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I Simple Minds dal Barrowland alle arene di tutto il mondo – Intervista

Da quasi quarant’anni i Simple Minds ci accompagnano nel corso delle nostre vite e come noi si evolvono, cambiano: dal romanticismo dei concerti al Barrowland di Glasgow agli epici concerti nelle arene di tutto il mondo

Autore Billboard IT
  • Il15 Febbraio 2018
I Simple Minds dal Barrowland alle arene di tutto il mondo – Intervista

Da quasi quarant’anni i Simple Minds ci accompagnano nel corso delle nostre vite e come noi si evolvono, cambiano: dal romanticismo dei concerti al Barrowland di Glasgow agli epici concerti nelle arene di tutto il mondo. Jim Kerr, il leader della band, parla del lavoro di squadra che precede ogni album (paragonandolo a una partita a tennis), delle nuove generazioni, della mancanza di un vero e proprio leader e del suo rapporto viscerale con l’Italia dalla tenera età di tredici anni.

Barrowland Star è una gran canzone. Vorresti raccontarci come è nata? Nel testo parli del Barrowland che è per voi di Glasgow un posto mitico nell’East End.

Sono contento ti sia piaciuta! Barrowland è una vecchia sala da ballo degli anni ’40 e una parte della cultura di Glasgow perché i nostri genitori e i nostri nonni andavano lì a ballare, cantare, divertirsi. È così che diventò famosa nel tempo e, soprattutto negli anni ’70 e ’80, fu un bel posto per ballare, suonare e dove le band locali diventavano grandi. Chiunque ti direbbe che Barrowland è un posto fantastico in cui suonare, ma non perché bello: è sporco e brutto ma il suono e il pubblico sono eccezionali, è infuocato! È un posto mitico, perciò ho deciso di scrivere una canzone da quel punto di vista. C’è un giovane ragazzo che ho incontrato che fa parte di una band e mi ha raccontato che il suo sogno era quello di essere una star di Barrowland. Mi ha chiesto: «Com’è suonare a Barrowland?» e mi ha dato l’ispirazione.

Alla produzione siete ancora con Andy Wright e Gavin Goldberg, (entrambi in Big Music). Sempre in Big Music come co-autore c’era anche Iain Cook dei Chvrches. Adesso come sono nate le canzoni?

Andy e Gavin sono una parte fondamentale del nostro team e abbiamo lavorato insieme su tante idee che successivamente loro sviluppano. Le creiamo molto in fretta e non ci pensiamo troppo, sono molto disordinate perché le buttiamo giù molto velocemente. Le mandiamo a loro per darci un’occhiata, ed essendo musicisti ci propongono nuovi arrangiamenti e suggerimenti. Dal momento che uno di noi può essere in Thailandia, un altro a Londra e l’altro in Sicilia, ci mandiamo idee come se fosse una partita di tennis: avanti e indietro. Poi, alla fine, ci mettiamo tutti insieme e vediamo che succede: è un lavoro di squadra.

I Simple Minds live all’Alcatraz di Milano (foto di Stefano Masselli)

Sense of Discovery, che contiene un melodico ritornello che riprende Alive and Kicking del 1985, parla ai giovani. Com’è il tuo rapporto con le nuove generazioni? Mi dici una cosa positiva e una negativa che noti?

Ho figli e nipoti e, quando paragono la mia vita alla loro, ovviamente trovo differenze ma sono sempre positivo: penso che ogni generazione abbia le proprie sfide – e questa generazione certamente ne ha molte – e mi spiace per i giovani perché non credo che abbiano dei grandi leader. Soprattutto in un momento come questo ne abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci mostri la via, quindi, da questo punto di vista, mi dispiace ma mi sento anche fiducioso perché ogni generazione trova la propria strada. Deve.

Il post punk e la new wave continuano ad essere fonte d’ispirazione per le band e alcune di quell’epoca come voi e i New Order scrivono album convincenti. Pensi che questi movimenti abbiano ancora qualcosa da insegnare?

Sì, dipende da quali aspetti. Per alcuni punk significa anarchia. Per me invece significa “fatto da sé”. Prima che fondassimo la nostra band punk non si poteva mettere in piedi una propria etichetta discografica, ma il punk ci diede l’idea, la sicurezza che si potesse farlo da soli, senza aver bisogno di un insegnante, un college costoso, piano piano imparando da soli. Nessuno ci ha mai insegnato come scrivere una canzone. Lavoriamo con producer che ci danno idee e opinioni ma non ci danno una vision. Quella viene da noi e penso che questo sia il punk:che ognuno debba avere la propria. Commetterai tanti errori ma non importa purché riesci a divertirti.

Difficile trovare oggi una band rock che abbia quel senso di epico che voi avete avuto e fatto crescere dall’album Sparkle in the Rain. Hai trovato qualcuno che ha ereditato la vostra forza epica? A proposito, quando avete deciso di diventare così voi che eravate tanto romantici nel sound? È stato il passaggio dai club agli stadi a portarvi verso quella strada?

È un’ottima domanda! Non abbiamo mai programmato una cosa del tipo “Ok, ora ci spostiamo dai club alle arene”, semplicemente ci siamo trovati in quella situazione e ci siamo adattati. Siamo poi diventati famosi e ci siamo ritrovati su grandi palchi: era fondamentale trovare canzoni che potessero suonare bene in un’arena. Ci siamo semplicemente adattati all’ambiente circostante.

Jim Kerr con i Simple Minds dal vivo all’Alcatraz di Milano nel 2012 (foto di Stefano Masselli)

C’è un artista che hai ascoltato recentemente che ti piace in particolare?

Il nuovo album degli LCD Soundsystem. Mi sono sempre piaciuti ma quest’album è particolarmente bello.

Cosa pensi del nostro Paese oggi dopo tanto tempo che lo conosci? Cosa ancora ti colpisce e ti rende curioso del nostro popolo? Non mi dire il cibo…

Ho un rapporto con l’Italia da quando a 13 anni ci andai per una gita scolastica. La scuola ci portò a Rimini e qualcosa di profondo accadde in me. Tornai in Italia a 18 anni e sono stato fortunato ad essere riuscito a suonare in posti che mi hanno portato al successo. Continuo ad andarci, ho creato amicizie, mi sono adattato, è diventata una parte di me: andrò in Italia a Natale, sulle colline, a fare passeggiate. Non so spiegarlo ma mi sento ringiovanito quando vado lì. È il mio posto.

Pensi di tornare in Italia in tour?

Sì, assolutamente. Alcuni dei nostri migliori concerti sono stati in Italia.

Se dovessi chiamare sul palco un unsung hero dell’epoca dei tuoi inizi discografici, chi sarebbe e perché?

Mio padre. Le persone che ci hanno fatto crescere, gli insegnanti. I miei genitori di sicuro, i nostri leader. Qualcuno di famoso invece sarebbe Nelson Mandela: è stato una grande ispirazione per me e mi ritengo molto fortunato ad averlo potuto incontrare.

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