George Ezra: la scia del successo da Budapest a Barcellona
Ha una voce che rende unica ogni interpretazione. Non a caso il secondo album di George Ezra, “Staying at Tamara’s”, è tra i più venduti nel Regno Unito
Ha una voce che rende unica ogni sua interpretazione. Non a caso il secondo album in studio di George Ezra, Staying at Tamara’s (uscito lo scorso marzo), è al momento tra i più venduti dell’anno nel Regno Unito. Ma la sua sicurezza sul palcoscenico si accompagna alla quasi inevitabile fragilità con cui ogni ragazzo di venticinque anni deve fare i conti. Soprattutto quando da un momento all’altro (come è accaduto a lui con la pubblicazione della hit Budapest) ci si trova ad avere gli occhi del mondo puntati su di sé. George Ezra tornerà ad esibirsi dal vivo nel nostro Paese con una data al Fabrique di Milano il prossimo 26 ottobre (e per l’anno prossimo è già confermato il live del 17 maggio al Mediolanum Forum). Ecco cosa ci ha raccontato.
Il tuo nuovo album Staying at Tamara’s è stato particolarmente apprezzato da pubblico e critica. Ce lo racconti?
È come se fosse il mio primo disco, davvero. Avevo l’opportunità di andare via un mese. Sono stato a Barcellona ma, invece di andare in un hotel, ho scelto un Airbnb. Sono stato da questa ragazza, Tamara, che non conoscevo. Volevo qualcuno che fosse del posto e che potesse consigliarmi cosa fare, cosa vedere e così via. Non avrei potuto fare esperienza migliore: per me stesso e per il disco, che è davvero rilassato e genuino. Sono felicissimo di essere tornato in questo modo.
I viaggi influenzano la musica, non è vero?
Assolutamente sì. Ho alcuni amici musicisti che sono capaci di sedersi e scrivere canzoni. Li ho sempre invidiati. Io ho bisogno di uscire, di conoscere gente, di girare. Prendo sempre nota di tutto. Anche per una sola parola, un’unica frase.
Ti senti cambiato come autore rispetto al tuo primo disco Wanted on Voyage?
Sai, credo di essere cambiato molto. Anche perché il primo album l’ho scritto principalmente per me stesso: non sapevo chi fosse il mio pubblico. Nel momento in cui ho registrato quel progetto non avevo mai suonato di fronte a un pubblico enorme come quello dei festival, non mi ero mai esibito su palchi di grandi dimensioni. Sono passato in pochissimo tempo dal suonare di fronte a 500 persone all’esibirmi davanti a 10mila. È cambiato soprattutto il mio approccio, il mio modo di produrre musica.
Dopo un debutto enorme come quello che hai avuto con Budapest non dev’essere stato semplice sentirsi libero di scrivere, di produrre, senza avere quel brano come continuo punto di paragone. Hai mai avuto questo tipo di pensieri? Se sì, come li hai affrontati?
Dopo l’uscita del primo disco ero sempre più consapevole di quanto assurdo fosse tutto quello che mi stava succedendo. Non mi è mai sembrata una cosa normale. Una parte di me, però, non si preoccupava di quello che stava accadendo: non ero mosso dall’idea di dover replicare per forza un successo come quello. Quando sei in studio di registrazione, devi rendere felice in primis te stesso. Ovviamente sentivo delle pressioni, perché volevo migliorare, diventare sempre più bravo, dimostrare la mia crescita. Anche la mia casa discografica voleva che avessimo un altro successo, ma un artista non può lasciare che questo diventi determinante. Sai qual è la verità? Che è molto difficile capire cosa sta succedendo intorno a te. Sono la tua famiglia, il tuo management e la tua band a vedere tutto in modo più oggettivo.
Negli scorsi mesi hai parlato spesso di ansia. Come mai hai deciso di condividere un fattore come questo con il tuo pubblico?
Io non pensavo che le persone sarebbero state così tanto interessate a questa cosa. Ho parlato dell’ansia perché stavo raccontando alcuni testi delle mie canzoni e, per spiegare alcune frasi, ho dovuto affrontare questo tema. Poi, però, mi è stato chiesto spesso di parlarne.
Questa cosa ti ha dato fastidio?
No, assolutamente. Non è una cosa che ha un effetto determinante su di me. È come se fosse uno “spettro” che può colpire chiunque: tutti noi possiamo essere colpiti dall’ansia, in maniera più o meno forte. Ci sono momenti in cui la sentiamo per giorni e giorni e non riusciamo a uscire di casa. Ci sono altre volte, invece, in cui la sperimentiamo solo per cinque minuti nel corso di una giornata. Credo che ognuno di noi dovrebbe occuparsi anche della propria salute mentale, buona o cattiva che sia. L’ansia mi coglie di tanto in tanto, ma posso comunque vivere la mia vita quotidiana serenamente. Quando ho visto che le persone apprezzavano il fatto che avessi parlato di ansia, ho pensato: «Ok, magari facendolo posso aiutare qualcuno». E così sto facendo.
Ascolta Staying at Tamara’s di George Ezra in streaming
Ti ascoltano tanti ragazzi…
Esatto, sono consapevole che tanti giovani ascoltano le mie canzoni e magari pensano: «Oh, anche lui prova questa cosa. Quindi non è un grosso problema se anch’io mi sento così».
Sul palco sembri un ragazzo molto sicuro di sé e si vede che è un luogo dove ti senti decisamente a tuo agio. Ma com’è la vita quando si scende dal palcoscenico? C’è qualcosa che ti fa soffrire?
Sì. E credo che sia normale. Ho 25 anni e sono abbastanza convinto che chiunque abbia questa età passi attraverso una fase in cui si prova a trovare il senso di quello che si è e di quello che si fa. È quella fase in cui cerchi di capire come funziona il mondo intorno a te. Non è strano. Anche tu hai questa età, mi puoi capire. Anche tu sicuramente penserai: «Ma cosa sto facendo della mia vita?». E questo non ha a che fare con il successo: internamente è uguale per tutti. Siamo nella fase in cui stiamo diventando grandi. Non siamo più dei ragazzi ma allo stesso tempo non ci sentiamo nemmeno uomini. Siamo degli uomini-bambini, immersi nel nulla, mentre cerchiamo di capire tutto quello che c’è intorno.
C’è un brano del tuo nuovo disco che ami di più? E perché?
Sì, credo di adorare Shotgun. Perché mi rende felice. Ma anche Get Away. Oddio, mi piacciono tutte in realtà. Anzi: forse la canzone di cui vado più orgoglioso (soprattutto per il testo) è la prima del disco, Pretty Shining People.
Pronto per il concerto del prossimo 26 ottobre a Milano?
Certo. Ci sarà una bella formazione sul palco. Voglio che ci sia una sensazione super positiva per il pubblico. Non vedo l’ora.