Pop

“Cracker Island” è l’isola pop dei Gorillaz che aspettavamo. La recensione

L’album che esce oggi della band virtuale di Damon Albarn sembra fotografare lo stato della musica contemporanea. Alert: ci sono molti gioiellini, tra cui sicuramente “Tormenta” con Bad Bunny

Autore Tommaso Toma
  • Il24 Febbraio 2023
“Cracker Island” è l’isola pop dei Gorillaz che aspettavamo. La recensione

Dalla copertina dell'album "Cracker Island" dei Gorillaz

Devo ammetterlo. Quando comprai appena uscito il 12” di Tomorrow Comes Today pensai che Gorillaz fosse solo un divertissement di inizio millennio per Damon Albarn e il suo amico disegnatore Jamie Hewlett.

13 era un ottimo album dei Blur, ma era venuto il momento per Albarn di provare qualcosa di nuovo. Un progetto per liberarsi dalle maglie sempre più sfilacciate della scena indie pop rock UK che era apparsa granitica e invincibile durante gli anni ’90.


La produzione di Dan The Automator di quei quattro brani doveva essere un indizio per far capire che da quel momento Damon Albarn avrebbe accolto nella casa dei Gorillaz, un numero spropositato di guest. Ma non colsi l’indizio fondamentale di una storia che oramai è più che ventennale. Con Cracker Island, che esce oggi, siamo a otto album e gli artisti che sono stati coinvolti da quel lontano 2000 sono stati moltissimi.

La solidità dei Gorillaz (il triumvirato Murdoc, 2D, Noodle e Russel) si è vista anche durante l’ultimo world tour che ha visto la band portare il suo spettacolare circo multimediale per 55 date in 24 paesi con oltre un milione e mezzo di fan accorsi.


Una fortissima sensibilità pop

Cracker Island sembra mettere a fuoco con grande precisione e compattezza (il disco non è eccessivamente lungo) lo stato del pop contemporaneo. In un’epoca drammatica come la nostra, appena reduci dalla prima grande pandemia e dove si stima che un terzo dell’economia mondiale sarà in affanno circondati da guerre sull’orlo di essere mondiali, ecco che la musica pop riprende smalto.

Lo vediamo dall’estremo Oriente al mondo Occidentale con le produzioni di Harry Styles, Taylor Swift, The Weeknd, BTS su tutti. L’hype sul genere è altissimo, contagia anche noi critici, basta leggere l’eccessivo entusiasmo per il nuovo album di Caroline Polachek che sta tentando di diventare una sorta di nuova Kate Bush (forse anche per una certa somiglianza fisica?). Anche nel nostro confine italico alla fine a Sanremo ha vinto una canzone melodica, pop che si rifà alla scuola classica dei cantautori (Dalla su tutti) e non Cenere di Lazza.

Cracker Island dei Gorillaz

Ma torniamo ai Gorillaz, che per questo album non eccedono in guest e, ancor più delle precedenti occasioni, sembrano davvero funzionali alla canzone dove sono coinvolti. Subito la title track, un robusto synth pop funk con il basso travolgente di Thundercat e la sua voce perfetta a fare da contralto al tono di Albarn, siamo ai livelli di Dare. Oil con la signora del rock Stevie Nicks dà forma ai desideri del batterista Russel Hobbs che nel comunicato stampa di presentazione dell’album dichiara: «Cracker Island è una lettera d’amore degli anni ’70 a Los Angeles. Velluto a coste, capelli folti, feste in piscina, un’epoca diversa in cui oggi mancavano ancora mille domani. Siediti e festeggia come se fosse il 1979». L’album in effetti parte proprio a L.A. con l’aiuto dell’ex The Bird And The Bee, Greg Kurstin, oramai superstar delle produzioni pop, una sorta di Phil Spector dei giorni odierni.

Si scivola sul velluto con The Tired Influencer, che pare un momento intermedio, di passaggio nell’ascolto di un album che dal punto dei testi è squisitamente concettuale, punta il dito verso il metaverso, l’overdose dei social, e ossessioni religiose come si capisce ascoltando la successiva Silent Running.


Abbiamo già imparato a conoscete New Gold con Tame Impala. Kevin Parker si sente a suo agio anche con il rapper non più giovanissimo Bootie Brown dei The Pharcyde (si aspettano remix ibizenchi e psichedelici per questa estate). Baby Queen (ispirata a un concerto dei Blur in Thailandia con la piccola regina locale che diede non poche preoccupazioni alle guardie del corpo durante Song 2) è piacevole ma niente più.

Il gioiellino: Tormenta con Bad Bunny

E poi dopo l’altro pezzo di respiro, Tarantula, ecco arrivare il piccolo gioiellino del disco (amatissima anche alla listening session che noi di Billboard Italia abbiamo fatto ieri con fan nella sede della Warner Music): Tormenta con Bad Bunny dove Damon Albarn sa adeguare i suoi toni melanconici anche in occasione della sua prima composizione che si avvicina al reggaeton. Un brano solare e con la sua giusta componente sexy che il genere si porta con sé. I Gorillaz portano la campagna inglese anche in mezzo alle palme, un tocco di spleen dentro generi lontanissimi, come aveva fatto qualche anno fa James Blake nel crepuscolare trap Mile High coinvolgendo Travis Scott e Metro Boomin.

Dopo la bipolare Skinny Ape (da placida si trasforma in coro da hooligans) il nuovo lavoro di Damon e compagni finisce con il ritorno di Beck sui dischi dei Gorillaz, un finale anche questo dai toni melanconici e un tocco di tromba che ricorda la meravigliosa Nantes dei Beirut di Zach Condon.

Adesso non ci tocca che aspettare i Blur dal vivo, per la data a Wembley la band ha coinvolto il godfather Paul Weller e i Selecter. Le origini non si scordano mai.


Share: