Ghali: «Ho detto “Cara Italia” ma ogni tanto anche maledetta Italia»
Tutti i lati di Ghali nel nuovo DNA che esce oggi: la rottura con Charlie Charles e gli altri, il suo nuovo modo di comporre e la prima canzone d’amore
Per qualsiasi artista (o quasi) che oggi pubblichi un album dopo 3 anni si urla all’atteso ritorno. Ma per Ghali questa espressione ha un significato diverso. Perché quello di oggi con l’album DNA è un ritorno che sa di rotture irreparabili nel gruppo di lavoro. Di viaggi in giro per il mondo “negli studi più top” con i “produttori migliori”.
Di ascese rapide e fulminee, adorazioni da parte di tutti: giornalisti, brand, bambini (e le loro mamme…), case discografiche pronte a puntare tutto sull’artista del momento. A cui sono seguiti dei pezzi non troppo fortunati o comunque non quanto ci si aspettava. Perché quando passi da 54milioni di streams solo su Spotify con Cara Italia (115 milioni le views di YouTube) a 5 milioni con Flashback (anche se ovviamente usciti in momenti diversi) il pubblico avverte una discesa. O una caduta, come quella dalle scale inscenata da Ghali durante l’ospitata al festival di Sanremo.
DNA non ha più i beat di Charlie Charles come in Album, il primo disco di Ghali, e si sente. Ora le produzioni sono di Merk & Kremont (famosi e riconosciuti hitmaker) e Michele Canova (ormai il “padre” dei più grandi successi dance e pop). Ma anche di Mace (anche produttore artistico dell’intero album), di AVA (produttore più trap, compagno fidato di Capo Plaza), dei Mamakass (Coma_Cose), Sick Luke (Dark Polo Gang), Zef (stimato produttore rap) e Venerus (anche artista quotato dell’etichetta Asian Fake). È un album decisamente vario, molto spesso dance e pop, che all’inizio probabilmente vi lascerà spiazzati. Ma poi si farà apprezzare sempre più, ascolto dopo ascolto. E poi contiene anche la prima canzone d’amore di Ghali, Barcellona.
Per raccontarci questo suo ultimo lavoro che ironicamente ha lo stesso titolo di quello dei Backstreet Boys uscito l’anno scorso, Ghali ci accoglie nello studio di registrazione della sua attuale casa discografica, la Warner. Ed è un perfetto padrone di casa che dal suo metro e 95, “quel bambino un po’ italiano, un po’ tunisino” richiestissimo dai brand di moda, da Dior a Gucci, fidanzato con una delle top-model italiane più famose e cool al mondo, Mariacarla Boscono, ci chiede direttamente se vogliamo qualcosa da bere.
Poi si siede su una poltroncina, pronto a rispondere alle domande dei giornalisti presenti.
Partiamo proprio dalla caduta. Su Instagram hai commentato la tua esibizione dicendo che in quest’anno ne hai avute molte: ti riferisci alla rottura con Charlie Charles e anche con Antonio Dikele Di Stefano (scrittore e giornalista) e gli altri di Sto Records?
Non c’è stata una vera e propria rottura. Non posso indicare dei motivi specifici. Ognuno di noi ha delle ambizioni e quando non si ha niente si combatte tutti per la stessa causa. Ma quando hai raggiunto determinati risultati cambiano le ambizioni. E ci si può separare.
La caduta è la sensazione che ho provato quando ho compiuto degli errori artistici che ho sentito come dei passi falsi enormi. In tanti mi hanno chiesto: “Ma perché pensi di essere caduto? Non è così”. Ma non mi convincono, se sbaglio mi sento perso.
Avresti voluto pubblicare di più quest’anno?
Di meno. E non avrei voluto sentirmi in dovere di farlo soprattutto quando non ero pronto. Ho fatto un errore da dilettante: evidentemente sono ancora così.
Quindi alcuni pezzi era meglio se non fossero usciti?
Ma no, non posso dire così. Fino all’ultimo io e il mio gruppo eravamo convinti. L’errore è stato far uscire dei pezzi senza averne altri da parte. Sarebbe stato meglio se li avessi inseriti in un contesto. Questo si è verificato per la destabilizzazione che ho provato per il cambio di pelle e di team.
La caduta era anche legata a un senso di vuoto dovuto alla tua insicurezza?
Sì, certo. Con i palazzetti l’anno scorso ho chiuso un cerchio. Ho impiegato così tanto per ideare il tour, dai 6 agli 8 mesi, come gli stilisti che ci mettono 6 mesi e poi in 5 minuti finisce la sfilata. Poi finito tutto mi sono chiesto: e moh che cazzo faccio?
E cosa hai fatto?
Ho deciso di staccare un attimo ma soffrivo perché non ne sono capace. Sapevo che avevo bisogno di vivere. È importante anche divertirsi con gli amici e allontanarsi dalla propria comfort-zone. Così sono partito. Siamo andati in Europa, America, Nord Africa. In studi di produttori e artisti davvero importanti che mi hanno ispirato parecchio. Non sempre è nata lì una canzone. Anzi, ho dovuto finire i pezzi a Milano. Ho sempre utilizzato una tecnica simile al collage: ho preso delle strumentali che ho buttato giù a Los Angeles per poi aggiungere delle strofe scritte a Rio de Janeiro. Non sarei mai riuscito a finire le canzoni dove mi trovavo: a Rio, per esempio, sono abituati a certe melodie, sono attenti al ritmo e non gliene frega del testo. Penso di aver preso il meglio da tutti i posti.
Puoi dire di aver imparato qualcosa?
Certo, ho scoperto quanto mi possa aiutare lavorare in gruppo. Prima avevo il pensiero tipico da rapper: i pezzi li devo scrivere io e basta. Invece ora è cambiato tutto, posso scrivere anche con gli altri. Preferisco questa nuova modalità. L’importante è stare sul pezzo e scrivere tutti i giorni, anche se sono solo due rime.
Due parole per descrivere le collaborazioni. Iniziamo con Soolking (in Jennifer).
È un rapper algerino da tempo nell’olimpo degli MC francesi. Mi hanno confessato che ha iniziato a fare musica subito dopo la mia Ninna Nanna. La nostra intenzione era passare del tempo insieme e poi vedere se ne usciva qualcosa di valido. Direi che ce l’abbiamo fatta.
Salmo (in Boogieman, il singolo uscito nei mesi scorsi).
È sempre stato tra i miei preferiti, da quando eravamo tutti e due nell’etichetta Tanta Roba, io con i Troupe d’Elite. Abbiamo influenze molto diverse: lui da piccolo ascoltava il metal rock, mentre io ho influenze francesi e adoro Michael Jackson. Anche i nostri pubblici sono molto diversi ma una fetta rientra sia nel mio che nel suo emisfero. Quello che ci accomuna è la nostra voglia di rischiare. Per questo Boogieman è nato in maniera assolutamente speculare.
Mr Eazy (in Combo).
È un grande artista afro-trap nigeriano. Mi ha aiutato a tirar fuori quella vena afro che ho e che magari con gli artisti italiani faccio fatica a mostrare.
Tha Supreme (in Marymango)
Lo conosco dal 2014 e mi mandava già le strumentali, lui aveva 13 anni quindi. Per me è una stella mondiale: Kanye West non l’ha chiamato solo perché non sa della sua esistenza. Non è venuto in studio da me perché lui non si sposta mai ma è stato un onore lavorare con lui.
Dopo aver viaggiato tanto quando hai capito che era il momento di dar forma a tutto?
Dopo aver toccato il fondo nella mia testa quest’estate mi si è accesa la lampadina: ho avuto la sensazione giusta. L’ho scritto subito nella chat del mio gruppo e ci siamo chiusi in studio per 20 giorni. Dopo Cara Italia ho avuto una sensazione strana: quella di essermi seduto dall’altra parte del tavolo: quella dei grandi. Avevo bisogno di sporcarmi. Perché io posso dire “Cara Italia” ma anche “Maledetta Italia”. Io sono tante cose tutte insieme.
Anche nelle prossime date che terrai dal vivo ne Il Concerto a Milano (8-9-10 maggio al Fabrique) darai importanza a tutti gli elementi che compongono i tuoi nuovi pezzi?
Certo, ci saranno brani quasi teatrali, da asta, e altri più da clubbing. Ci sarà spazio per la moda, per i giochi, le interazioni con il pubblico e ovviamente i visual. Diffonderei pure dei profumi se potessi. Dal vivo farò brani mai fatti prima come Extasy e Dna. E anche Barcellona.
Il tuo primo brano d’amore: è dedicato a Mariacarla?
Sì, mi sono lanciato a scrivere rime non usuali per un rapper e credo proprio di non essere mai scaduto nel patetico. Non è proprio dedicato a lei nel particolare ma a una lei generica.
Lei cos’ha detto?
Le è piaciuta però mi ha detto: non è vero che ce l’ho con tua mamma!
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