Zen Circus: «”Cari fottutissimi amici” la discografia è in crisi, noi no». L’intervista
La band pisana racconta il suo nuovo album, un mix di generi e stili dove però nulla stona
“Caro – fottutissimo – amico ti scrivo”, potrebbero cantare gli Zen Circus, che tornano con lo spirito corrosivo e irriverente di sempre. Forse ancora più forte in questo momento perché si scontra con logiche di mercato di cui a loro non interessa troppo e perché pubblicano il loro primo album solo di feat.: Cari fottutissimi amici. Un mix di generi e stili dove però nulla stona.
Nato un po’ per caso dalla traccia con Speranza, Figli della guerra, che doveva essere incluso nel lavoro precedente, L’ultima casa accogliente, ma che non era entrato per una questione di coerenza stilistica, nonostante la band lo avesse amato molto. «È stato uno dei pochi che abbiamo realizzato a distanza, purtroppo, come si usa fare oggi ma lui è riuscito a capire subito come realizzare le 16 barre che aveva a disposizione».
«Invece poi abbiamo deciso di scrivere tutto un album così e gli altri li abbiamo registrati “alla vecchia”», ci racconta Karim Qqru, il batterista, che insieme ad Andrea Appino e Massimiliano “Ufo” Schiavelli costituisce lo zoccolo duro della band pisana. «Abbiamo fatto delle vere e proprie writing session: siamo andati a Roma da Fra (Motta, ndr) e lui è venuto da noi a Livorno. Oppure siamo andati da Dario (Brunori Sas, ndr) a Cosenza. È stato davvero stimolante».
Qualche mese fa era uscito 118, il primo singolo che già spiazzava vedendo al loro fianco l’attore Claudio Santamaria. «Non abbiamo fatto 500 richieste in giro di feat. per vedere chi ci rispondesse, lo abbiamo chiesto a chi era già nostro amico».
L’intervista a Karim Qqru degli Zen Circus
Conoscevate già anche Emma Nolde e Ditonellapiaga?
Emma è una delle più grandi speranze della musica italiana, la conosceva già Andre (Appino, ndr) di persona. Ho ascoltato anche i suoi brani nuovi che usciranno più avanti ed è pazzesca. Conoscevamo di nome Ditonellapiaga ma abbiamo avuto modo di vederla bene a Sanremo con la Rettore e secondo me ha l’effetto di una pallina rimbalzina tirata in una stanza! È una che ti risolve il brano. Non che fosse irrisolto eh, però è un caso in cui il featuring dona davvero una bidimensionalità perché viene da un mondo distante dal tuo!
A volte vi pesa la disparità che esiste tra il pubblico numeroso che vi segue ai live e i pezzi che magari non sono al top delle classifiche streaming?
No, sinceramente non ce n’è mai fregato nulla. Anche perché i soldi non arrivano dallo streaming, detto proprio terra-terra. Per fortuna c’è ancora la vendita fisica e il nostro fan non è in genere da binge-listening. La forbice del nostro pubblico va dai 18 ai 60 anni, e si concentra soprattutto tra i 22 e i 30, quindi hanno modalità molto diverse di ascolto. Secondo me almeno due modi: quelli che ascoltano le playlist e gli altri. Infatti, ci sono artisti che magari hanno un brano solo che va benissimo, fa il 50% degli ascolti rispetto a tutti gli altri pezzi in piattaforma. In fondo, se ci pensi, un po’ come era negli anni ’60. C’erano 1 o 2 brani su 45 giri che andavano fortissimo e basta. La linea non è demarcata e la discografia non sa bene come comportarsi.
Quello che è sicuro è che le label e i manager non dettano più la linea ma cercano di capire cosa piaccia al pubblico. E poi non c’è più l’attesa per un disco come capitava per noi.
Provi mai nostalgia?
No, internet può aprire mondi fantastici o terribili. È come per un coltello: ci tagli il pane o la carotide.
La seconda traccia dell’album, con il Management, rivendica nel titolo il diritto a “invecchiare male”. Ovviamente è una provocazione, voi come la state vivendo?
È una provocazione soprattutto come riflessione sul tempo. Un tema sempre presente per noi, anche quando Andre scriveva in inglese, e non contiene non per forza un pensiero negativo. La vita si celebra anche con la paura della morte! Tra l’altro è uno dei pezzi più apprezzati dell’album.
Secondo te adesso c’è quasi una nuova onda artistica che valorizza la provincia che voi avete sempre cantato? Come per sangiovanni e Blanco?
Io credo che questo sia ancora il momento delle città, perché l’urban nasce lì, quindi Milano e Roma, che hanno una personalità fortissima. Però la provincia avrà sempre qualcosa da dire.
Mi sembra che vi divertiate ancora parecchio a suonare, anche in molti pezzi dell’album vi lasciate andare a delle code strumentali molto lunghe come in Caro fottuttissimo amico con Motta. Sentite mai, invece, il peso o la fatica?
No, mai. La nostra fortuna è il nostro pubblico trasversale che si rinnova, più grande di quello che avremmo mai potuto credere 10 anni fa. Non si sono mai lamentati per nulla, anche di brani strumentali di 7/8 minuti! Poi non ci stanchiamo molto probabilmente perché siamo in grado di prenderci i nostri tempi per riposarci e stare con le nostre famiglie. Suoniamo solo quando abbiamo qualcosa da dire e abbiamo la fortuna di poter vivere di questo. E non è scontato. Siamo fortunati. Forse un pochino ce lo siamo meritati in questi 20 anni, al di là della musica che possa piacere o meno.