Rkomi: dubbi, paure, desideri dell’instancabile taxi driver. L’intervista
Nel 2016 era uno dei nomi più hot del rap italiano. Nel 2021 ancora. La nostra cover story è dedicata a lui, Mirko Martorana, qui un estratto
Nel 2016 quello di Rkomi era uno dei nomi hot del rap italiano. Uno di quelli che giravano da mesi tra addetti ai lavori per cercare di capire con quale etichetta potesse firmare perché tutti intuivano una grande capacità di scrittura e di flow. Nel 2021, dopo aver conquistato con Taxi Driver la vetta della classifica degli album – anche e soprattutto sulla lunga distanza – e dopo aver ribaltato qualsiasi regola del genere mischiandovi anche pop e rock, Rkomi è ancora un signor nome del rap game italiano.
Qualcuno potrebbe storcere il naso o dire semplicemente che ha virato verso il pop. Ma Rkomi, in realtà, continua a rappare in quasi tutti i suoi pezzi mantenendo la credibilità conquistata sul campo. Semplicemente ha scelto basi diverse dall’hip hop e collaborazioni con artisti di ogni tipo senza precludersi niente: da Irama a Gaia, Sfera Ebbasta, Chiello, da Roshelle a Ernia, Ariete, Tommaso Paradiso e Gazzelle. Aveva iniziato già nel 2019 collaborando con Elisa per Blu e con Jovanotti per Canzone, nell’album Dove gli occhi non arrivano subito al primo posto della classifica (come Io in terra del 2017, del resto, che aveva però feat. sicuramente più hip hop come Marracash e Noyz Narcos).
Se ci ripensa, ora, a più di quattro mesi di distanza dall’uscita, confessa di aver avuto non pochi dubbi su questo progetto. Ne erano usciti troppi tutti in quel periodo e Rkomi aveva pensato che la sua sarebbe stata recepita come l’ennesima operazione di collaborazioni. Poi, incoraggiato anche dal suo manager, ha deciso di buttarsi. E i risultati gli hanno dato ragione. Taxi Driver è uscito il 30 aprile ed è andato subito al numero 1, conta oggi più di 260 milioni di streaming. Poi è sceso di qualche posizione per le nuove uscite del momento (ora è al terzo posto dopo Iron Maiden e Drake) e per l’incredibile ascesa dei Måneskin in tutto il mondo. Ma per tutta l’estate a guardare tutti dall’alto in basso della classifica degli album c’è stato solo lui: Rkomi, ovvero Mirko Manuele Martorana, classe 1994, da Milano, quartiere Calvairate.
Mirko, arriva al cinema Mexico di Milano molto puntuale. Abbiamo appuntamento in questo luogo così simbolico per la città perché ha raccontato più volte di questo suo interesse al quale si sta appassionando pian piano. «Non voglio considerarmi un esperto di film. Mi piacciono molto registi come Gaspar Noé e Leos Carax. Naturalmente adoro Taxi Driver di Scorsese, che rivedo almeno una volta all’anno», racconta lui con la sua marcata cadenza milanese.
Venerdì 24 uscirà anche Taxi Driver: MTV Unplugged dove Mirko ripropone in acustico i pezzi dell’album con gli artisti che vi hanno collaborato. Una bella soddisfazione essere il terzo italiano scelto per partecipare a un format così iconico (dopo Giorgia nel 2005 e Alex Britti nel 2007). Soprattutto per uno come lui che sta riascoltando tanto in questo periodo Pearl Jam e Nirvana che di MTV Unplugged hanno scritto la storia.
Qui un’anticipazione della cover story del numero di settembre, che trovate già disponibile online dove potrete prenotare una copia cartacea da ricevere a casa.
Mi piacciono un po’ meno le prime tracce che ho scritto e prodotto, probabilmente perché le ho ascoltate troppo. Sai, forse, quando esce un album hai una percezione un po’ distorta, mentre sulla lunga distanza ne hai un’idea più chiara. Comunque, i miei album precedenti non li sopportavo più, mentre questo mi piace ancora.
