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La Niña: «Napoli è tornata musicalmente ai livelli degli anni ’70»

L’artista partenopea ha appena pubblicato il nuovo album “Vanitas”, un misto di mediterraneità e cupezza nordica. L’abbiamo incontrata

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il27 Marzo 2023
La Niña: «Napoli è tornata musicalmente ai livelli degli anni ’70»

La Niña (foto di KWSK NINJA)

La Niña è un nome al quale si guarda con interesse già dai primi singoli usciti dopo la conclusione del progetto Yombe.

In un pezzo come Croce, con quel suo piano trattato giustapposto a desolati paesaggi elettronici, si intuivano il potenziale e l’originalità di un’estetica che necessitava però di maturare gradualmente la strada per esprimersi in modo compiuto.


Nel corso di quattro anni inevitabilmente segnati dalla pandemia, il progetto e l’identità artistica de La Niña sono giunti a un primo stadio di completa maturazione. Le otto tracce del nuovo lavoro Vanitas ci mostrano un’artista e un team produttivo ispirati e con le idee chiare.

Le promesse sono diventate realtà, ma l’idea che ci siamo fatti, anche assistendo allo showcase di presentazione del disco, è che questo livello di consapevolezza non sia tanto l’apice di un percorso, quanto piuttosto uno start verso nuovi traguardi e ambizioni.


Ne abbiamo parlato con la titolare, come sempre affiancata da Alfredo Maddaluno, alias KWSK NINJA, l’art director del progetto.

Ascolta Vanitas de La Niña

Sono passati due anni abbondanti dall’ultimo tuo lavoro come La Niña, Eden. Come li hai trascorsi a livello creativo?

Gran parte del tempo è stato investito in un lavoro di scrittura e di ricerca sia testuale sia sonora. Volevo che il suono fosse più incisivo e anche in qualche modo più violento. Insieme a KWSK NINJA abbiamo estremizzato il suono di Eden grazie all’uso dell’elettronica, rendendolo più freddo e più acido.

Ci sono anche dei sample vocali, giusto?

Esatto. Volevamo che la voce esistesse non solo come cantato ma anche come timbro processato.

Anche il cantato vero e proprio mi sembra diventato più ritmico e più fisico. È una cosa legata all’uso particolare che fai del corpo nell’ambito del tuo universo espressivo?

Senz’altro. Anzi, è come se il corpo guidasse la voce e viceversa. Non mi interessa lavorare sulla prestanza fisica o sulla bellezza nel senso tradizionale del termine, ma sulla possibilità di usare liberamente il corpo come strumento espressivo. Tutto il corpo, anche la voce.


Nello showcase di presentazione del disco abbiamo visto un assaggio dello spettacolo che porterai in tour. Come sarà il live completo?

Premetto che non vedo l’ora di poter ritornare alla dimensione live. La musica esiste veramente quando la puoi condividere in presenza col pubblico. Inutile dire quanto questa possibilità mi sia mancata durante tutto il periodo della pandemia. Per i concerti del tour, che verranno annunciati più avanti, sul palco ci sarà un power trio composto da me, KWSK NINJA e MATTPARISI.

Sul palco oltre al movimento e al canto suonerai qualche strumento?

Sì, suonerò la mia chitarra, che è una chitarra classica, non acustica, del 1810. Durante lo spettacolo ci sarà una parte in cui chitarra e voce saranno protagoniste. È una dimensione più intima alla quale tengo molto.

Senza voler parlare di influenze, in quanto il tuo è un percorso originale ed autonomo che dura da tempo, l’accostamento fra tradizione mediterranea ed elettronica potrebbe riportare a un personaggio come Rosalía.

Come reference non può che farmi piacere. Parliamo di un’artista che è riuscita a superare il limite dei Latin Grammy per accedere alla categoria dei Grammy veri e propri, pur mantenendo una propria identità artistica inconfondibile e di ricerca.

Potrebbe accomunarti a lei un’idea di leadership al femminile a tutto tondo, che va dalla musica all’estetica fino alla comunicazione, in cui sono gli uomini a dare un contributo e non il contrario?

Posso solo dirti che nel caso del progetto La Niña c’è un’integrazione di ruoli che avviene fra esseri umani e fra artisti, più che fra identità di genere.


A proposito di identità di genere, è innegabile l’appeal che il personaggio La Niña ha sulla comunità LGBTQI+. A cosa attribuisci questa intesa?

Come accade sempre in questi casi, non credo ci sia una ragione particolare. È come quando due persone entrano reciprocamente in empatia. Succede, e ne sono felicissima.

Forse dipende dal tuo modo di raccontare l’amore nei suoi risvolti più intensi e passionali, a volte anche “drama”, oppure dalla tua fisicità?

