È uscito l’EP di debutto dei Sorrowland: la nostra intervista
“Buone Maniere per Giovani Predatori” è l’EP di debutto dei Sorrowland, collettivo romano trap. Ecco la nostra intervista
È uscito per Asian Fake l’EP di debutto dei Sorrowland, collettivo trap (formato da Osore, Gino Tremila e Giovanni Vipra) che in questi mesi si è fatto notare anche grazie a quattro singoli di successo. Si tratta di Buone Maniere per Giovani Predatori, un progetto che vuole parlare dei giovani di oggi, usando la metafora del “vampirismo”.
Il prossimo 26 ottobre i Sorrowland presenteranno l’EP all’interno della prima del format Asian Rave, serata a cadenza mensile in collaborazione con Linoleum. Appuntamento al Rocket Club di Milano: ci sarà anche il dj set di Frenetik. Ecco la nostra chiacchierata con loro.
Parlateci un po’ di voi. Quando si sono incrociate le vostre strade nel progetto Sorrowland? Cosa facevate prima?
Vipra stava scrivendo il suo romanzo d’esordio Io e Altri Mostri e aveva un accordo con Adelphi. Nel frattempo si manteneva servendo ai tavoli di un noto ristorante romano del centro, e cercava di vincere una borsa di studio al Collegio d’Europa di Bruges. Osore si era trasferito a Roma dopo aver studiato sound design a Londra perché un incidente aveva fermato il suo sogno di un contratto con la primavera dell’Arsenal, da cui era stato notato mentre giocava nell’Hackney Wick, la società del suo quartiere.
Tremila era quello messo meglio, perché studiava art direction e nel frattempo collaborava come intermediario con una società che operava nel deep web. Ci siamo conosciuti la sera del 12 febbraio 2017 nella caserma dei Carabinieri del nucleo Parioli perché un tizio di questa società aveva usato i nostri dati per coprire una frode fiscale.
All’estero e in Italia si sta sempre più consolidando il concetto di “emo trap” per designare sonorità e attitudini simili alle vostre. Voi vi riconoscete in questa definizione?
Abbiamo creato un suono e un immaginario che sono soltanto nostri. Ci si possono vedere tantissimi riferimenti ma nessuno è così predominante. Una volta abbiamo chiesto su Instagram che genere facessimo secondo chi ci segue e ci sono arrivate centinaia di risposte una diversa dall’altra. Dell’emo trap forse è presente il senso di vuoto e angoscia tipico della nostra generazione, ma non è un modo di fare musica. Al massimo è un sentimento comune che puoi trovare in molti artisti anche lontani tra di loro.
Abbiamo iniziato a lavorare insieme sperimentando fino a creare questa specie di mostro che non rientra del tutto in nessuna definizione. Questa è la cosa che ci piace di più, perché la musica è mediamente uniforme e non vogliamo che nessuno ci possa confondere dal primo ascolto.
Quali sono secondo voi i limiti della trap “canonica” per come è andata consolidandosi in Italia nell’ultimo periodo?
C’è un momento di “ristagno” in cui ci siamo riempiti di brutte copie di artisti che hanno dettato il genere Italia. Ogni tre post social capita di beccare un disperato che spera di fare successo scimmiottando questo o quell’altro, ma tutto sommato è un processo normale che si è sempre visto. A questo corrisponde una fase in cui stanno emergendo un profilo e un linguaggio nuovi e originali della trap italiana, accanto a quelli consolidati.
Nonostante i disperati di cui parlavamo prima, tanti altri riescono a proporre una visione del fenomeno con pochi o nessun riferimento estero, a volte nemmeno con dei riferimenti davvero trap. È questa la wave di cui facciamo parte.
Ascolta qui Buone Maniere per Giovani Predatori dei Sorrowland
Quello dell’EP è un formato “vecchio” che però rivive sorprendentemente bene in un contesto digitale. Perché per voi era il modo giusto per esordire?
Se ti chiedono un biglietto da visita non dai un libro: volevamo presentarci con qualcosa chiaro e d’impatto. Tutto, dal suono all’estetica, in questo EP segue un unico filo conduttore che è il processo con cui “ci si nutre” degli altri, per sadismo o per necessità.
Abbiamo scelto le sei produzioni che ci soddisfacevano di più nel lavoro di un anno e deciso che erano quelle giuste per far capire cos’è Sorrowland.
I vostri suoni sono molto più affini a un contesto elettronico (o electropop) piuttosto che a uno di derivazione hip hop. Che tipo di lavoro di produzione viene svolto sulle vostre basi?
[Osore] Non sono mai stato un appassionato di hip hop, ho passato la mia adolescenza a vedere concerti di musica elettronica e musica sperimentale. Il mio approccio alle produzioni è provare sempre a creare suoni innovativi e usarli in maniera creativa. Se uso uno snare trap per esempio, forse provo a distorcerlo al massimo e poi usarlo come lead del pezzo.
Più che altro lavoro molto con il sound design, specialmente con suoni prodotti dentro Reaktor 6, ma anche usando strumentazione vera o oggetti trovati dentro casa per poi post-produrli con dei effetti digitali dentro la DAW.
Nei vostri testi ha molto rilievo il valore simbolico delle parole, un’attitudine quasi letteraria. Ci sono degli scrittori che amate particolarmente, o anche altri artisti che hanno fatto un uso simile della parola?
[Vipra] Gli artisti che mi piacciono di più sono quelli che riescono a condensare tutto in una frase, perfetta e lucida come un proiettile da sparare in testa. Più che con i brani degli artisti io sono cresciuto con le frasi, e ho deciso che volevo scrivere così, come un fotografo.
Queste immagini che creano un disegno unico le vedi nelle strofe di Fabri Fibra o di Lindo Ferretti. Così come nella produzione di Saffo, Achille Campanile o Friedrich Hebbel.
Menarla con i contenuti o la tecnica mi annoia: quando realizzi che sei stupido e il tuo messaggio è il risultato involontario di quello che scrivi finisci per fare molto meglio.
Il vostro progetto ha una componente estetica (o estetizzante in senso lato) molto spiccata. Che tipo di comunicazione volete stabilire con l’ascoltatore/spettatore?
[Tremila] Sorrowland non nasce come un semplice progetto musicale: è la manifestazione nella realtà “tangibile” di ciò che noi tre siamo interiormente. Una sorta di mondo surreale con regole tutte sue che vive in noi, che vive grazie a noi. L’idea del progetto è quella di comunicare questo mondo. Ed è chiaro che per comunicare un intero mondo sono necessari suoni, emozioni, visioni, oggetti, racconti e un sacco di altra roba. Vogliamo creare la possibilità di un’esperienza che sia completamente immersiva.