Marracash: “Noi, loro, gli altri” è il vero ritorno del king
Il nuovo album è molto più di un disco rap. È un disco del nostro presente, frammentato, convulso, complesso come mai prima d’ora, che racconta un’assoluta verità
In un momento storico in cui l’argomento “identità” sta cambiando anche il nostro stesso linguaggio (in Francia hanno appena coniato un nuovo pronome, iel, che si aggiunge a il e elle per non incappare in distinzioni di genere), Marracash sfonda una porta aperta. Noi, loro, gli altri (Island Records) è uscito stanotte alla 1 e già dal titolo pone l’attenzione sul problema: c’è una distinzione, tra classi, sistemi, gruppi, criteri di appartenenza sociale. Ma c’è anche un’analisi su un “io” che non è più da solo, come in Persona, alle prese con ogni parte del suo corpo e con una storia e un sentimento ad esso associato.
Al livore che accompagnava quel disco, alla rabbia che permeava in tutto, è ora per Marracash di lasciare spazio alla pace. Non alla pace reale, un obiettivo che probabilmente non raggiungeremo mai, né lui né chiunque altro, a meno di non andare a vivere in cima a un monte, da soli e senza nessun contatto. Ma a quel tipo di pace che arriva quando accettiamo con consapevolezza che il mondo è un casino e che forse non siamo fatti per viverci dentro, ma ci stiamo lo stesso durante il tempo che ci è concesso.
Ad accompagnarlo in questo suo nuovo viaggio ci sono Guè, Calcutta e Blanco. Tre mondi diversi, come se il passato, il presente e il futuro abbiano indetto una riunione per decidere, insieme a Marracash, le sorti del nostro universo da ora in poi.
Noi
Nel vivere in questo mondo, dicevamo, ci dobbiamo confrontare necessariamente con gli altri. Per primi, con la famiglia, il “Noi”, un concetto che iniziamo a sviluppare già da molto piccoli, la rappresentazione di un legame antico e potente con chi ci ha dato la vita e ne fa parte tutti i giorni. Il senso della prima copertina, di tre, che accompagna Marracash in questo nuovo capitolo musicale. A volte non si tratta neanche di legami di sangue, ma di famiglia acquisita, di nodi stretti con persone che anche se provengono da altre sfere fanno ormai parte del tuo presente come se avessero lo stesso DNA (Paola Zukar compare probabilmente nella prima cover e non nella seconda proprio per questo).
Il “noi” è quel luogo dove forse dovremmo trovare le certezze che “loro” o “gli altri” non riuscirebbero mai a darci. Ma per Marracash non è così davvero. Nella sua piena maturità, quella che raggiunge in questo disco, 42enne e con diversi album alle spalle, non c’è nessuna certezza. Chissà che ne sarà di noi, dice nella stessa Noi, su e giù lungo il fiume di ricordi belli, brutti, poi ancora belli, di una vita piena di Dubbi, come la stessa canzone in cui torna sul tema. “Ho 40 anni e mai visto un legame che rimanga”, dice, poco prima di sparare a zero sul suo successo, sul fatto se sia o meno la cosa che davvero voleva, la cosa che gli serve per togliersi finalmente tutti i dubbi che lo tormentano.
Loro
Loro, l’omonima traccia, apre non solo il disco ma approfondisce il discorso che sta man mano sgomitando per uscire dalla sfera del Noi. È qui che Marracash si mette in relazione direttamente con un altro modello di conflitto per lui: “loro”, quelli con cui ha a che fare ogni giorno ma che non appartengono alla sfera familiare, ma a quella appena fuori dalla porta di casa. Quella lavorativa, simboleggiata nella rispettiva cover alternativa dell’album dall’immagine che ritrae l’artista fra colleghi e collaboratori della sua etichetta. Che inevitabilmente richiama un discorso di confronto con ciò che Marracash è e ciò che loro, i colleghi del rap, più vecchi, più giovani, sono per lui.
Qui rientrano brani come Pagliaccio (in cui campiona Mario Del Monaco in Vesti la giubba), con alcune fra le rime più taglienti di tutto il disco, o la stessa Cosplayer, un distacco esplicito da ciò che è “noi” e ciò che è loro, dalla gente “cool” – ti vedo e ti sento, J-Ax – dalla scena musicale costruita sulle apparenze. Ma è anche un “loro” più ampio, che abbraccia qualcosa di molto più importante: la critica a una società che si atteggia a un’immagine futuristica di se stessa in cui tutti siamo uniti, magari per la causa ambientale, o per il riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti. E invece no, la crepa si fa sempre più profonda, i dubbi persistono, e Marra non manca di ricordare che “a volte siamo noi loro”. Dipende dal punto di vista.
Gli Altri
È difficile, comunque, dopo solo pochi ascolti definire ogni piccolo dettaglio di questo complesso e articolato album di Marracash. Provando a suddividerlo in queste tre macrocategorie che lui affronta, con cognizione di causa ma comunque con la zavorra del dubbio ad appesantirgli il cammino, arriviamo alla terza cover del disco. “Gli Altri” è simboleggiata dalla terza e ultima immagine. E qui, Marra è da solo con tutti “gli altri” rivolti nella direzione opposta.
Con chi confrontarsi, a questo punto, se non con se stessi. Qui ritorna la dimensione dell’Io, che per tutto il tempo ha comunque fatto parte del percorso, anche se non è il focus principale, visto che non è espresso neanche nel titolo. Torna nelle singole canzoni, dove Marracash in brani come Io (in cui campiona Gli angeli, di Vasco) passa al confronto-conflitto con ciò che vede al di fuori dal suo personale vissuto (“Non credo che il mondo torni più quello di prima, e nemmeno lo spero”). Riflette sui cambiamenti della propria vita e con un argomento su tutti ritorna il tema del dubbio: quello sul suo successo. Che cosa lo rende diverso dagli altri? È veramente questo ciò che Marracash sognava? O c’è bisogno di chiudere un capitolo con un nuovo inizio, quello per cui dice di essere pronto, alla conclusione del disco nel brano Cliffhanger?
Noi, loro, gli altri
“Io so solo che volevo essere uno di loro per non essere come tutti gli altri”, dice Fibra nel suo skit all’interno del disco. Un album in cui Marracash definisce una volta per tutte il suo Status (come l’omonimo album), sublimandolo, portandolo a un compimento, chiudendo un cerchio. Un trittico, formato anche da Persona, che termina con una sola potente verità: l’assenza di verità.
Certo, è pur sempre un disco del 2021 che al suo interno ha gli elementi tipici di un disco rap del 2021. Dissing, velati o meno, punchline, barre, incastri, metriche, tutto quello che si vuole ascoltare per gasarsi all’infinito e con tante sfumature anche strumentali che accontentano un pubblico molto più ampio del solito, strizzando un po’ l’occhio all’indie, un po’ al pop, e in bilico tra vecchia e nuova scuola sul sound.
Ma niente, il focus rimane lì: sul contenuto. Sul segreto custodito da un vero re (del rap italiano). Che non è quello che guarda il popolo dall’alto del suo trono, nonostante abbia guadagnato nelle sue battaglie il rispetto di amici e nemici. È quel re che alla sera si toglie la corona e riflette sulla felicità del popolo, sulla sicurezza della sua famiglia, sul destino del suo paese. Ma soprattutto su come si possa di nuovo essere liberi dal peso di queste enormi, immense responsabilità.