“Deadbeat” dei Tame Impala ci fa ballare sulla malinconia
Il quinto disco della “one man band” australiana è un viaggio attraverso le numerose sfumature della musica dance, anche se i testi sono tutt’altro che allegri e spensierati

Foto di Julian Klincewicz
Venerdì 17 ottobre è uscito Deadbeat, il nuovo album dei Tame Impala. In soli quattro album, la “one man band” del talentuoso polistrumentista e cantante Kevin Parker si è affermata come una delle realtà più interessanti e influenti degli ultimi quindici anni. Etichettare la loro musica in un unico genere è pressoché impossibile, tante e tali sono le influenze nel loro sound. Uno stile sospeso tra la psichedelia degli anni ‘60, il funk degli anni ‘70, il pop-dance degli anni ‘80 e l’elettronica contemporanea.
Kevin Parker, che compone, canta, arrangia e suona praticamente tutti gli strumenti, ha collaborato negli ultimi anni con artisti del calibro di Dua Lipa, The Weeknd, SZA, Lady Gaga, Travis Scott, Mark Ronson, Gorillaz e Rihanna. Il Grammy vinto meritatamente all’inizio del 2025 insieme ai Justice per il singolo riempipista Neverender ha convinto definitivamente Parker a cimentarsi con la musica dance per un album intero.
Il nuovo album dei Tame Impala, Deadbeat
Ispirato alla cultura bush doof e alla scena rave dell’Australia Occidentale, Deadbeat dei Tame Impala è un album che probabilmente dividerà in due il pubblico. I fan della prima ora, affezionati allo psych rock riverberato ed etereo di Innerspeaker e Lonerism, probabilmente rimarranno spiazzati da alcuni beat tipicamente hard techno dell’album. In Deadbeat i sintetizzatori, le drum machine e le tastiere hanno quasi completamente soppiantato le chitarre, che troviamo solo in alcuni brani più funky (Dracula, Afterthought).
Gli amanti dell’elettronica e della dance più malinconica potrebbero, invece, apprezzare questa svolta “danzereccia” dei Tame Impala, un plot twist arrivato, curiosamente, dopo la paternità. Non a caso sulla copertina dell’album troviamo Kevin Parker che abbraccia teneramente sua figlia Peach di quattro anni, a cui si è aggiunta, da qualche mese, la piccola Rose, nata all’inizio del 2025.
Dopo aver ampiamente esplorato il concetto del tempo in The Slow Rush del 2020, Deadbeat si concentra sulle più piccole sfumature delle emozioni quotidiane, sul senso di inadeguatezza nonostante il successo, sulle aspettative dei fan, sul rapporto non sempre facile tra vita domestica e desiderio di escapismo. Fin dal brano iniziale My Old Ways, con la cassa in quattro quarti, il suo groove piano-house anni ’90 e le sue influenze baleariche, appare evidente che ci troviamo in una nuova era musicale dei Tame Impala.
Fra ballo e introspezione
Si continua a ballare con la ritmica quasi tribale di No Reply, dove Kevin Parker alterna il consueto falsetto a una voce più baritonale, fino al suggestivo finale in cui il beat si placa, lasciando spazio a un malinconico solo di pianoforte. Dracula, un irresistibile electrofunk che stizza l’occhio alle atmosfere dark di Thriller di Michael Jackson, sembra pensato apposta per movimentare le feste di Halloween 2025.
I ritmi rallentano nella cupa e stratificata Loser, quasi uno sfogo di Parker con tanto di sospiri fuori microfono: “Ho capito il messaggio, ho imparato la lezione. Ho provato a correggermi, ma credo di aver rovinato tutto”. Curioso che colui che si definisce “perdente” sia uno dei produttori più ricercati della scena mainstream e uno degli uomini più ricchi d’Australia: è proprio vero che l’autostima prescinde del tutto ai traguardi raggiunti.
Mentre Not My World e il primo singolo estratto End of Summer sono brani minimalisti con un solido beat techno in primo piano, Oblivion è una sorta di reggaeton freddo e “spaziale”: sembra quasi un brano realizzato da J Balvin insieme ai Kraftwerk. Ethereal Connection, della durata di oltre sette minuti, ci ha ricordato la magia di Born Slippy degli Underworld per la sua capacità di alternare sonorità da rave ad avvolgenti melodie ricche di pathos.
Obsolete è un brano costruito su una coinvolgente ritmica hip hop anni ‘80, mentre See You on Monday (You’re Lost), con le sue armonie vocali angeliche alla Brian Wilson, rappresenta il momento più morbido e intimista di Deadbeat. Si torna a ballare con le sonorità italo disco di Afterfought, con una la linea di basso synth che evoca le atmosfere noir di Thriller, mentre i sintetizzatori si accumulano e si sovrappongono.
Un disco sincero
Realizzato tra la città natale di Parker, Fremantle, e il suo studio, il Wave House a Injidup, nell’Australia Occidentale, Deadbeat è un viaggio catartico di dodici tracce e 56 minuti in una nuova era musicale dei Tame Impala. Il famoso perfezionismo di Kevin Parker lascia qui spazio a una maggiore spontaneità nella composizione e soprattutto nella produzione, per restituire all’ascoltatore l’energia selvaggia dei ravenella Western Australia. I brani sono più scarni e minimalisti rispetto al precedente The Slow Rush, mentre i testi sono tra i più diretti e sinceri della sua carriera.
Parker è un uomo di quasi 40 anni che, nonostante la paternità e il successo, sta ancora lottando contro i suoi demoni interiori e non fa nulla per nasconderlo. Deadbeat è un album che invita al ballo e al tempo stesso all’introspezione, che esalta la dimensione corporale della musica ma, al tempo, stesso la sua capacità di instaurare un dialogo diretto con l’ascoltatore. Un disco che fa muovere le gambe, ma che invita anche a fare i conti con la propria malinconia, prima che l’ultimo brano finisca.