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The Sonos Guide: cent’anni di musica francese, da Édith Piaf ai Daft Punk

Non ci sono dubbi: la musica transalpina da sempre evoca fascino ed estasi. Da questo mese, per tre tappe, iniziamo un viaggio dentro alcune scene musicali europee, ispirati dalle magnifiche stazioni radiofoniche e dai programmi originali di Sonos Radio che vantano host di prestigio come Thom Yorke ed Erykah Badu. Prima sosta, dunque, nella musica francese di qualità che è fruibile nella nuova stazione French Connection

Autore Alberto Campo
  • Il8 Febbraio 2022
The Sonos Guide: cent’anni di musica francese, da Édith Piaf ai Daft Punk

Daft Punk (fonte: ufficio stampa)

Volendo rivisitare per sommi capi l’ultimo secolo di musica francese, è utile assumere come tema conduttore la nozione di chanson. L’etimo rimanda addirittura al passato remoto della musica vocale in Europa: prototipo francofono sin dal Basso Medioevo per bocca dei trobadors occitani.

Le radici del pop contemporaneo francese sono localizzate oltralpe negli anni Venti del Novecento, fra cabaret e music-hall, sull’onda lunga della Belle Epoque. Ne furono allora stelle polari il dandy da operetta Maurice Chevalier e la scandalosa immigrata afroamericana Josephine Baker. Quest’ultima, sbarcata a Parigi nell’autunno del 1925 con il cast della Revue Nègre, era in scena al Théâtre des Champs-Élysées.


I due decenni seguenti scorsero nel segno di Charles Trenet. Approdato nella capitale provenendo dalla regione meridionale dell’Aude, divenne autore e interprete di brani dall’elegante e svagata leggerezza. Per esempio Douce France, Boum!, Que Reste-t-Il de Nos Amours? e – più noto di tutti – La Mer, che gli valsero l’appellativo Le Fou Chantant (il cantante matto).

La stella francese più lucente: Édith Piaf

Frattanto aveva preso quota il volo di Édith Gassion, ribattezzatasi Piaf (corrispondente a “passerotto” nell’argot parigino) per mettere in musica i traumi di un’esistenza tormentosa. Allevata nel bordello gestito dalla nonna, aveva fatto apprendistato esibendosi in strada a Pigalle. Diventò madre 17enne di una figlia che sarebbe morta a due anni di meningite. E in seguito fu protagonista di burrascose liaisons sentimentali (dal divo Yves Montand al pugile Marcel Cerdan).


Donna esile e minuta, immancabilmente di nero vestita, nell’immediato Dopoguerra fu l’astro più lucente della canzone francese. Illuminò l’Olympia con performance leggendarie, mentre la sua fama sconfinava nel resto del continente e oltreoceano (dove inanellò otto apparizioni all’Ed Sullivan Show e un paio di recital alla Carnegie Hall) sulle note di La Vie en Rose e Hymne à l’Amour. Fino all’apice melodrammatico di Non, Je Ne Regrette Rien, vibrante di fierezza autobiografica: struggente presagio della morte prematura all’età di 47 anni.

Una levatrice di talenti

Piaf fu altresì levatrice di talenti. Instradò le carriere di futuri assi quali Gilbert Bécaud, detto “monsieur 100.000 volt” per l’energia che sprigionava dal vivo, e Charles Aznavour, chansonnier di origine armena destinato alla ribalta internazionale e all’apprezzamento da parte di Dylan e Sinatra grazie alle doti di poliglotta (di Que C’Est Triste Venise, ad esempio, registrò versioni in cinque lingue differenti, tra cui l’italiano).

Debitori del “passerotto” furono anche Léo Ferré, artista nativo della Costa Azzurra, da lei incoraggiato a cercare fortuna a Parigi, dove nel 1954 aprì gli show di Josephine Baker all’Olympia, per creare poi classici della levatura di Jolie Mômee Avec le Temps, e Georges Moustaki, che in cambio dell’aiuto ricevuto le regalò Milord, raggiungendo in proprio il massimo successo nel 1969 con La Métèque (in Italia, Lo straniero).

