Tre anni senza Aretha Franklin, Regina del Soul tra grandi dolori e enorme successo
La leggendaria cantante ci lasciava il 16 agosto 2018: oggi la sua figura è giustamente ricordata da documentari, serie TV e cofanetti antologici
A tre anni dalla scomparsa, un concorso di eventi ha riportato all’attualità la figura di Aretha Franklin. Nei cinema italiani è arrivato per la prima volta in giugno il documentario Amazing Grace: girato nel 1972 da Sydney Pollack, congelato fino al 2007 a causa della difettosa sincronizzazione fra audio e video, frenato in seguito dalla contrarietà della protagonista e sbloccato infine dagli eredi dopo il decesso. Per gli amanti delle serie TV, invece, su Disney+ è uscita sempre a giugno Genius: Aretha, terza stagione firmata National Geographic che in otto episodi racconta tutta la vita della regina del soul.
Sulla scia del debutto di metà agosto oltreoceano, arriva adesso in sala il film biografico Respect, diretto dall’esordiente Liesl Tommy (regista sudafricana rinomata in ambito teatrale): progetto rimasto a lungo in cantiere, ottenendo in extremis il benestare dell’interessata, interpretata sul grande schermo da Jennifer Hudson. Frattanto, sul fronte discografico, ha visto la luce il cofanetto antologico Aretha.
Aretha Franklin: una fama leggendaria
All’apice della carriera la popolarità del personaggio era talmente vasta da concedere spazio all’impostura, cosicché nel gennaio 1969 Mary Jane Jones, sua coetanea meno fortunata, tenne una decina di concerti in Florida spacciandosi per lei, prima che la scoprissero, arrestassero e processassero per truffa: accusa dalla quale fu assolta, a differenza del suo “agente” Lavell Hardy, riuscendo a ottenere persino un quarto d’ora di notorietà grazie all’intercessione di Duke Ellington (una vicenda narrata dettagliatamente nel 2018 dal giornalista investigativo Jeff Maysh sullo Smithsonian Magazine).
In quei giorni la “vera” Aretha era in crisi: «Devo ancora capire chi e cosa sono», confidò a un intervistatore durante la promozione dell’album Soul ’69, uscito all’inizio dell’anno. Era reduce dalla burrascosa separazione da Ted White: scaltro faccendiere divenuto suo marito e manager nel 1961, ma anche responsabile di ripetuti maltrattamenti. La tensione precedente il divorzio, sancito nell’autunno 1969, fu tra le ragioni che portarono all’annullamento del tour estivo.
Il servizio di copertina di Time nel giugno 1968 consacrò Aretha Franklin come diva. Benché nell’intervista concessa in quella circostanza confessò: «Sono una vecchia camuffata, una 26enne che va per i 65». La affliggevano – scrisse il cronista – «demoni privati», tali da renderla agli occhi di Jerry Wexler, all’epoca suo discografico, «Nostra Signora dei Dolori Imperscrutabili».
A infragilirla era stata una giovinezza consumata con intensità logorante. Sostenne in breve tempo oneri che ad altri spettano nell’arco di una vita intera. Aveva cominciato a cantare in pubblico da bambina, era stata ragazza madre non ancora 13enne, partorendo il secondo figlio due anni più tardi. Divenne artista affermata a 18 e stella da hit parade a 25. Un’ascesa così rapida da togliere il fiato.
Dal sacro gospel al soul profano
Nata il 25 marzo 1942 a Memphis, Aretha Louise Franklin era cresciuta in mezzo al gospel. Suo padre, il reverendo Clarence LaVaughn Franklin, pastore popolarissimo e attivista per i diritti civili, veniva soprannominato «il predicatore dalla voce d’oro». Infatti vendeva centinaia di migliaia di copie dei dischi con incisi i propri sermoni. La madre Barbara suonava il piano e cantava insieme a lui nella New Bethel Baptist Church a Detroit. Finché nel 1948 se ne andò sbattendo la porta, adirata con il marito donnaiolo, quattro anni prima di morire.
A casa Franklin il via vai di celebrità era una consuetudine. Tra i frequentatori più assidui si ricordano Martin Luther King, Mahalia Jackson e Nat King Cole. Nei paraggi abitavano alcune future star della Motown (Diana Ross, Smokey Robinson e Four Tops). Aretha era dunque predestinata alla carriera musicale, più delle sorelle Erma (maggiore) e Carolyn (minore), a loro volta cantanti.
Mentre s’impratichiva a orecchio con il pianoforte, consigliata dal reverendo James Cleveland, esordì dal vivo affiancando il babbo – lui predicava e lei cantava, ispirata dai modelli offerti da Clara Ward e Dinah Washington, anch’esse amiche di famiglia – e registrò ad appena 14 anni sotto la sua supervisione Never Grow Old, debuttando a 45 giri.
Diventata maggiorenne, decise di trasferirsi a New York, affidando i figli in custodia al nonno, e compì il grande salto dal sacro al profano, seguendo l’esempio dell’amico Sam Cooke, che avrebbe voluto portarla con sé alla RCA, sfidando la concorrenza di Berry Gordy Jr., intenzionato ad arruolarla nella neonata Tamla Motown: a ingaggiarla fu però la Columbia, nell’estate 1960, senza riuscire a coltivarne tuttavia il talento in maniera adeguata, ammise in seguito lo stesso John Hammond, il talent scout che l’aveva scritturata.
L’apogeo di Aretha Franklin
La sua fioritura artistica coincise con il passaggio all’Atlantic, alla fine del 1966, per iniziativa del vicepresidente Jerry Wexler, che intendeva valorizzarne il retroterra gospel e lasciarla libera di suonare il piano. A quel punto cominciarono a fioccare i successi, uno dopo l’altro. I Never Loved a Man (The Way I Love You), dove canta «L’inferno non conosce furia paragonabile a una donna rifiutata», Respect (che sottrasse a Otis Redding, trasfigurandola in un’esortazione all’emancipazione femminile: «Una canzone che mi hanno portato via da una ragazzina!», disse l’autore al momento d’intonarla di fronte al pubblico del festival di Monterey), (You Make Me Feel Like) A Natural Woman di Carole King e Chain of Fools, tra febbraio e novembre, nel 1967.
Fu il suo anno di grazia. In occasione di uno show al Regal Theatre di Chicago il conduttore radiofonico Pervis Spann la incoronò Regina del Soul. Ma c’era un pedaggio da pagare, come detto: il matrimonio che stava andando a rotoli, l’abuso di alcol e addirittura un arresto per disturbo della quiete pubblica.
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