John Mayer ha raccontato in un’intervista che è importante avere l’orecchio per ascoltare sé stessi. Ritengo sia una tecnica non semplice che va affinata.
Eh, è stato strano. Anche perché sono usciti tutti gli artisti di Amici e si sa che sono abbastanza inamovibili dalla vetta. Poi c’è stato il caso dei Måneskin, insomma è stato obbiettivamente particolare. Forse il mio è stato l’album giusto al momento giusto. Magari per le collaborazioni, anche se spesso si può sbagliare parecchio, non è detto che vadano bene perché possono mettere in secondo piano l’artista principale. Non ne ero affatto sicuro prima di buttarmi. Erano usciti talmente tanti progetti hip-hop in quel periodo che mi sentivo bloccato. Il mio manager mi ha schiarito le idee dicendomi che comunque il mio era un’altra cosa, molto più pop. E io avevo in testa No.6 Collaborations Project di Ed Sheeran che è stato la mia fonte di ispirazione ovvero featuring pazzeschi da Camila Cabello a Justin Bieber fino a Travis Scott.
Difficile capirlo, perché crei la traccia, la remixi, poi va in radio, fai il video, il concerto. Però direi che ho rivalutato Ho spento il cielo con Tommaso Paradiso anche perché la propongo meno ai concerti quindi mi sembra più nuova. E poi rimangono tra le mie preferite quelle di Gaia e Chiello. Ma anche Paradiso vs Inferno…
Penso di essere riuscito a trovare delle strofe interessanti perché ho tirato fuori delle parti di me nascoste. È stata Roshelle stessa a propormi in studio di svolgere il ruolo della mia coscienza nel pezzo.
Non sto andando in studio a farlo, ma scrivo ovunque. Magari su cose che vedo, leggo, mi capitano. In questo periodo sto guardando moltissime interviste e documentari musicali. Per esempio, ho visto quelli di David Bowie e David Byrne e ho anche rubato un paio di chicche a lui. “Meglio tenersi stretti sotto la pelle di un sogno” (in Mare che non sei) è sua! Mi piacerebbe saper scrivere una frase del genere, ma non è così. Comunque, a me non sembra così sbagliato prendere spunti dagli altri, l’importante è che il modo in cui vengono rielaborati sia il tuo.
Questo non saprei dirlo. Vorrei continuare a raccontare come se fossi dentro a un flusso di coscienza ma con un maggiore idea di inizio e fine. Penso che sia l’unica cosa che manca nella mia scrittura. In questo disco si parla tanto di relazioni di diverso tipo ma vorrei scrivere una canzone interamente d’amore, che parli di un solo aspetto. Ecco, forse solo Paradiso vs Inferno ha un inizio e una fine, ha un tema esistenziale, quasi religioso oserei dire.
Lo stavo riscoprendo già da prima delle vittorie dei Måneskin ma questo non significa che io non sia davvero contento per il loro successo. Sarebbe bello se grazie a loro, persone ancora lontane in Italia si avvicinassero al genere. Penso che ce ne potrebbe essere nei miei pezzi.
Il pubblico è confuso perché io continuo a farlo, è solo che non ritrovano la musica hip hop come base.
Onestamente, un anno fa forse ti avrei risposto un po’ imbarazzato che non lo sapevo. Invece oggi posso dirti che sì, è vero, sento di averla ancora.
Ho in mente di fare tante cose ma ci vuole il momento giusto. Bisogna abituare il pubblico ai propri cambiamenti personali. Quindi tante scosse non ci saranno ancora nel mio prossimo album: sarà un momento di passaggio per arrivare a ciò che ho in mente! Bisogna fare tutto con cognizione di causa. Vedo troppi artisti cambiare eccessivamente in poco tempo. Ci vuole maturità. Per questo prendo lezioni di pianoforte 5 volte a settimana, perché voglio migliorare.
Sul numero di settembre di Billboard Italia l’intervista completa a Rkomi.