Vale Pain: «Cerco di portare avanti la cultura hip hop. I miei colleghi spesso se lo dimenticano»
Il rapper della SEVEN 7oo, in un’intervista esclusiva, ci ha parlato del suo nuovo album “PAIN 2” in uscita domani

Vale Pain si siede al tavolo di un famoso ristorante peruviano a Milano. Si muove benissimo tra ceviche e lomo saltado, i piatti tipici del menù, anche perché ama venirci spesso per celebrare anche un po’ le sue origini da parte di madre. Vale, all’anagrafe Valerio Paini, classe 2002, è uno dei più importanti rappresentanti della Zona 7, quella di San Siro, fondatore di RM4E (Real Music 4Ever), che si oppone (o meglio si opponeva) a quella di Milano Ovest. Ovviamente nei suoi modi non si avverte neanche la più pallida idea di testi troppo crudi e brutali. E nemmeno in quelli del nuovo album, perché molti sono piuttosto conscious e più intimi rispetto al passato.
Domani uscirà il suo nuovo disco PAIN 2. Dieci tracce prodotte da eReNden, giovane producer di Lecce, «un emergente con ottimo potenziale», come ci tiene a sottolineare Vale, e altre due di Low Kidd. Ci sono i feat di Glocky, Faneto, Melons, Katarina, Tony Boy e Neima Ezza. Tutto registrato nel suo studio di San Siro, appena costruito. Unica eccezione le due tracce registrate in un viaggio a Praga, in pieno inverno sotto la neve – Ghiacciato e Più di una canzone – e un paio di altre, Adolescenza e Nostalgia, realizzate invece in Trentino, «tra il freddo e il buio» in montagna «che amo moltissimo».
Il tutto è come se fosse una sorta di diario, dove Vale scrive quando ha bisogno di raccontare qualcosa di se stesso e di più introspettivo. E questa per lui è la funzione degli album Pain. Probabilmente sarà una lunga serie, l’ispirazione sono i Tha Carter di Lil Wayne.
L’intervista a Vale Pain
Le tracce ti sono venute ancora subito al primo colpo?
Ho ancora quella fortuna. Mi soffermo di più sul testo rispetto ai miei inizi, perché c’è molta più consapevolezza. Però sento un beat e se mi gasa mi viene subito il testo. C’è solo una canzone che ho ripescato dal passato.
Quale?
Di più di una canzone. Racconta di una mia cotta per una fidanzatina di quando avevo 18 anni.
Invece con Per te citi Jovanotti.
Lo ascoltavamo sempre quando ero piccolo, in macchina e a casa. Era un mito per mio padre e quindi non potevo non amarlo anche io. Ha anche un passato da rapper che non si può trascurare! Non gli ho chiesto il permesso a Lorenzo, ma spero gli faccia piacere!
Hai aspettato 3 anni per fare uscire il secondo episodio di Pain.
Perché secondo me bisogna aver davvero qualcosa da dire quando si fa uscire un album. Vedo gli EP e i mixtape più come un esercizio di stile per rimanere in allenamento e non volevo sminuire per nulla il mio primo lavoro.
Ora non vivi più in zona San Siro, che sappiamo essere così diversa, da una parte iper-lussuosa e dall’altra con le case popolari lasciate abbandonate: ti manca?
No, magari mi manca la spensieratezza di quegli anni. Ne parlo infatti in Adolescenza. Il fatto che ci vedessimo spesso tra amici senza fare niente. Però in zona ci vado bene o male tutti i giorni perché ho il mio studio lì.
Secondo te ci sono differenze con gli altri quartieri “difficili” in Italia?
Mi pare che ci sia degrado come in altre zone. Però da noi lo sappiamo affrontare con stile. E poi da lì sono usciti molti talenti sia nella musica che nel calcio o nel pugilato. Credo che se ci sono tante persone così, la mentalità sia corretta.
Ma si può trovare più solidarietà rispetto ad altre zone?
Prima di più. Anche per quanto riguarda il nostro collettivo. Non ti dico che si sia sciolto, ma le persone tendono a portare avanti maggiormente la loro carriera solista. Il supporto c’è sempre: Sacky e Neima Ezza li vedo sempre, anche solo per amicizia. Però è chiaro che ci vedevamo di più prima, quando eravamo una specie di “boy band italiana”.
