Hip Hop

Epoque, l’artista da scoprire: «Senza le mie radici non sarei qui»

Venerdì 10 settembre è uscito il nuovo singolo dell’artista italo-congolese, “Cliché”: una nuova conferma che il suo mix tra afrobeats, rap, r’n’b e pop funziona alla grande. Ed è solo l’inizio

Autore Cristiana Lapresa
  • Il11 Settembre 2021
Epoque, l’artista da scoprire: «Senza le mie radici non sarei qui»

Epoque. Foto di Enrico Rassu

Janine Tshela Nzua si è affacciata da poco nella scena urban italiana (e non) con lo pseudonimo di Epoque, ed è già sulla bocca di tutti. Il suo nome, tradotto letteralmente, vuol dire “epoca” e riflette a pieno proprio il momento che stiamo vivendo: di rivoluzione, di cambiamento, di riscrittura dei paradigmi musicali. L’artista congolese classe ’92 si trova proprio al centro di questo turbine di nuove idee con la sua personale proposta musicale.

È una rapper, ma anche una cantante. Fa trap, ma i ritornelli sono anche pop. Nei suoi testi non ci sono gang, né assurde manie di protagonismo. In compenso ci sono la sua storia e la sua esperienza, immortalate in rime conscious che si mescolano ai ritmi afrobeats, per non dimenticare mai il sangue che le scorre nelle vene.

Questa è Epoque. Una donna che scrive le sue canzoni mescolando francese, italiano e lingala (la sua lingua d’origine), amante del cinema e dell’arte, consapevole che per fare bene bisogna studiare e non fermarsi mai. Dopo il primo singolo Petite, seguito da Boss (io & te), il suo primo in major pubblicato sei mesi fa, ora è il turno di Cliché (il video uscirà martedì 14). E la formula vincente si replica.

Abbiamo voluto incontrare l’artista per parlare con lei del suo passato, del suo stile personale e articolato che sfocia nel lavoro con il producer Di Gek, ma anche di temi collaterali alla musica e di un percorso nuovo (con Thaurus) che la guiderà verso altre novità in arrivo.

Prima di essere Epoque, ero sempre Epoque, ma come Janine! È sempre stato un po’ tutto uguale. Ho sempre cercato di fare cose molto connesse all’arte, ho una grandissima passione per il cinema e mi sono sempre intrufolata in progetti che avessero a che fare con esso. La musica mi ha sempre affascinato: quando la ascolti, un po’ come a tutti, ti dà un sacco di emozioni diverse e ho avuto la fortuna di incontrare tre anni fa il mio produttore e manager Giacomo (Di Gek) che ha scoperto questa mia dote “nascosta”.

Cantare, trovare melodie, la connessione con l’afrobeats: lo ringrazio tanto perché non avrei mai iniziato altrimenti. È un percorso che ho sempre voluto fare, ma non ci ho mai pensato così intensamente. È partito tutto per gioco, fino ad arrivare qui.

Con Di Gek abbiamo tanti punti in comune a livello musicale! Entrambi arriviamo da un background molto hip hop ed entrambi siamo fan della musica francese afro e di tutto ciò che arriva dall’Africa e Francia. Questo sicuramente ci aiuta ad essere molto connessi quando lavoriamo. Quello che ci piace più del fare afrobeats, dal momento in cui nel mondo esiste in mille modi, è stato mescolarlo con le nostre conoscenze per fare qualcosa di nuovo. Se in Italia non si sente molto, non vuol dire che dobbiamo proporlo come lo fanno tutti gli altri, cerchiamo di dare un tocco in più insieme.

Ascolto davvero tantissima musica, dall’hip hop, al rock, all’indie, alla classica! Quindi per me è un mix, sto studiando mentre lavoro. Ogni volta è un progredire. Sicuramente l’afrovibe è quello che cerco di tenere più consolidato nei miei pezzi, che siano “afro-house”, o “afro-indie”, è quello l’elemento che voglio tenere ben saldo. Come genere sono sull’hip hop, rap, r’n’b, ma il minimo comun denominatore è sempre l’afro.

Il fatto di sapere più lingue non è un must, ma ti aiuta a capire più cose. È il fatto di essere aperti mentalmente sotto tanti punti di vista che mi ha aiutato. Viaggiare mi ha tolto molti pregiudizi che avevo, anche positivi, verso altre culture, quindi è giusto aprirsi per scoprire se stessi e il rispetto per gli altri.

