Interviste

Venerus, l’alieno che balla e fa ballare

Come le serate di clubbing influenzano l’artista milanese, fresco della collaborazione con Marco Castello e presente anche nella line-up del Polifonic, il Festival elettronico in Puglia. Un’anticipazione dell’intervista presente sul numero cartaceo Electronic Issue

  • Il9 Luglio 2025
Venerus, l’alieno che balla e fa ballare

Foto di Dalila Slimani, Total Look Paul Smith, scarpe Ellesse

Venerus ha l’innata capacità di catapultare le persone in un mondo lontano, piacevole, sereno. È come se fosse sempre un alieno o un allegro folletto dentro a una società stressata e a un mondo della musica sempre più impazzito. Anche quest’estate è un po’ come il corpo estraneo nella line-up molto elettronica del Polifonic festival che è tutt’altro che stressante, anzi. Nel cuore della Valle d’Itria tra masserie e cave, parature pugliesi e ulivi secolari. Il suo nome si inserisce accanto a quelli di DJ super in hype come Adiel e Honey Dijon e altri iconici come quello di Laurent Garnier.

La musica elettronica è vicinissima a Venerus più di quanto si possa immaginare: sia perché le sue produzioni si basano su quello, sia perché lui stesso si esibisce come DJ in alcune occasioni, e poi anche perché ama parecchio partecipare a diverse serate di clubbing da una decina di anni a questa parte. Questa caratteristica di far sognare mondi diversi la possiamo ritrovare anche nella musica di Marco Castello, e infatti i due hanno appena pubblicato un brano insieme, Felini.

«Avevo sentito il suo primo album e mi era piaciuto moltissimo, penso che Marco abbia delle caratteristiche per cui sia un vero artista superiore», ci racconta Venerus in un caldo pomeriggio di afa milanese. «L’abbiamo scritta alla fine di due estati fa, a Pozzallo, in Sicilia, tutto al volo, anche la registrazione. Solo dopo abbiamo deciso di produrla. Ma volevamo che rimanesse la magia del mare, così siamo tornati a Ortigia e l’abbiamo registrata in presa diretta praticamente, con due chitarre. Comunque questa canzone, forse per il modo stesso in cui è nata, mi regala speranza soprattutto in questo momento nel mondo».

Venerus è uno dei protagonisti dell’Electronic Issue di Billboard Italia, già disponibile qui in pre-order e da fine luglio in punti vendita selezionati. Ecco un estratto della nostra intervista esclusiva.

Foto di Dalila Slimani. TOTAL LOOK PAUL SMITH, SHOES ELLESSE

L’intervista a Venerus

Tu come fai a ritagliarti uno spazio così diverso nella scena musicale e a rimanere così puro, almeno apparentemente?
Oggi esce tantissima musica, forse troppa. Già prima mi chiedevo se fosse davvero necessario aggiungere la mia voce a questo mare di suoni, che era davvero abbastanza anche 20 anni fa. E adesso è come se il sistema fosse andato un po’ in tilt. Non solo la musica: la società, tutto. E in questo caos diventa ancora più urgente capire dove vuoi stare, cosa vuoi davvero realizzare.

E tu come fai?
Cerco di rispondere ogni volta a una semplice domanda: che senso ha quello che sto facendo? Cerco di far uscire solo brani che per me hanno un significato e spero anche per gli altri che li ascoltano.

Ti sei dato anche delle regole per non farti trascinare nel vortice?
Non è che vivo fuori dal mondo, anzi: ho il mio telefono, e ci passo decisamente troppo tempo infatti (ride). Però, quando penso alla musica, non è mai in termini di numeri o risultati. Non è la mia mentalità, e per fortuna. Certo potrei essere più smart, più efficiente, più strategico ma non mi interessa, nemmeno intellettualmente. A me piace vivere nella musica, ascoltarla e farla.

Foto di Dalila Slimani. SHIRT PAUL SMITH, TROUSERS MAGLIANO

Quanto conta per te avere al tuo fianco gli amici?
È tutto. Io lavoro solo con amici, persone che ci sono nella mia vita da sempre. C’è un’etica molto forte dietro quello che facciamo, e poi siamo molto schietti, ci diciamo le cose come stanno. Non c’è spazio per l’ego. E questo, nel tempo, fa la differenza.

Il mondo della musica elettronica è più aperto a un certo genere di messaggio, anche politico?
Bella domanda. Non lo so con certezza, perché alla fine si parla di ambienti, più che di generi musicali. Cioè, le stesse persone che vengono ai concerti magari il giorno dopo vanno a una serata elettronica, o a un festival. Non ci sono davvero dei “generi umani”, capisci? Detto questo, è un mondo che da fruitore frequento tanto. Mi piace molto il clubbing, i festival, i DJ set. E mi rendo conto che, partecipando a eventi, serate, locali, eccetera, la cosa che mi colpisce è che si formano delle vere e proprie scene, con delle mentalità forti. Come se fossero piccole squadre, ognuna con i suoi valori. E poi è un mondo dove vince il passaparola spontaneo, come se ci trasmettesse il meteo, ci si dice dove sarà la serata migliore.

Secondo te sta tornando la voglia di ballare e di andare alle serate comunque?
Non saprei dire come fosse prima, perché io ho iniziato ad andarci una decina di anni fa. Ma certo tutte le persone che frequento io ci vanno e hanno una conoscenza approfondita.

Che genere preferisci ascoltare?
Mi piacciono i DJ che suonano bene: che sia techno, drum’n’bass, cumbia, house, ambient. Apprezzo chiunque riesca ad utilizzare il djing come un’antenna per connettersi a questo sentimento più alto.

Queste serate influenzano il tuo modo di scrivere musica?
Parecchio, perché io sono cresciuto con il rock, il folk e le band quindi. I DJ set mi fanno capire come si può unire la musica e quanto possa essere fisica. Io amo quando ci sono degli impianti che ti fanno comprendere bene proprio questo concetto perché fanno vibrare le ossa. E cerco di trasportare questo concetto nei miei live, di creare cioè dei flussi con arrangiamenti nuovi. E poi sai cosa mi piace dei DJ set? Che non sai mai bene che cosa ti stia arrivando. Non lo capisci subito, ci metti un po’ a realizzarlo. Si crea una “vaghezza” stupenda. E poi c’è un’altra cosa fondamentale che ti insegnano i grandi festival e i grandi DJ: creare l’atmosfera.

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