«Quando abbiamo sviluppato il concetto originale di Sonos Radio, sapevamo che il cuore della piattaforma sarebbe stato un’attenta e puntuale curatela: una “ancora creativa” e un qualcosa che ci differenzia. Cerchiamo di fornire una vasta gamma di opzioni per gli ascoltatori, andando incontro anche alle esigenze del pubblico in specifiche aree geografiche. È così che prendono vita stazioni come French Connection! La nostra ambizione, con queste stazioni, è quella di offrire agli ascoltatori una selezione di artisti già noti ma anche emergenti (piuttosto che affidare loro l’onere attivo di selezionare brani e artisti), innovando l’idea di ciò che gli ascoltatori possono trovare dalla radio»

Joe Dawson, Senior Director di Sonos Radio

Brassens e Brel

Férré e Moustaki erano entrambi esponenti della scuola espressiva di cui era stato precursore Georges Brassens. Poeta ancor prima che musicista, impiegando solamente voce e chitarra acustica attingeva al vasto repertorio accumulato dagli anni Cinquanta in avanti, a suon di Brave Margot, Pauvre Martin e Le Gorille. Quest’ultimo fu ripreso – insieme ad altri suoi brani – dall’esordiente e dichiarato epigono Fabrizio De André.


Di rilievo almeno equivalente fu l’opera di Jacques Brel, belga di nascita ma parigino d’adozione. È doveroso ricordarne l’enorme ascendente esercitato per mezzo di sempreverdi come La Valse à Mille Temps e Ne Me Quitte Pas, ammirati da fuoriclasse del rango di David Bowie e Scott Walker.

La generazione francese a cavallo degli anni ’50 e ‘60

Simbolo femminile di quella generazione fu Juliette Gréco, attrice e interprete di composizioni che portavano le firme di Jacques Prévert – paroliere prolifico, responsabile fra i tanti del testo celeberrimo di Les Feuilles Mortes, musicato da Joseph Kosma – e del multiforme Boris Vian, nonché di Brel e Ferré. Figura carismatica della bohème sulla Rive Gauche dopo la guerra, amante di Miles Davis e amica di Jean-Paul Sartre e Albert Camus, assurse al ruolo di “musa dell’esistenzialismo” recitando nell’Orphée di Jean Cocteau e fornendo ispirazione ai Beatles per Michelle.

Avevano viceversa moventi più spensierati personaggi come Henry Salvador, intrattenitore di sangue caraibico in voga fra i Cinquanta e i Sessanta, e Nino Ferrer, cantante e autore nato a Genova. Il suo persistente legame con il nostro paese è dimostrato dall’adattamento dei suoi pezzi di maggiore successo. C’Est Irreparable mutò in Un anno d’amore per Mina, Les Cornichons divenne Il baccalà e Je Veux Être Noir fu tramutato ne La pelle nera.

Françoise Hardy in posa nel suo appartamento di Parigi a Île Saint-Louis, 1970 (foto di Michael Holtz)

Rock e pop nei Sessanta

Benché proverbialmente autarchica, la Francia aveva subìto l’influsso transatlantico del rock’n’roll. Ne codificò una propria variante all’epoca del cosiddetto yé-yé. Se i modelli maschili erano il rocker Johnny Hallyday e l’enfant terribile Michel Polnareff, sul fronte femminile svettava la silhouette di Françoise Hardy.


Emblema del pop francese targato Soixante, si distingueva dalle colleghe coetanee Sylvie Vartan e France Gall perché scriveva le proprie canzoni, da Tous les Garçons et les Filles (da noi Quelli della mia età) a Comment Te Dire Adieu, e ottenne notorietà anche oltre confine – intrufolandosi nella Swinging London e affacciandosi in Germania e, appunto, Italia, dove partecipò nel 1966 al festival di Sanremo – per la capacità di rielaborarne i contenuti in lingue diverse. La timidezza congenita le valse la nomea di “regina della malinconia”. Nonostante ciò, conquistò status da icona dello stile indossando abiti di Yves Saint Laurent e Paco Rabanne.

Altre donne si affermarono allora, per quanto solo in termini di culto: Brigitte Fontaine, artista dal linguaggio musicale eclettico e complesso, documentato dalle svariate collaborazioni sviluppate nel tempo (dall’Art Ensemble Of Chicago fino ai Sonic Youth), con apice nell’album del 1969 Comme à la Radio, oppure Catherine Ribeiro, situata al crocevia tra folk sperimentale e avanguardia, artefice di dischi ragguardevoli nel passaggio dagli anni Sessanta ai Settanta.

