Hip Hop

Zoda racconta “Autoritratto”: «Il bisogno di sfogarmi a mano libera per esorcizzare le emozioni»

“Un album invernale uscito d’estate”, personalissimo e cupo, che nasce dall’esigenza irrefrenabile di raccontarsi, facendo anche i conti con il passato

Autore Benedetta Minoliti
  • Il13 Luglio 2022
Zoda racconta “Autoritratto”: «Il bisogno di sfogarmi a mano libera per esorcizzare le emozioni»

Zoda, foto ufficio stampa

«Ho messo anima e corpo in questo disco. Senza major, senza manager, senza promo, solo con me stesso». Così Zoda ha raccontato, sul suo profilo Instagram, l’uscita del suo nuovo album Autoritratto, pubblicato lo scorso 8 luglio.

Daniele Sodano, classe ’96, ha messo tutto se stesso in tredici tracce, senza featuring. Dopo tre anni Zoda è tornato con un progetto cupo e personalissimo che racchiude tutta l’esigenza di esprimersi e fare, anche, i conti con il passato per riuscire a guardare al futuro.


Zoda ci ha raccontato questo “disco invernale uscito in estate”, tra figure bibliche e l’uscita della sua autobiografia La vita non è una favola.

La vita non è una favola è un titolo che fa già intendere il mood del libro.

Avevo tante cose da dire che non potevo esprimere nel tempo di una canzone, così ho iniziato a scrivere il libro parallelamente al disco, durante la quarantena. Sentivo come un’esigenza, a volte anche eccessiva, di raccontarmi. Ad un certo punto sono pure arrivato a scrivere fuori dal foglio, sulla scrivania (ride, ndr.). Ho scritto in uno stile un po’ bukowskiano, noir e molto crudo per certi aspetti, anche perché racconto dei dettagli della mia vita inediti e penso possa essere utilizzato da “specchio retrovisore” per i contenuti dell’album.


Quindi i due progetti sono complementari?

Esatto. Funzionano molto bene insieme e, se devo essere sincero, ho iniziato a parlare del libro quando è uscito l’album, nonostante sia stato distribuito prima, perché ci tenevo che venisse ascoltato prima il disco.

Hai detto che Autoritratto è diviso in due parti, l’inferno e una sorta di paradiso. Io, però, l’ho trovato nella sua interezza molto cupo.

Senza forzare nulla, mi sono reso conto che i primi brani dell’album sono quelli più aggressivi, dove si sente la mia esigenza di sfogarmi a mano libera su alcune emozioni che volevo esorcizzare. E sì, questo è un album invernale uscito d’estate (ride, ndr.) ed è, come dici, cupo. Però viene da una mia esigenza personale, più che artistica, avevo davvero tanto bisogno di uscire in questo momento. La seconda parte non è proprio un paradiso, ma la ricerca di questo. A livello sensoriale rappresenta più una sorta di purgatorio, dove ci si distacca dall’aggressività per accettare il senso di malinconia verso il passato, cercando di metabolizzare gli eventi.

Mi sembra che con quest’album tu cerchi di fare un po’ i conti con il passato. “Se guardo al passato non vedo il futuro”, dici in Cupido.

Credo che ognuno lotti con vari frammenti del proprio passato. In Cupido guardo ad un periodo della mia vita molto tossico: mi ero trasferito in una grande città dalla campagna della provincia, non avevo un padre, che ho ritrovato poco prima di scrivere questo brano, ed ero andato in overdose a causa di un abuso di sostanze stupefacenti. È il primo brano che ho scritto dell’album ed è anche quello più intimo, perché parlo di un passato fatto di mancanze e vuoti riempiti in modo sbagliato.

Zoda: «Sto imparando a gestire il passato per non perdere la percezione del presente e del futuro»

E adesso?

Riesco a fare i conti con quel passato e ad accettarlo. Mi rendo conto che ci sono tanti ragazzi che si possono ritrovare in queste situazioni e cercano di colmare le mancanze riempiendosi di cose da fare o tramite i social. Molti hanno paura di affrontare la vita per quella che è, quindi si aggrappano a un avatar per stare meglio. Io sto cercando di imparare a gestire il mio passato, per non perdere la percezione corretta del presente e del futuro.


In Problemi d’ansia fai riferimento a tutto questo. Dici: “Vorrei una cosa che mi salva, anche se poi mi ammazza”. Hai intrapreso un percorso e vuoi parlare in maniera più diretta e limpida possibile, in modo da essere d’esempio anche per chi ti ascolta?

Cerco di trasformare il male in un qualcosa di meglio. È un po’ il concetto che esprimeva De André: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Nel momento in cui la vita cerca di dirti qualcosa, se lo vuoi veramente, riesce a cambiare drasticamente, in positivo. È un percorso lungo e in Italia c’è molta disinformazione sulla salute mentale. Paradossalmente è più importante andare in palestra che avere una mente sana e sgombra da pensieri negativi. Invece un percorso di psicoterapia è importante, soprattutto quando il mondo va troppo veloce, gli imput sono alle stelle ed è facile perdersi.

Il mondo va veloce, gli imput sono tanti… ma tu, cosa vedi? Qual è la situazione che vedi intorno a te?

Ci sono tanti ragazzi che hanno iniziato a fare uso di psicofarmaci, anche per piccoli problemi di ansia, come se fosse la soluzione più veloce. Non lo è, perché magari in un primo momento ti salva, ma poi potrebbe rischiare di ammazzarti, come stava succedendo a me.

Nell’album ci sono diversi riferimenti a figure bibliche: serpenti, angeli, demoni. Che rapporto hai con il “credere in qualcosa”?

Mi incuriosisce da sempre e ho provato più volte ad avvicinare la religione a me, ma è una convivenza che non funziona. Evidentemente ho un modo di vivere che non può collegarsi alla fede. L’immaginario però mi ha sempre influenzato tantissimo e mio padre è un insegnante di storia dell’arte e un pittore, quindi qualcosa mi ha passato. Queste immagini mi aiutano a semplificare la comunicazione nella mia musica.

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