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Boomdabash: «Il reggae ci ha salvati. Ci manca solo il feat. con Zucchero»

Abbiamo chiacchierato con Biggie dei Boomdabash che ci ha raccontato dei loro inizi, delle loro paure, e di un sogno ancora irrealizzato

Autore Silvia Danielli
  • Il4 Dicembre 2020
Boomdabash: «Il reggae ci ha salvati. Ci manca solo il feat. con Zucchero»

Boomdabash, foto: ufficio stampa

«Sapete perché abbiamo deciso di far uscire Don’t Worry, l’album con i nostri più grandi successi dal 2005 a oggi? Per i venditori abusivi in spiaggia. Siamo loro amici (la Universal non ce ne voglia!) e abbiamo notato che nelle loro cassettine o nei CD contraffatti loro inserivano già le canzoni del cuore dei nostri fan, quindi abbiamo pensato di farlo anche noi!». Scherzano (ma non troppo) i Boomdabash, la band salentina che presenta il nuovo disco con tre inediti in uscita venerdì 11 dicembre, di cui vi avevamo già parlato.

Gruppo che porta fieramente avanti da anni la bandiera del reggae tra chilometri macinati in furgone e tanta gavetta. Ma che magari in molti hanno iniziato a conoscere solo da Mambo Salentino, Karaoke (il video è stato il più visto su Youtube quest’anno), Non ti dico no, Per un milione, pezzi che hanno conquistato parecchi dischi di platino e il premio Power Hits Estate per tre anni di seguito.


Il singolo che ha fatto da apripista è stato Don’t Worry, uscito a metà novembre, ma stranamente non scritto appositamente per questo periodo. «Era già pronto a gennaio e abbiamo deciso di pubblicarlo ora perché è chiaramente un inno alla speranza. Siamo rimasti sorpresi dal feedback positivo perché i nostri fan ci amano ma sono anche molto critici! Quando ci discostiamo troppo si allarmano parecchio», racconta Biggie Bash, col quale scambiamo quattro chiacchiere.

In Don’t Worry è presente un coro di bambini al quale sembrate rivolgervi per placarne le ansie. Per voi qual è la più grande paura?

Io già sono ansioso e ipocondriaco di mio quindi per me non è facile. In fondo noi abbiamo la certezza di doverci preparare a quando le luci del mainstream si spegneranno e torneremo alla vita di prima. Prima o poi vedremo la calata del sipario. Perché è giusto così: riguarda tutti, a parte i mostri sacri. E certo un po’ temiamo quel momento.


Avete inserito nell’album anche brani conosciuti magari dai fan della prima ora come Danger e She’s mine, quando certo non facevate i numeri incredibili di oggi. Quando eravate un gruppo di nicchia avete mai pensato di mollare?

Mai. Pensiamo che ogni persona nasca con uno scopo nella vita e noi conoscevamo il nostro. Anche se abbiamo attraversato dei momenti duri, abbiamo sempre pensato di dover perseverare e abbiamo tirato dritto per la nostra strada. Certo, ci vuole anche un po’ di fortuna ma in realtà sono più importanti l’impegno e lo spirito di sacrificio!

Ci sono altri due inediti, oltre a Don’t Worry, uno è Marco e Sara

Per il sound ricorda i primi Boomdabash, di quando abbiamo portato i ritmi della Giamaica in Italia. Il testo racconta la storia di due ragazzi di paese che non hanno molte prospettive davanti a loro e cercano di sbarcare il lunario come possono. Immaginiamo siano nel Sud Italia ma potrebbero essere ovunque! Vogliamo lanciare un messaggio semplice: nonostante le difficoltà è possibile andare avanti se ci sono valori e ci si vuole bene.

La cover di Don’t Worry, il Best Of dei Boomdabash in uscita venerdì 11 dicembre

L’altro inedito che avete scritto è un pezzo quasi autobiografico, Nun Tenimme Paura con Franco Ricciardi, dove raccontate anche le situazioni difficili che avete vissuto.

Altrochè! Spesso la vita difficile di un artista viene sfruttata solo per aumentare la credibilità. Noi invece fino a ora abbiamo tenuto nascosto quel lato. Ma è giusto che si sappia che siamo 4 ragazzi cresciuti praticamente per strada, in anni in cui non era scontato trovare delle vie positive, anzi. I sacrifici sono stati tanti nell’infanzia, per motivi economici e famigliari. Abbiamo vissuto nella patria della Sacra Corona Unita, quando era ancora molto potente. Abbiamo visto il coprifuoco ufficiale! Non per il Covid ma per la mafia. Dalle 9 di sera alle 6 del mattino era meglio se stavi a casa perché potevi ritrovarti in una sparatoria. Per il nostro primo album, per esempio, noi avevamo lo studio in una casa in campagna, e quando avevamo quasi finito di registrare tutto ci rubarono tutto. Ma tutto, capito? Era solo per sfregio ma noi ci siamo rialzati.

Che cosa ha rappresentato per voi il reggae?

Non è solo una musica partita da lontano che ha conquistato il globo ma è anche una filosofia di pensiero con risvolti politici e sociali. Noi salentini lo sappiamo bene, posso dire che siamo stati i primi in Italia, ma anche in Europa ,a contribuire al suo radicamento nel territorio. Gran parte del merito va ai Sud Sound System, certo. Ma già quando eravamo piccoli e giocavamo a pallone sentivamo uscire dalle casse delle macchine che passavano le note in levare! Poi ognuno di noi non ascoltava solo reggae. Io, per esempio, amavo anche il punk: Joe Strummer con i suoi Clash era una sintesi perfetta!


Avete collaborato con moltissimi artisti in questi anni, da Alessandra Amoroso a Loredana Bertè, da J-Ax e Fabri Fibra a Rocco Hunt, Jake La Furia e Alborosie. Chi vi manca ora?

Te ne dico uno su tutti: Zucchero. Ma non capiterà mai, già lo sappiamo. Però se dovesse capitare…

Se succederà, ricordati di noi!

Certo. Alla fine era capitato anche con Loredana Bertè: avevamo detto che ci sarebbe piaciuto tanto cantare con lei e poi il suo entourage ci ha contattato. Chi può dirlo!

Potete leggere l’intervista integrale sul prossimo numero di dicembre/gennaio di Billboard Italia.

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