui voglio ispirarmi, dove è possibile anche prendere in prestito gli strumenti musicali. Credo che l’idea di poterli provare, senza costi per le famiglie, per capire che cosa sia più adatto rappresenti davvero un’idea di progresso. Perché sono convinto che se io non suonassi il pianoforte avrei meno stimoli e sarei meno felice nella mia vita. Non siamo – ancora sottolineo – abituati a questa visione ma spero vivamente che possa essere introdotto anche da noi.

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