L’Italia in questo momento si sta evolvendo un sacco a livello artistico e musicale, non è tanto il fatto di inserire le mie origini, ma è l’arte in sé che si vuole evolvere. Si ha una curiosità nel sentire e ascoltare musica diversa.

Esatto!

Questo tipo di iniziative ricorda a ogni tipo di “emarginato”, diciamo così, di avere la sua possibilità. Come questa ce ne sono tante altre, ognuno ha il proprio momento. È una vetrina che dà un’opportunità per mostrare la propria arte, di dire la propria e mostrare anche solo il proprio volto.

Abbiamo sempre fatto un certo tipo di lavoro io e Di Gek sulle nostre canzoni. Thaurus, con Shablo, Nicolò “Scala” Scalabrin e Luca Faraone nel team, mi hanno aiutato con le strumentali, hanno dato un tocco diverso ai miei pezzi e hanno arricchito anche questo singolo. Non vedevo l’ora che uscisse! È bello come tante menti riescano a mantenere la tua idea musicalmente, e anzi darle un tocco in più. Il fatto di “accettare” modi diversi di lavorare, condividere le proprie idee ha dato un sapore in più a Cliché. Quindi è un percorso che sono felicissima di aver intrapreso, perché in due era abbastanza dura, ma stiamo imparando tante nuove cose!

Di certo, quello di cui parlo nella mia canzone, che è un tema che ho vissuto personalmente. È il cliché della gente che crede senza chiedere, presumendo e finendo per abbattere e intimorire una persona, perché non la si lascia esprimere come è realmente. Oggi ci sono cliché sulle donne, sullo straniero, sono quasi su tutto in realtà. Per me è una questione di rispetto e di ascolto, che sono secondo me alla base di tutto, e lo dico come una che molte volte ha sbagliato.

Una volta, un’amica mi confidò un segreto al liceo, una sua cosa personale. Io ho reagito molto tranquillamente, e la mia risposta leggera e rilassata mi ha insegnato che la chiave è sapersi aprire nei confronti degli altri, perché la gente si sente “normale” come è giusto che sia! Il cliché nasce dalla nostra testa e dà solo un senso di inadeguatezza. Ti fa sentire troppo nella minoranza o nell’emarginazione, ed è una cosa che io non tollero.

Epoque
Epoque, foto di Chloe Rose

Dalla mia esperienza, essendo congolese nata in Italia, se non avessi abbracciato la mia cultura e tutto quello che mi ha insegnato nel bene e nel male, sicuramente non sarei qui. Quindi, le mie radici mi hanno scavato. Ti insegnano ad essere buono, ad evitare di fare del male. Nella crescita, a me hanno insegnato ad abbracciare certe cose che in Italia erano “fuori luogo”, ma mi ha anche dato una lezione su come poter essere più persone diverse.

Con questo intendo dire: noi crediamo di essere unici, univoci, ma non è proprio così. Tutti possiamo scegliere di essere tante cose, spaziando da una decisione all’altra, da una scelta all’altra. E questo lo si capisce e lo si decide attraverso le radici. E parlo anche di questo percorso qui, senza cui non sarebbe cresciuto il mio fiore se le avessi rinnegate.

Domanda scottante! Posso spoilerare che ci sarà molta musica, diversa, più introspettiva, perché sicuramente sono una persona molto riservata, poi quando mi schiudo parto come un razzo! Perciò intanto preferisco che il mio pubblico mi conosca per quello che sono. Ci sarà musica leggermente diversa, ma con tutte le influenze dei miei ascolti durante la mia crescita.

Ci sto pensando! Sono davanti a un bivio! (ride, ndr)

Un sacco di musica afro per tenermi sul pezzo, molta musica italiana attuale, che sta cambiando tanto e che quindi ascolto molto di più. Poi musica francese… e Doja Cat, che mi piace molto. È stramba, e io amo lo “strambo”! E poi Kanye West e Drake, perché mi tengo aggiornata. Poi ho Another Day In Paradise di Phil Collins, Janet Jackson… i miei pezzi clue. Faccio un salto nel passato, anche se mi tengo sempre nel presente!

Ascolta Cliché di Epoque

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