Interviste

DJ Tennis: la curiosità crea personalità – L’intervista

Manfredi Romano è DJ Tennis, una brillante mente che possiamo mettere tra quei cervelli in fuga dal nostro Paese e che è riuscita a imporsi con il suo gusto e la sua capacità organizzativa nel business della musica elettronica

Autore Tommaso Toma
  • Il19 Gennaio 2018
DJ Tennis: la curiosità crea personalità – L’intervista

Lui è in realtà Manfredi Romano, una brillante mente che forse possiamo mettere tra quei “cervelli in fuga” dal nostro Paese e che è riuscito a imporsi con il suo gusto e la sua capacità organizzativa nel business della musica elettronica. Nato negli anni ’70, con una vita tra New Jersey, Palermo, Parma e adesso Miami, DJ Tennis ha dedicato tutta la sua vita alla musica – in tutte le sue possibili sfaccettature, dal collezionismo all’organizzazione di eventi con l’agenzia Daze passando dalle console e dall’apertura di un’etichetta molto stimata nel settore. Parlarci è davvero piacevole: Manfredi è un vero affabulatore, usa un linguaggio preciso e controllato e si sente che ama il suo mondo. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo recente contributo alle storiche compilation DJ-Kicks ideate negli anni ’90 dalla label berlinese !K7. Questo è un resoconto di una chiacchierata che è andata in realtà ben oltre il tie break.

Ph: Ded Pixel

Prima di tutto, esiste una formula per imporsi o diventare un protagonista nella scena della musica elettronica di qualità?


Non penso che esista una formula ma consiglio di avere sempre curiosità per la musica: serve non solo per fare il DJ. C’è tanta musica prodotta che è buona e credibile e qualsiasi persona che abbia l’ambizione di lavorare in questo campo deve fare ricerca a 360 gradi e ascoltare di tutto, senza limiti o preclusioni. È tramite l’ascolto, la ricerca e la conoscenza che si alimenta la formazione un gusto proprio e, secondo me, chi fa arte o lavora nel settore della musica e della creatività in generale deve poi crearsi un gusto riconoscibile, un’identità precisa e libera da compromessi.

La personalità non manca certamente alla tua etichetta Life and Death: vuoi descriverla ai nostri lettori?


Il mio approccio è una reazione a una determinata aridità che è venuta alla luce alla fine della prima decade del nuovo secolo. Nel 2008 c’era quasi solo una certa techno minimale, musica con poca sperimentazione, solo digitale e con un approccio troppo ritmico. Ho pensato che fosse il caso di ritornare indietro, utilizzando una strumentazione organica, riabilitando l’uso delle voci, delle melodie, dei campionamenti. Ho creato un vivace intreccio d’influenze, dal soul all’indie con delle bassline molto “grasse”, potenti ed evolute.

E dobbiamo notare che i Tale of Us, un duo italiano scoperto da te, sono apprezzati all’estero…

Ho semplicemente aiutato a farli crescere, oltre che nell’aspetto musicale anche in quello manageriale. Sono tra i produttori più illuminati che abbia incontrato e si sono imposti con un sound unico, uno stile molto individuabile e lo hanno fatto molto velocemente.

Parlaci del tuo DJ-Kicks che è addirittura doppio rispetto agli altri di recente uscita.


Nei due CD trovate molta musica prodotta negli anni ’90 e primi anni Duemila, spesso non da ballo, che viene definita IDM, ovvero Intelligent Dance Music. Questa musica per me è stata di aiuto per crescere come DJ e come ascoltatore, perché le produzioni di Ryuichi Sakamoto, Alva Noto, Mouse on Mars di quel periodo sono i germi delle produzioni di musica elettronica attuale. Questa è la musica che ispira le composizioni di artisti apprezzati e seguiti oggi come Modeselektor e Apparat.

Come si svolge idealmente la tua giornata?

Per me essere DJ è una nobile passione ma faccio tanto altro, sono abbastanza impegnato. Tra l’altro sto anche per aprire un ristorante a Miami, città dove vivo, e qui lavoro anche per una grande agenzia di servizi per lo spettacolo, la Unreal Systems. Tornando alla giornata tipo: prima di tutto guardo le mail, sto al telefono e questo tempo è praticamente occupato dall’organizzazione di eventi. Cerco anche di dedicare le mie 3 o 4 ore quotidiane alla produzione di brani o alla creazione dei draft. Ho tante cose che non ho mai fatto uscire ma che sono lì… E poi mi dedico almeno un’ora al giorno alla ricerca e all’ascolto di musica nuova attraverso qualsiasi mezzo, dal vinile a Spotify. Come dicevo all’inizio per un produttore è fondamentale questa curiosità: aiuta a essere ispirati anche nel momento della performance. Sono sempre super affamato di cose nuove.

E chi ti ha “saziato” ultimamente?


Mi è piaciuto moltissimo l’ultimo album di John Maus, mi attrae la musica ambient drone di Colleen, l’ultimo album di Bicep (il duo Andy Ferguson e Matt McBriar, ndr), Call Super (il moniker di Joe Seaton, DJ/producer londinese, ndr) e devo dire che ascolto con interesse il nuovo album di James Holden.

Puoi darmi da “addetto ai lavori” un tuo giudizio, un’osservazione sul lato più commerciale della musica dance, come per esempio il fenomeno dell’EDM, che nelle sue sfaccettature è il genere protagonista del mercato discografico per la musica elettronica.

Trovo che i protagonisti della EDM – che è prima di tutto un fenomeno di massa che sfrutta i social ed è un genere musicale pieno di cliché e preconfezionato – abbiano sostituito le star del rock nell’immaginario dei giovani, che sono poi i veri consumatori di questo genere. Si va dai quattordicenni ai ventenni: questi compongono una fanbase che però dura poco perché svanisce appena questi ragazzi crescono e “rinsaviscono” cercando musica con un po’ più di qualità. Direi che “i follower non sono per sempre”… Tutto questo mi fa pensare che, se da una parte c’è internet che ti permette di scoprire tante cose, alla fine non viene utilizzato nella maniera migliore dai giovanissimi.

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