Alla scoperta di Nuvolari, nuovo ingresso nel roster di Bomba Dischi: l’intervista

Con “Lentamente”, disco d’esordio del cantautore piacentino, entriamo nel mondo di un talento plasmato dagli ascolti di Dalla, Cremonini, un po’ di Guccini e tanta sana autenticità
Nuvolari. Ph. Stefano Bazzano
Nuvolari. Ph. Stefano Bazzano

Ci sono dei dischi, come quello d’esordio di Nuvolari (alias di Matteo Pisotti, classe ’96), che sono dei piccoli gioielli di poesia. Nei nove brani di Lentamente, pubblicato il 22 ottobre scorso, il giovane cantautore piacentino ha condensato tutta la bellezza, nei suoi alti e bassi, dell’essere giovani dispersi alla ricerca di una certezza, in un futuro da costruirsi a fatica lontano dagli affetti e dalla propria città.


Con i singoli Persiani, Fuori Corso ed Emilia ne abbiamo avuto un assaggio, ma ora è il momento di premere play e salire su, in cima al tetto, per prendersi una pausa da una vita troppo frenetica e tornare a guardare le stelle invece delle luci di una caotica metropoli.

L’ingresso di Nuvolari nel roster di Bomba Dischi (che non ha bisogno di grandi presentazioni, visto che ha sfornato progetti di successo come quelli di Carl Brave, Franco126, Calcutta, Ariete, e molti altri) è significativo, perché il talento c’è e si vede. E non è coperto da nessuna patina inutile: solo lui, le sue canzoni, Dalla, Cremonini, anche un po’ di Guccini e un animo buono, dietro la faccia pulita che ci accoglie nella nostra chiacchierata su Zoom.


Toglimi una curiosità: perché Nuvolari?

Nuvolari perché non volevamo uscire col mio nome e cognome, era un po’ pesante per delle canzoni tendenti al cantautorato. Cercando un nome d’arte ho proposto questo, che è sì il nome del pilota Tazio Nuvolari, ma in verità l’ho scelto più perché amo il brano omonimo di Lucio Dalla dove lui racconta di questo pilota leggendario, il “mantovano volante”.

Quali sono stati i tuoi inizi e i tuoi ascolti? Ho letto anche qualcosa riguardo la musica brasiliana…

Il primo contatto è stato con mio cugino, che mi ha regalato una chitarra classica quando avevo nove anni. Ho preso delle lezioni, crescendo fra band in sala prove e concertini a scuola. Mi sono fatto le ossa per iniziare a scrivere le prime canzoni a 19 anni fino ad arrivare qua. Gli ascolti sono dettati sempre dalla curiosità, difficilmente ascolto volentieri qualcosa se non mi piace, e quindi ho un background di cantautorato italiano ma anche musica leggera. La musica brasiliana è arrivata tre o quattro anni fa con Joao Gilberto, Jobim, Elis Regina, quello è un mondo infinito, ma in cui sono entrato innamorandomene subito.

nuvolari
Nuvolari. Ph. Stefano Bazzano

Il tuo album si intitola Lentamente, il modo in cui dovremmo vivere per non lasciarci sfuggire nessun dettaglio di un mondo che va sempre più veloce. Per te quali sono le cose su cui davvero dovremmo soffermarci, quelle che non vediamo quando la giostra gira troppo velocemente?

Bella domanda! Sicuramente questi ultimi due anni ci hanno fermati, volenti o nolenti. Siamo stati bloccati in casa e nella vita sociale e relazionale, quindi ci siamo trovati a fare delle riflessioni. Penso ci siano cose fondamentali come la salute, la famiglia che meritano sempre di essere affrontate con calma, e poi una cosa su cui soffermarsi dovremmo essere noi stessi. Senza però una visione egocentrica, ma quella di noi stessi in relazione con gli altri, visto che abbiamo imparato che stare con gli altri ci è necessario.


Che rapporto hai con la tua città di origine, visto che alla tua regione dedichi anche una canzone nostalgica, Emilia, scritta mentre eri a Parigi?

Ci sono molto affezionato. Ora sono a Piacenza, dove sto molto bene, pur non essendo una grande metropoli che offre bellezze e doni. L’Emilia è ricchissima di paesaggi e cibo, ad esempio, ma l’esperienza di Parigi mi ha fatto sentire nostalgia di casa non in questi termini, quanto pensando alla mancanza del posto dove sono nato e cresciuto. Nella canzone ci sono anche immagini finte: a Piacenza non ci sono case di bambù, come dico nel pezzo. È più una visione infantile della propria casa, così come la vedrebbe un bambino pensando al suo “luogo sicuro”.

Visto che nell’album parli molto anche della tua vita universitaria a Milano, come sono state queste esperienze lontano da casa e che cosa ti porti dentro?

Vedi tante cose, ti sporchi di più le mani perché sei costretto a seguire dei ritmi più veloci. Essendo da solo, nessuno ti dà una mano e ti devi necessariamente svegliare. Per me è stato così: prima di andare a studiare a Milano ero molto pigro, indolente. Staccarmi un po’ dalle mie abitudini mi ha aiutato a realizzare che c’è un mondo diverso che non è fatto solo di divano e cavolate.

