Spirito e radici: Zucchero racconta il suo album “D.O.C.”
Zucchero lancia il suo nuovo disco “D.O.C.” e ci parla di scoperte, giudizi sulla società di oggi e del legame sempre più forte con le sue radici
Ci sono alcune parole che restano in testa dopo l’ascolto di D.O.C. e dopo il racconto di questo disco da parte del suo coraggioso artigiano, Zucchero. Tra queste ci sono sicuramente “spirito”, “oggi”, “libertà” e “radici”. Perché?
Proviamo a raccontarvi il disco, uscito oggi venerdì 8 novembre (Polydor/Universal Music), proprio attraverso queste parole chiave.
Spirito
«Per scrivere i testi, sono partito pensando a questo mondo, alla mia vita, alla vita della gente che mi circonda. Rileggendoli, mi sono accorto che in ogni canzone parlo di una luce, di uno spirito, quasi come se ci fosse un inizio di redenzione per un ateo incallito come me», ci racconta. Ma quindi è ufficiale un avvicinamento alla fede da parte di Sugar? «No, o perlomeno non al Dio dei cristiani. Non so cosa sia», ci confessa. «Tendo a sottolineare i mali di questo tempo sempre con una speranza. Se volete, chiamatela “fede”. Ma non è una cosa nuovissima: ad esempio molti pensano che in Così Celeste io parli del rapporto con la mia donna, invece parlo della fede (della fede in qualcosa)».
Questo dibattito sull’interiorità di Zucchero lo apre a una confessione: «Sono molto geloso del mio album perché ho toccato parti molto intime di me». E spiega un episodio: «Quando il prete veniva a benedire casa, mio padre, della bassa del reggiano, se ne andava. E anzi: si toccava pure i maroni perché diceva che portava sfiga» (ride, ndr). Continua: «Però, qualche anno dopo l’inizio della sua malattia degenerativa, ha fatto entrare il prete. E l’ho visto farsi il segno della croce con gli occhi lucidi. Lì mi ha scioccato».
Oggi
L’uscita di questo bel disco formato da 11 brani (+ 3 bonus track) è l’occasione per Zucchero di dare un giudizio sul panorama culturale e sociale di oggi. «I tempi non sono così goliardici e sereni. La scelta del titolo del disco mi ha fatto un po’ tribolare. Cercavo un titolo che rispecchiasse questo album, che è apparentemente semplice ma molto complesso, anche perché comprende tanti generi musicali», racconta. «Il primo titolo che mi era venuto in mente era Suspicious Times, perché questi sono tempi sospetti. Con molta apparenza e poca sostanza». Di questo mondo dice infatti che «è una pentola in ebollizione che spero non scoppi mai» e tira pure una stoccata: «Per fortuna abbiamo politici non carismatici».
Alla fine, comunque, il titolo scelto è stato D.O.C.. Come mai? «Ero lì che giravo per la mia fattoria e parlavo con i contadini. Parlavamo di prodotti D.O.C., che bisogna andar pian piano verso quella direzione, … E mi sono convinto. Poi, però, una volta che avevamo già deciso questo titolo, mi sono accorto che significava anche “Disturbo Ossessivo Compulsivo”, ma vabbè… va benissimo così», scherza.
Libertà
Il singolo che ha anticipato l’uscita di D.O.C. è Freedom, un brano potente che, in realtà, parla molto alla società di oggi. «Quando ho pensato alla libertà, mi sono detto: ma siamo davvero liberi? No. Quella di oggi è una finta libertà, perché siamo controllati continuamente. Siamo guidati e condizionati. È una libertà apparente e io cerco di essere il più libero possibile». Come? «Mi sono trasferito in un paesino in mezzo ai monti, con pochi amici».
Il mondo intorno, però, a volte è troppo pieno di falsità: «Il mio brano Vittime del Cool parla di questo. Io mi sento controllato da gente che vuole solo essere “cool”. Non so perché ci sia questo bisogno di esserlo a tutti i costi. Vorrei che la gente si manifestasse interamente com’è. Nuda», spiega.
Radici
Il progetto discografico di Zucchero – che da aprile a dicembre 2020 sarà impegnato in un tour mondiale che comprende anche dodici concerti all’Arena di Verona – ha un sound internazionale. In fondo, l’artista è perennemente in giro per il mondo per live e super eventi. Ma c’è un punto fermo nella vita personale e artistica di Zucchero, ossia il suo rapporto stretto con le sue radici. Fonte di ispirazione e necessità. Rispetto a questo ci ha raccontato: «Io sono malato delle mie radici. Più vado avanti negli anni e più sono profonde. Un esempio? Mi piace usare qualche volta frasi in dialetto. Quando sono in giro per il mondo, penso alla mia infanzia e sono felice. Quando sono stressato, penso a quello», confida. «Anche con Pavarotti – che era universale – si parlava spesso in dialetto».
Riguardo a questo, c’è anche tempo per un approfondimento del suo ruolo di cantante italiano (che canta nella nostra lingua) all’estero. «Mi dicevano: “Non puoi andare in Inghilterra o in America e cantare in italiano” ma io mi ero rotto i coglioni. Perché noi accettiamo quando gli artisti stranieri vengono a cantare da noi in inglese ma non può valere l’opposto? E poi le traduzioni, gli adattamenti, non vanno bene per pezzi come i miei», racconta. E provoca: «Come avrei potuto tradurre in inglese Solo una Sana e Consapevole Libidine Salva il Giovane dallo Stress e dall’Azione Cattolica?».
Insomma, questo album di Zucchero – che vede pure la presenza di Frida Sundemo come unica ospite («Corrado Rustici mi ha consigliato di ascoltare le sue cose e ho scoperto canzoni per nulla scontate») e che comprende anche un testo scritto con Davide Van De Sfroos («Di lui, De Gregori mi aveva detto: “Ha una vena poetica che mi piace molto. Tienilo d’occhio perché voi due sicuramente siete in sintonia”») – racconta alla perfezione il punto artistico e umano in cui è arrivato l’artista. Ed è un ritratto davvero affascinante e, sì, pieno di contenuto.