La passionalità, la gelosia, una narrazione netta dei sentimenti certamente sono nelle mie corde. A proposito di fisicità, penso che il mio modo di vivere la mia femminilità sulla scena, l’espressività corporea, anche la sensualità e l’eros, non sia “sessualizzato”.

Anche la collaborazione con Myss Keta e Big Mama va nella stessa direzione queer, no?

Certamente, Myss Keta è una vera e propria icona. XTC è un brano veramente pazzo, con una produzione fantastica. Visto che dovevo intonare un ritornello che faceva “ecstasy, ecstasy”, mi sono sbizzarrita a tirare fuori una voce “acida” che rendesse lo spirito ironico del pezzo.

La Niña - Vanitas - intervista - foto di KWSK NINJA - 2
La Niña (foto di KWSK NINJA)

Come vivi la rinnovata attenzione che c’è intorno a Napoli e alla sua cultura?

È una delle cose che hanno rinverdito il mio legame con la città. Questo ritorno c’è già da qualche tempo, forse i primi segnali si sono colti con la serie Gomorra. Adesso però Napoli è esplosa ed è ritornata, sia musicalmente che come ambiente sociale, ai livelli degli anni ’70, ’80 e ‘90.


Ci sono luoghi da frequentare, dove scambiarsi esperienze, dare vita a progetti. Non sono da sola: ci sono diversi artisti ai quali mi sento particolarmente vicina, non importa che siano i Thru Collected o Franco Ricciardi, giusto per fare degli esempi.

A proposito di serie TV, ci sveli qualche anticipazione su La voce che hai dentro, la serie televisiva con protagonista Massimo Ranieri alla quale partecipi come attrice e alla colonna sonora?

Cantare e recitare con Massimo è stata un’esperienza di grande crescita. Ho anche scritto e interpretato metà delle canzoni della colonna sonora. Il mio è uno dei ruoli principali. Sono Regina, una trapper coraggiosa e atipica, mentre Massimo fa la parte di un discografico corretto, d’altri tempi, ma frainteso dalla società. Sarà proprio Regina ad aiutarlo a uscire dalle situazioni problematiche e ad avere la meglio sul cattivo della situazione, interpretato da Gianfranco Gallo.

Quello di Napoli è un linguaggio universale e tu stessa hai vissuto per dei periodi anche all’estero. Pensi che il tuo sia un progetto esportabile?

Incrocio le dita. Nei decenni c’è stata prima un’attenzione per la Francia, poi lo spot si è spostato sulla Spagna, adesso potrebbe ricadere su Napoli, anche perché in generale mi sembra un buon momento per la musica italiana all’estero.

Sicuramente nel disco c’è un momento internazionale, il duetto con Mysie, che è anche un video molto bello e poetico. Mi racconti com’è nato?

Quando abbiamo finito di lavorare alla prima stesura di Blu, Alfredo (ovvero KWSK NINJA) non era convinto della durata, sentiva che mancava una strofa a rendere completo il tutto. Da parte mia però ritenevo di avere detto tutto, anche se condividevo l’idea che mancasse qualcosa.


Il featuring con Mysie è nato da questa esigenza. Ci eravamo conosciute via social e ci eravamo piaciute subito. Ho provato a sondare il terreno, inviandole il pezzo, senza aspettarmi troppo. Invece sette ore dopo mi ha scritto che si era già messa al lavoro. Sono molto contenta del risultato, anche del video, che è opera di KWSK NINJA.

A proposito di aspetti visuali del progetto, mi parli della copertina, molto particolare, dell’album?

Rappresenta la Vanitas del titolo. Si tratta di una idea di KWSK NINJA, che ha interagito con l’intelligenza artificiale, chiedendole di combinare la mia immagine con elementi delle opere di Salvator Rosa, un pittore e incisore napoletano del ‘600. Nel quadro c’è una atmosfera cupa, misteriosa, stregata, da “cabinet of curiosities”, l’armadio che custodisce e da cui fuoriescono paure, sortilegi, amuleti, in una dimensione tutta simbolica.

La “Vanitas”, come genere pittorico, è un’allegoria della caducità della vita, dipinta in forma di natura morta. Fu un genere molto diffuso nella Napoli barocca, ma legato ai pittori fiamminghi. Rispecchia la mia personalità e la mia musica, che sono anch’esse un misto di mediterraneo e di cupezza nordica.

Soprattutto nei primissimi momenti della tua carriera solista sei stata accostata ai personaggi più disparati. Ho letto Liberato, Teresa De Sio, Jenny Sorrenti, per dire solo i primi nomi che mi vengono in mente. Ti dà fastidio?

Credo sia un buon segno. Se i nomi cambiano ogni volta, vuol dire che, nel bene come nel male, fai una cosa che è solo tua. Per il resto la mia musica deriva certamente da tutto ciò che ascolto. Ci saranno sempre dei singoli passaggi o un particolare che potranno ricordare qualcosa. Ma francamente penso di non somigliare a nessuno.


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