Potreste fare ancora un altro mixtape della SEVEN 7oo?
No, non credo sia possibile, ma sarei il primo a volerlo. Io spingo molto qualsiasi cosa sia hip hop come le collaborazioni. Per questo cerco di aiutare i rapper emergenti o non mi faccio problemi a partecipare a un progetto che mi piace. Non mi faccio menate come altri miei colleghi. La gente spesso si dimentica della cultura hip hop.
Tu sei stato uno dei fondatori della SEVEN 7oo?
Il vero fondatore è Kilimoney, io lo sono stato di più per RM4E (Real Music 4Ever). Perché ai miei inizi, quando ero proprio un emergente, nessuno voleva farmi un contratto così ho pensato di creare la mia etichetta insieme ai miei due attuali manager. Il primo artista che abbiamo firmato è stato Keta. Mesi dopo è uscita la posse track che ha ufficializzato la nostra presenza. Per un paio d’anni il nostro collettivo è stato più che attivo.
Con Rondo da Sosa avete chiuso?
No, ma io non lo vedo più spesso, ci sentiamo per gli auguri delle feste. Noi ci conosciamo dall’infanzia, eravamo proprio amici. Credo proprio che viva all’estero. Purtroppo i collettivi si sciolgono, è un po’ la vita.
Sugli artisti che hai scelto di coinvolgere invece cosa puoi dire?
Quasi tutti super ventenni. Faneto, Glocky, Melons sono già sulla rampa di lancio. Li avevo conosciuti all’inizio e già mi aveva convinto il loro sound innovativo e fresco, quindi ho deciso di chiamarli. Che poi è un supporto reciproco: anche loro hanno una fan base specifica che magari poi può venire ad ascoltare i miei pezzi.
E con Katarina come è andata?
Un giorno mi avevano mandato la cover di una mia canzone interpretata da lei, che era mia fan, e mi era piaciuta un sacco perché avevo notato il suo contributo. Così avevo bisogno di un ritornello con una voce forte per il pezzo Per tre ore e ho pensato a lei. Non importa se non era famosa, era giusto darle un’opportunità, secondo me.
Perché ci sono così poche rapper donne secondo te in Italia?
Io credo che sia solo una questione di tempo. Come ce ne sono tante in America arriveranno anche da noi che siamo solo indietro.
Secondo te che momento è per la trap: sta per tramontare?
No, credo sia solida, invece, e andrà avanti. Non dico per sempre, ma per un po’ di anni ancora. Ne sono sicuro. Magari la drill, che era più un movimento di moda, sta attraversando un momento meno entusiasmante.
Chi sono i tuoi miti?
Ascolto molti rapper americani e il mio preferito è 21Savage. Tra gli italiani porto molto rispetto a Emis Killa. E poi il mio mito era mio papà. Mi ha insegnato a stare al mondo e quali sono i valori umani. Soprattutto mi ha fatto capire come essere la versione migliore di me con tutti, anche se questa cosa può non tornarmi utile. In Solo racconto la storia di una brutta giornata, nel periodo più buio per me, che è stato quello dopo la morte di mio padre. Quel brano mi ha aiutato a trovare un senso.
Che cosa ti auguri per la tua musica?
Che abbia sempre un peso specifico, che lasci qualcosa in chi ascolta.
Vale, sei mai andato in Perù?
Mi piacerebbe molto, ma non mi è ancora capitato. Dovevo partire prima che scoppiasse il Covid, poi abbiamo dovuto rimandare e non ce l’ho mai fatta per gli impegni di lavoro. Non mi pare sia il massimo da turista in questo momento perché è piuttosto pericoloso.
Che cosa è importante che ricordino i tuoi coetanei?
Di andare a votare. Non ci si può lamentare di quello che succede se non si vota. Piuttosto si può lasciare la scheda bianca, ma bisogna andare. Per me è fondamentale. Poi non mi sento abbastanza preparato per parlare di politica, ma questo mi sento di dirlo.