Un mondo dove non si vive “lentamente”, insomma.

Esatto! (Ride, ndr)


Una domanda che volevo farti da quando hai menzionato Lucio Dalla. Nell’album ci sono degli elementi che me lo ricordano molto, ma anche echi di Cremonini, due artisti che sono accomunati anche dalla regione di provenienza, la stessa tua. Sono solo impressioni? Che influenza hanno avuto su di te?

Le tue impressioni sono molto esatte! Ho scoperto Dalla intorno ai vent’anni e poi l’ho divorato, ascoltando tutto di lui e ripetutamente, quindi l’ho assorbito in qualche modo. Prima ancora di Dalla ero un ascoltatore di Cremonini. Sono anche andato a vederlo a San Siro, ero più giovane, ma lui è indubbiamente presente nel mio percorso, ed è quello che più mi viene indicato come reference, tendenzialmente. Casualmente fanno parte della mia stessa regione, ma è anche vero che ci sono regioni che sono molto fruttuose dal punto di vista musicale, ed è facile trovare cantautori che hanno lasciato il segno. Anche Guccini per me è stato un ascolto fondamentale, meno appassionato, ma comunque importante.

Il tuo disco d’esordio è stato prodotto interamente da Jacopo Sinigaglia, alias BRAIL. Come avete lavorato al disco e che pensieri vi siete scambiati per trovare il tuo sound?

Io gli ho presentato delle demo che avevo prodotto in casa, delle bozze più che delle pre-produzioni. Mi ricordo che all’inizio ha voluto parlare tanto, capire quali fossero i miei ascolti, cosa mi piaceva, dove volevo andare. Una cosa che in genere non è facile da tirare fuori quando non si sa bene come comunicarla. Lui invece è molto bravo in questo, non solo con gli artisti ma anche con i musicisti, e coglie subito le direzioni da prendere. Abbiamo lavorato spalla a spalla, scrivendo insieme gli arrangiamenti, e poi lui in alcuni punti ha dato una direzione più matura, dando i consigli giusti. Abbiamo registrato e suonato tutto in studio, una strada sempre meno percorsa, ma volevamo farla, lavorando in più fasi, a partire dall’estate di due anni fa fino a quella di quest’anno.

Come ti trovi con Bomba Dischi? È una delle etichette più importanti degli ultimi anni per il pop e l’indie di oggi… Come hai reagito quando hai saputo che avresti lavorato con loro?

Prima mandavo le demo alle etichette e pensavo sempre che Bomba Dischi tracciasse un po’ il solco, ho pensato “ma figurati se mi prendono”! Invece poi è successo, quindi per me è stato bellissimo e lo è tuttora. La cosa che mi stupisce e che apprezzo è il loro approccio umano, prima ancora che strategico e questa è la loro forza. Sono molto attenti a dettagli e aspetti che fare questo mestiere comporta.


Mi fai pensare che di solito molti dischi di oggi sono pieni di featuring per farli “funzionare”, mentre il tuo non ne ha. Avresti facilmente potuto avere il feat di qualcuno di Bomba Dischi, ma non è stato fatto. Perché?

Non è stata voluta come cosa, ma nemmeno era voluto il contrario. Non abbiamo mai pensato al fare un featuring, tutti i pezzi erano già completi nella scrittura, e quindi non c’era effettivamente bisogno dal punto di vista artistico. A livello strategico è facile pensare a soluzioni, però la forza è quella che ti dicevo prima: un approccio umano, passionale, con gli artisti che producono, quindi non ne abbiamo sentito né la necessità né la forzatura di farlo, e di questo sono contento.

Da subito insieme ai singoli di anticipazione e poi con la cover dell’album hai voluto accompagnare il tuo racconto con le tavole di Antonio Pronostico. Me le racconti? Che tipo di legame pensi ci sia tra arte visiva e musica?

Fin dall’inizio volevamo associare al progetto una parte grafica consistente, che rispecchiasse la mia scrittura, un po’ onirica, un po’ eterea. Pronostico è un illustratore che i ragazzi di Bomba già conoscevano, mi hanno detto subito di sì alla proposta. L’intento è creare un percorso parallelo a quello delle canzoni, che però lo rispecchi. Difatti di ogni singolo sono uscite tre tavole di Antonio, che raccontano un personaggio pilota (giocando su Tazio Nuvolari). Sono illustrazioni di momenti, senza una storia, ma paralleli ai brani.

Come sta andando la dimensione live?

Sono carico! Giovedì 4 novembre abbiamo fatto a Bologna la prima presentazione ufficiale, ed è stato molto bello. Stasera siamo all’Arci Bellezza di Milano, e siamo parecchio contenti. Poi ci saranno Roma il 19 novembre (al Monk) e Torino il 12 dicembre (all’Off Topic). Ci stiamo divertendo a portare questi pezzi dal vivo, e speriamo di continuare a farlo anche dopo. Ho visto il pubblico cantare, era lì anche per altri motivi ma la gente è attenta all’ascolto. In generale vedo gente disposta a fare più strada per andare a un concerto, c’è più voglia di partecipare a un momento così, forse perché tutti ne abbiamo sentito la mancanza.


Ascolta Lentamente di Nuvolari


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