Johnny Hallyday e  Sylvie Vartan © P.I.P/Globe Photos/ZUMAPRESS.com
Johnny Hallyday e Sylvie Vartan (foto di P.I.P / Globe Photos / ZUMAPRESS.com)

Il gigante Serge Gainsbourg

Decisivo punto di snodo fra quel periodo e la contemporaneità fu l’ineffabile Serge Gainsbourg: figlio di ebrei russi cresciuto nel Dopoguerra tra i fumi dei piano bar e gli echi del jazz parigino, raccogliendo il testimone dal maudit Boris Vian. Inizialmente chansonnier, guidato da un estro volubile e onnivoro avrebbe fagocitato strada facendo beat, rock, ritmi latini e giamaicani, funk e hip hop.

L’imponente dotazione musicale – circa 500 canzoni – racconta tuttavia una parte soltanto della storia. Perché poi ci sono le donne amate (Brigitte Bardot, Jane Birkin, Catherine Deneuve, Isabelle Adjani…), gli eccessi e gli scandali. L’orgasmo da hit parade di Je t’Aime… Moi Non Plus, l’inossidabile epopea dell’Histoire de Melody Nelson, l’irriverente Marsigliese reggae rinominata Aux Armes et Caetera, lo scabroso Lemon Incest in duetto assieme alla figlia Charlotte.


Le musiche alternative

In un certo momento “Gainsbarre” flirtò addirittura con il punk, di cui in Francia furono alfieri gruppi come Stinky Toys e Métal Urbain, ponendo le basi per la generazione seguente, punta di diamante della quale divennero i Mano Negra, rispecchiando nella babele sonora chiamata patchanka la natura multietnica della capitale francese.

Da solista, il capobanda Manu Chao si trasformò quindi in Primula Rossa, abiurando l’industria discografica e muovendosi sottotraccia fra Parigi, Barcellona e l’America Latina. Fuori asse, dunque, rispetto al mainstream angloamericano, per divulgare un messaggio fatto di appartenenza, fervore politico e speranza in un mondo migliore.

In zone limitrofe agivano Les Négresses Vertes, fluttuando con gusto postmoderno tra cadenze nordafricane e bal-musette nel folgorante debutto intitolato Mlah: uno slancio frenato nel 1993 dalla precoce scomparsa del cantante Helno.

Dall’ondata French Touch al pop francese dei giorni nostri

Stava montando nel frattempo l’onda elettronica del French Touch, che nel XXI secolo avrebbe esportato ovunque la mitologia robotica dei Daft Punk: di quel filone, chi manifestava fedeltà alla forma canzone erano gli Air, duo di Versailles abile nel compiere all’esordio un sofisticato esercizio “retrofuturista” con Moon Safari.


In chiave hip hop, fenomeno che oltralpe ha generato la scena più vivace su scala continentale, si era messo in luce invece il rapper di origine senegalese MC Solaar, il cui album del 1994 Prose Combat ha statura da classico del genere.

Mentre agli sgoccioli del Novecento emergeva la nidiata della Nouvelle Chanson, avendo per capofila Benjamin Biolay e Keren Ann, il bretone Yann Tiersen diventava famoso grazie alle colonne sonore di film popolari come Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet e Good Bye, Lenin! di Wolfgang Becker.

Giungendo infine ai giorni nostri, citiamo Christine and the Queens, progetto – parole sue – “freak pop” dell’artista di Nantes Héloïse Letissier, il cui secondo lavoro, Chris (uscito in doppia versione: francofona e anglofona), è stato eletto nel 2018 disco dell’anno dal britannico The Guardian.

Sonos Radio

  • Disponibile gratuitamente per tutti gli utenti Sonos
  • Un mix di contenuti originali creati dai curator in base a temi e generi (French Connection, classica, R&B…)
  • Stazioni curate da artisti del calibro di Thom Yorke

Offrendo una programmazione originale e curata, Sonos Radio riflette la competenza musicale del brand ed è un luogo per scoprire nuovi artisti, canzoni e generi per ogni umore della giornata.


Disponibile gratuitamente su tutti i dispositivi Sonos attraverso l’app Sonos, Sonos Radio ti regala sempre nuove sorprese, con nuovi contenuti originali in arrivo.

Le stazioni individuali e i formati degli show ti consentono di ascoltare gli album appena usciti e scoprire le storie dietro alla musica. I clienti hanno la libertà di sintonizzarsi e scoprire oltre 60mila stazioni di trasmissioni radio di tutto il mondo, gestite da collaboratori di vecchia data.

Potrai apprezzare la programmazione originale di Sonos Radio, selezionata con attenzione da un team di curatori, DJ e artisti, con varie selezioni musicali ispirate sia ai classici che ai tormentoni del momento.

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