Interviste

Mezzosangue: «I miei dischi sono sempre un’esperienza assurda: mi ritrovo a vivere dopo quello che scrivo»

A distanza di quattro anni da Tree – Roots & Crown, il rapper romano è tornato sulle scene con un nuovo concept album in cui il concetto di contrappasso dantesco si mescola con la postmodernità liquida di Bauman e la spiritualità di Kendrick Lamar

Autore Greta Valicenti
  • Il4 Gennaio 2023
Mezzosangue: «I miei dischi sono sempre un’esperienza assurda: mi ritrovo a vivere dopo quello che scrivo»

Mezzosangue, foto di Michele Anzivino

«Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrate nel mondo della modernità liquida». Scriveva così nel 1999 Zygmunt Bauman in Modernità liquida, uno dei capisaldi della sociologia postmoderna. Un’asserzione di dantesca memoria, forse una coincidenza, o forse un cerchio che Mezzosangue chiude nel suo nuovo album Sete, un disco densissimo uscito a dicembre e che ha scritto l’epilogo di una grande stagione per il rap italiano. Nelle quattordici tracce che compongono la sua terza fatica discografica, il rapper romano ha intrecciato fili apparentemente lontanissimi tra di loro, facendoli sembrare estremamente vicini.

E così Mezzosangue mescola tra loro il concetto di società liquida di Bauman, l’idea di contrappasso dantesco e la spiritualità di Kendrick Lamar, il tutto declinato in dieci diverse forme di sete che è sempre più difficile placare e in cui è sempre più facile annegare. E per non rischiare di affogare, Mezzosangue ha intrapreso un percorso di ricerca, introspezione e «pausa umana» (forzata anche un po’ dall’arrivo del Covid) della durata di ben quattro anni, durante i quali si è interrogato su quali siano davvero le cose reali che ci tengono a galla e si è dato delle risposte a quelle domande che si è già prefissato di porsi di nuovo tra cinque anni, magari in una nuova canzone.


Sono passati quattro anni dal tuo ultimo album, cosa è successo nella tua vita in tutto questo tempo?

Il Covid mi ha dato modo di sentire nella pausa del mondo le cose reali. Dove siamo, come viviamo, cosa abbiamo intorno. Mi ha fatto bene ritrovarmi e non avere quella compulsività o quel consumo spasmodico della vita. Da lì è nato tutto il concept del disco che in realtà si è trasformato tre volte.

E al concept definitivo della sete come ci sei arrivato?

Per assurdo è nato prima il titolo rispetto al disco. All’inizio il concept doveva essere sullo spazio, Sete è l’acronimo di Searching for Extraterrestrial Empathy, ossia sul cercare un tipo di empatia extraterrestre. Il concetto di sete deriva invece da good kid, m.A.A.d city di Kendrick Lamar. In Sing About Me, I’m Dying of Thirst lui dice «sto morendo di sete» e una donna gli risponde che ha sì sete, ma non è l’acqua ciò di cui ha bisogno. Da lì è nato tutto il viaggio che comprende anche Bauman: in un mondo pieno di liquidità e compulsività di cose sentiamo comunque la sete di qualcosa ci manca.


In questa società liquida di cui parlava Bauman e di cui parli anche tu, secondo te qual è l’unico modo per restare a galla?

Secondo me riconoscendo i pattern che ci portano a certe esperienze o a certe dinamiche interne. Riconoscere perché colmiamo un determinato vuoto o perché proviamo una determinata sensazione. Dobbiamo legarci ai nostri vissuti personali. Di solito in quanto collettività guardiamo più fuori che dentro e ci auto-educhiamo alla velocità e al consumo, ma per uscire da questo loop il percorso deve essere orientato verso noi stessi.

Il cambiamento è una cosa che ti spaventa o ti stimola?

In questo disco in particolare mi ha stimolato un sacco. In questi anni mi è piaciuto molto il mio modo di avere fede nel cambiamento delle cose, anche se so che per il periodo che abbiamo vissuto sembra paradossale.

Ecco, che accezione ha per te la fede? È un tema abbastanza ricorrente nell’album.

È un concetto delicato per me. Ascanio Celestini dice che nella nostra era le parole si comprano, quindi se tu dici una parola appartiene per forza a quella cosa. Se tu dici fede il primo pensiero è Chiesa e Dio, è difficile in contesti così veloci far arrivare un concetto molto più ricercato. Specialmente nel disco invece la fede per me è un abbandono alla fiducia e a un concetto di intelligenza umana.

In Misfits dici «Piatto vuol dire falso o vuol dire morto», per Bauman l’incertezza era ed è l’unica certezza, ma troppe certezze non rischiano poi di atrofizzarci?

In realtà ogni sete nel disco è un contrappasso, parlo di come io ho affrontato quella sete. Io nella vita ho bisogno di certezze, anche se ogni certezza è comunque illusoria e la vita cambia in continuazione.


C’è una concatenazione delle tracce? Ad esempio c’è Amore e Paura (La Scelta) e subito dopo c’è Corri che associ alla Sete di paura.

Sì, tra l’altro non è un caso che Amore e Paura sia a metà del disco. È il momento della scelta tra ciò che è esteriore e ciò che succede dentro di te.

Mezzosangue: «Tra cinque anni voglio riprendere le stesse domande de La nave di Teseo e dare nuove risposte»

A proposito di scelte, nel disco c’è un brano che rimanda al paradosso della nave di Teseo in cui ti fai un sacco di domande. È possibile rimanere sempre fedeli a se stessi e mantenere in ogni caso la propria identità?

Dipende cosa intendi per identità. L’identità molto spesso è esteriore, e quella traccia in particolare parla proprio del cambiamento. La nave di Teseo non era mai realmente la stessa, ma manteneva comunque la sua essenza. Accettare il cambiamento non vuol dire perdere la propria essenza. L’idea di questo brano era darmi tutte le risposte alle domande che mi sono fatto, e poi tra cinque anni riprendere quelle domande e dare nuove risposte.

E al momento qual è la Sete che senti di più?

La realtà è che esco da un percorso che è stato un po’ uno shock, divertente eh, ma pur sempre uno shock. I dischi per me sono un’esperienza assurda, mi ritrovo sempre a vivere dopo quello che scrivo, sembra quasi che ci sia un altro a farli. Non so, forse scoprirò prossimamente cosa sento di più.

E tornare live come sarà per te? La prossima estate suonerai anche a Rock in Roma, quindi un appuntamento decisamente importante…

Ci sto pensando perché ho fatto una partecipazione al live di Nayt a Roma e anche quello è stato uno shock. La cosa assurda è che io per otto anni di fila ho sempre suonato, quella volta dopo aver suonato sono stato male tre giorni! Credo fosse l’adrenalina, passare da un momento di ricerca, emotività, scrittura e pausa umana al live è stato un cazzotto nello stomaco! Spero non succeda la stessa cosa, ma sono sicuro che mi divertirò tantissimo.


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